Alexander McQueen – Il genio della moda: recensione del documentario
Alexander McQueen – Il genio della moda racconta, attraverso un intimo ritratto dell'artista, lo straordinario talento visionario di uno degli stilisti più innovativi di sempre.
Sarà nelle sale italiane solo dal 10 al 13 marzo Alexander McQueen – Il genio della moda (titolo originale McQueen), documentario che racconta il genio creativo e visionario di uno degli stilisti più innovativi di sempre. I registi Ian Bonhôte e Peter Ettedgui offrono la possibilità di esplorare, attraverso un racconto intimo e personale, la vita e la carriera di un talento che ha saputo lasciare un’impronta di sé ben oltre l’universo della moda.
Il documentario non si rivolge infatti solo ai fashion addicted o agli appassionati di sfilate e collezioni, dal momento che definire Alexander McQueen semplicemente uno stilista risulta ancora oggi una semplificazione. Nelle sue creazioni sartoriali convergono più stili e influenze, che toccano il mondo dell’arte, della letteratura, del cinema e di molti altri universi
Alexander McQueen: la vita del genio delle passerelle
Nato nel 1969 e cresciuto nell’East London, Lee Alexander McQueen è un semplice ragazzo della working class inglese, senza particolari doti o prospettive. Ultimo di sei figli, Lee (così viene chiamato da tutti) abbandona presto gli studi per tentare la strada della moda, la sua vera passione (spinto anche dalla madre che crede nel suo estro creativo). Inizia l’apprendistato presso la prestigiosa scuola di sartoria di Savile Row – dove mostra da subito di essere incredibilmente portato – riuscendo poi a collezionare esperienze importanti come quella fatta nello studio di Romeo Gigli. È Isabella Blow che si accorge per prima del suo genio, grazie a un evento dove vede sfilare alcuni modelli firmati da McQueen. Inizia così tra l’esordiente stilista e la Blow un’amicizia sincera e un sodalizio artistico: Isabella è la musa e il mentore di Lee, colei che, in un certo senso, l’ha portato alla ribalta (ma non scoperto, perché, come si dice più volte durante il documentario, “Alexander McQueen si è scoperto da solo”).
Da adesso in poi, per Lee inizia il successo vero e proprio, l’attenzione da parte di stampa e pubblico che lo ha reso l’icona che oggi conosciamo, capace di conquistare la roccaforte modaiola di Parigi. Arrivato alla conduzione creativa di Givenchy a soli ventisette anni e poi entrato nel gruppo Gucci, Alexander McQueen ha segnato un’epoca nel mondo della moda grazie alle sue collezioni frutto di uno straordinario mix provocatorio di arte, cinema, musica e letteratura, un cocktail visivo dal sapore romantico, gotico e cyberpunk. Le sfilate di McQueen si prefigurano come spettacoli veri e propri, quasi show teatrali, dove l’apporto della tecnologia la fa da padrone. Soprattutto, il suo ineguagliabile talento creativo ha saputo dare forma anche alle sue fantasie più oscure, derivanti da esperienze traumatiche come le molestie subite quando era bambino dal cognato, l’ex marito della sua amata sorella.
Ed è da questo suo personalissimo vissuto che nasce la cifra stilistica di McQueen, unica e inimitabile, espressione violenta della sua sensibilità e fragilità che chiama lo spettatore ad agire e a prendere una posizione. La vita dello stilista, ormai alla ribalta delle cronache e delle sfilate di tutto il mondo – anche grazie alla propria casa di moda, la Alexander McQueen – è purtroppo condizionata da un male terribile come la depressione. Quello stesso male che, dopo la morte dell’amica Isabella Blow e dell’amatissima madre, lo ha portato al suicidio a soli 40 anni.
Alexander McQueen: un mosaico di umanità
I registi Ian Bonhôte e Peter Ettedgui hanno tentato di catturare la vita personale e lavorativa di questo visionario stilista offrendo un entusiasmante ritratto del suo vissuto e della sua complessa personalità. Il documentario Alexander McQueen – Il genio della moda racconta la sua storia attraverso un mosaico di testimonianze, composto da molteplici interviste realizzate a familiari, amici e colleghi, da riprese dei suoi spettacoli e delle sue sfilate, assieme a video personali di McQueen stesso.
Modelli dal design rivoluzionario e presentati al pubblico attraverso eventi incredibili (ispirate a miti e leggende) sono quasi il contorno di questo lavoro documentaristico, la cui ossatura è invece composta dalla sensibilità di questo inimitabile artista.
Diviso in cinque capitoli, anzi, cassette, il film di quasi due ore di Bonhôte ed Ettedgui presenta i momenti fondamentali della vita del designer attraverso una selezione dei suoi spettacoli più personali e iconici: “Jack the Ripper Stalks His Victims” del 1992; “Highland Rape”, il suo spettacolo più controverso; “Search for the Golden Fleece”, la prima collezione disegnata per Givenchy; “Voss”, un’esplorazione della bellezza e della follia; “Plato’s Atlantis”, un viaggio che ha inizio con la collezione realizzata in memoria della sua musa Isabella Blow e che culmina con lo show finale realizzato prima che McQueen si togliesse la vita.
Non sono presenti testimonianze di star, attori o cantanti in questo documentario: a ricostruire le fila di un’esistenza tanto breve quanto incisiva sono stati chiamati soltanto i familiari, gli amici e i collaboratori più stretti, cioè coloro che potevano, grazie alle loro parole, offrire un ritratto quanto più possibile “umano” di McQueen. Ed è questo che traspare dal documentario: l’intento dei registi di dipingere Lee nella sua fragilità, nella sua sensibilità (che era poi la sua forza più grande), in tutto ciò che riguardasse il suo lato più intimo senza però risultare invadenti. Bonhôte ed Ettedgui prendono le parole raccolte da questa “indagine” e le mettono assieme, quasi cucendole tra loro per farle aderire al lato professionale del designer.
Accade infatti che, nel caso di talenti come Alexander McQueen, il privato si mescoli al pubblico, il vissuto dia origine all’arte: ed è così che, restando concentrati sull’animo di questo stilista, lo spettatore può accogliere e comprendere appieno motivi e scelte della sua carriera, che acquistano luce nuova proprio grazie alle parole di coloro che lo hanno conosciuto davvero.
Alexander McQueen: l’abito sonoro di Michael Nyman
A impreziosire ancora di più questo ritratto concorrono le musiche di un compositore come Michael Nyman. Nyman ha rivelato che McQueen una volta gli commissionò un brano originale per lui, dal titolo “Lee’s Sarabande”: il pezzo doveva esprimere in forma musicale i sentimenti di gioia e di malinconia che coesistevano nel cuore di McQueen e che hanno caratterizzato la sua storia e il suo lavoro. Ed è proprio questa traccia il tema centrale nel film, a cui si aggiungono sinfonie, musica da camera, concerti e anche brani di generi diversi come musica dance, colonne sonore di film, assoli di strumenti musicali medievali e azzardati esperimenti elettronici. Queste musiche e questi ritmi diventano l’accompagnamento musicale perfetto per ognuno dei cinque capitoli che compongono il film, l’abito sonoro ideale per rendere in note la complessità artistica di questo genio creativo.
Non un semplice stilista, dunque: il ritratto che emerge da Alexander McQueen – Il genio della moda (distribuito da I Wonder Pictures) è quello di un sensibile artista tormentato e visionario, celebrato – quasi più che raccontato – con stile e rispetto in questo documentario che sorprende anche i non addetti ai lavori.