Parlami di te: recensione del film con Fabrice Luchini
La recensione di Parlami di Te di Hervé Mimran con Fabrice Luchini e Leïla Bekhti, distribuito da Bim disribuzione a partire dal 21 febbraio.
Parlami di Te (Un Homme Pressé il titolo originale in francese) ha come protagonista Alain Wapler (Fabrice Luchini) manager per il quale il tempo non è solo denaro, è qualcosa contro cui lotta ogni singolo momento della sua giornata.
Del resto il suo ruolo di Amministratore Delegato presso una delle più importanti case automobilistiche del vecchio continente, pretende che egli sia come sia: sempre di corsa, spietato, efficiente, autoritario e tutt’uno con il suo lavoro.
Ricco, solitario, intransigente, è concentrato con ogni fibra del suo essere sul nuovo progetto di un’auto elettrica da presentare al Salone di Ginevra, infischiandosene della problematica figlia Julia (Rebecca Marder), lasciata sola con l’invadente e pasticciona domestica Violette (Clemence Massart).
Ma un bel giorno lo stress presenta il conto ad Alain, che viene colpito da un ictus e si ritrova a dover ricominciare da zero, con il solo aiuto della sensibile e un pò triste ortofonista Jeanne (Leïla Bekhti).
Comincerà così per Alain un percorso che lo porterà non solo a dover riconquistare la sua parola, ma che lo metterà di fronte ai propri difetti e alle proprie responsabilità di uomo e padre.
Parlami di Te: tra la commedia e il dramma
Parlami di Te è scritto e diretto da Hervé Mimran (già regista di Nous York e Tout ce qui Brille), che ce la mette tutta per proporre un film che vada oltre l’essere una semplice commedia o un dramma esistenziale, cercando in ogni istante di fondere le due cose.
Purtroppo però, al netto di una performance attoriale buona (con un Fabrice Luchini in grande spolvero), il film soffre di una forse eccessiva ambizione da parte di Mimran, manifestatasi con una durata davvero troppo lunga ed in generale con un mettere troppa carne al fuoco.
La diretta conseguenza (quella più palese se non altro) è il fatto di non avere un vero centro, di condurre lo spettatore attraverso un iter narrativo discontinuo, spezzettato, frammentario e poco incisivo.
Ed è un peccato perché la sceneggiatura di Mimran tratta con notevole ironia e rispetto il dramma di chi, a causa di un ictus, ha dovuto intraprendere (e tutt’oggi è costretto a farlo) un percorso di totale ricalibrazione dell’esistenza, una riconquista faticosa della comunicazione verso gli altri.
Da questo punto di vista Parlami di Te è attraversato da un’atmosfera leggera e frizzante assolutamente irresistibile, mai stupida o banale, ma sa anche regalare momenti di grande tenerezza e sensibilità, mettendo a nudo tutti i problemi connessi con il ricominciare una vita, con il rimettersi in gioco dopo un dramma così totale. Rende comprensibile ma non meno agghiacciante il male ed i suoi effetti sul corpo umano.
Parlami di Te: pro e contro
Purtroppo però lo script di Mimran si perde dietro troppi rigagnoli narrativi, concede troppo spazio ad eventi e personaggi assolutamente secondari ma troppo poco in compenso al personaggio femminile di Jeanne, e quel poco viene usato male.
Rinuncia infatti a creare un racconto di formazione comune, una presa di coscienza da parte di entrambi sulle rispettive debolezze e punti di forza, sposando una visione caleidoscopica che si perde e fa perdere d’intensità e poesia al tutto.
Soprattutto in un certo momento, Parlami di Te diventa un altro film, e lo fa senza giustificare tale passaggio ed i successivi sviluppi narrativi, rinnega nella forma e nel contenuto quel suo dichiarato ispirarsi a J’étais un homme pressé : AVC, un grand patron témoigne, libro autobiografico di Christian Streiff, ex Amministratore Delegato di Airbus e Citroen.
Certo, rimane la perfetta descrizione del dramma della solitudine nella società moderna, la costruzione di un labirinto della solitudine che si erge tra palazzi di cristallo, luoghi pubblici dove l’individuo è più solo quando attorniato dai suoi simili che in una stanza, ed ecco che arriva la soluzione del ricontatto con la natura, con gli affetti, le cose semplici di ogni giorno.
Ma il tutto è reso troppo potabile, troppo zuccheroso, in ultima analisi spogliato della sua poesia e verità, per un film che vuole essere troppe cose contemporaneamente ed alla fin fine non ne è nessuna.
Forse è eccessivo chiamarlo una scommessa perduta, ma di certo non raggiunge ciò che poteva raggiungere dal punto di vista estetico e sopratutto per ciò che riguarda la potenza espressiva. Peccato.