Alita – Angelo della battaglia: recensione
Alita - Angelo della battaglia riempie troppo i discorsi e le tematiche da trattare. Fortunatamente il compartimento tecnico riesce ad essere all'altezza.
Alita è caduta dall’alto. Dalla città rimasta sospesa, che non si interessa della sporcizia in cui è riversata la fabbrica, fino a depositarsi squarciata nel corpo (artificiale) nella discarica. Ma il suo nucleo centrale è ancora integro, potente. Un cuore che la mantiene in vita, che pompa energia e sembra pronto per battersi. Un prologo con ogni premessa al proprio posto quello di Alita – Angelo della battaglia, che vede Robert Rodriguez alla direzione di un adattamento cinematografico corposo, che tenta di inglobare i principali punti di partenza per una futura – se il richiamo popolare abboccherà – saga sull’universo ciberpunk di Yukito Kishiro.
Dal manga del fumettista giapponese, Latea Kalogridis e James Cameron – anche produttore del blockbuster – estraggono elementi per una storia che spazia di tema in tema, complessità emotive collegate alle funzioni prime del proprio fisico, interrelazioni interessati tanto per ciò che concerne il concetto del sé che quello legato ad un’idea di società postapocalittica. Discorsi che, però, generano un sovraccarico che fa del lavoro di Rodriguez giusto qualcosina in più rispetto ad un guazzabuglio meccanico, in cui argomenti e generi si scansano e compenetrano in simultanea, in una narrazione che sembra non voler seguire le regole del gioco.
Alita – Angelo della battaglia: la politica dei corpi, tra ibridazione e futuro
La politica dei corpi è senz’altro la nozione più elaborata in Alita – Angelo della battaglia, scheletro di una costruzione che tende troppo a divagare, ma che più di una volta centra la teoria dell’ibridazione e fa del film un continuo baratto tra pezzi di ricambio e carne umana. La ricerca del proprio passato, cancellato nella mente della protagonista, passa non solo per le sinapsi cognitive, ma attraversa un percorso che rende reciproco lo stimolarsi tra mente e corporatura, ricordi di una vita dimenticata che rivivono grazie a pratiche fisiche rimaste invariate.
E per il corpo passano tutti i fattori essenziali della giovane Alita e la sua storia. L’essere stata ricostruita dal dottor Ido (Christoph Waltz) e aver reincarnato la figlia perduta, come involucro in un’iniziale istanza e poi arrivando al livello emotivo. Il contatto sensibile che la unisce all’affascinante Hugo (Keean Johnson), a cui è disposta a dare il proprio cuore, letteralmente. Il riscoprirsi una guerriera proprio quando il fisico si avvicina al pericolo e risveglia antichi apprendimenti dell’arte della lotta. (Ri)conoscersi quando, finalmente, capterà la simbiosi con la propria armatura.
Motivi della narrazione che non possono che incuriosire l’occhio contemporaneo, oramai immerso nelle realtà della biomeccanica e che l’attualità ci ha mostrato sempre più inserito nel mondo che viviamo. Ma quando Alita – Angelo della battaglia sceglie di ingranare la marcia dell’intrattenimento, è lì che il film perde ciò che aveva acquistato con la sua riflessione corporea. L’opera cinematografica risente della quantità di materiale derivante dal manga originale, sentendosi quasi in dovere di porre ogni aspetto della sua protagonista nel turbinio arrugginito del racconto. È così che il blockbuster di Robert Rodriguez diventa un film sentimentale, un teen drama, un’operazione sportiva – futuristica, ovviamente – e l’inizio di una rivoluzione sociale, abbondando incoscientemente di contenuti e sequenze.
Alita – Angelo della battaglia: il bilanciamento della produzione
Un difetto che la produzione di un gigante come James Cameron può compensare, con l’aiuto del collaboratore Jon Landau e un compartimento di effettistica che ha ben chiaro come impostare visivamente il mondo cibernetico di Alita – Angelo della battaglia. Un contributo tecnico che salva in parte ciò che il film non sa gestire nel componimento della storia, offrendo uno spettacolo canonico, ma dalla fattura lodabile. Come l’esecuzione in CGI della giovane Rosa Salazar, che non si perde dietro la pesante digitalizzazione – e i suoi spropositati occhioni -, dando alla sua Alita una genuinità autentica con tutte le dovute espressioni.
L’eccedenza di premesse per la preparazione all’ingresso dell’universo di Alita – Angelo della battaglia non si pone certo come una speranza spassionata per il proseguo della saga, pur lasciando con un cliffhanger talmente significativo da domandarsi, anche solo un minimo, cosa potrebbe accadere in una vera sfida, quella a cui la protagonista sembra essersi ripetutamente sottratta e che ha influito sulle sorti del film. Un angelo che ha finalmente compreso che il suo posto è ben più in alto, ma che Robert Rodriguez non ha voluto far volare fino in fondo.
Alita – Angelo della battaglia, prodotto da 20th Century Fox, Lightstorm Entertainment e Troublemaker Studios, sarà in sala dal 14 febbraio distribuito da 20th Century Fox.