Il venerabile W. – recensione del film di Barbet Schroeder
Il venerabile W., ultimo documentario di Barbet Schroeder, è lo sconvolgente racconto che distrugge ogni visione positiva del buddismo attraverso il ritratto del predicatore Wirathu.
Capitolo finale di quella “Trilogia del Male” che ha avuto inizio con Il Generale Idi Amin Dada nel 1974 ed è proseguita nel 2007 con l’Avvocato del Terrore, Il Venerabile W. è sicuramente una delle migliori opere mai create da Barbet Schroeder che, costante della sua cinematografia, getta una luce rivelatrice e orrenda sulla figura del Monaco Wirathu, personaggio tra i più influenti e potenti di quella Birmania dove da decenni si consuma la tragedia dei Rohingya, la minoranza musulmana.
Il venerabile W. è uno sconvolgente viaggio che distrugge ogni visione positiva del buddismo
Girato in gran parte a Mandalay, la città monastero che ha al suo interno più di trecentomila monaci buddisti, Il Venerabile W rappresenta senza ombra di dubbio uno sconvolgente e terribile viaggio atto a distruggere ogni paradisiaca e ingenua visione del buddismo come religione perfetta, filosofia di vita e regno della pace.
In un certo senso, Schroeder compie un’opera di riaggancio con il concetto marxista di religione come strumento del potere, di oppio dei popoli, di clava nelle mani di chi sappia farne un uso spregiudicato e astuto, come nel caso di questo monaco dallo sguardo circospetto e dalla mente oscura.
Perché, alla fin fine, ciò che emerge in modo preponderante dai 100 minuti di questo documentario dal ritmo talvolta rallentato e falsamente sonnolento, è quanto il popolo, l’essere umano, rimanga sempre preda della demagogia e delle bugie dello stesso tipo di personaggi.
Il ritratto di Wirathu, il predicatore che la usa la violenza come arma politica
Il Venerabile W. infatti ci fa capire chi è questo misterioso predicatore capopopolo, questo buddista radicale e ributtante, armato di una falsissima umiltà che nasconde invece un narcisismo, un’arroganza ed ambizione a dir poco sconfinati. Armato di una eloquenza che ricalca in modo totale quella di un Mussolini o di un Hitler, Wirathu si muove come un serpente ipocrita e armato di un atteggiamento passivo-aggressivo perfetto nel donare agli sprovveduti morti di fame del suo paese l’immagine di un uomo ragionevole, umile, saggio. Poi eccolo gettare la maschera in alcuni rari, ma sempre più frequenti, momenti di rivelata vanità ed allora spunta il misogino, razzista e xenofobo predicatore che guida la violenza e la usa come arma politica.
Ogni bastone, ogni pietra lanciata, ogni musulmano linciato ed ogni casa bruciata, sono usati per creare una sorta di circolo vizioso nel quale lui ed i suoi monaci sono ad un tempo carnefici e assieme punto di riferimento politico per “arginare” la violenza.
Il venerabile W. si nutre del paradosso tra gli ideali del buddismo e la loro mistificazione
Spietato anche nel riconfigurare la valutazione sull’apporto di Aung San Suu Kyi alla vita politica del paese, Il Venerabile W. si nutre dell’incredibile paradosso tra gli ideali di base del buddismo (fede che appartiene allo stesso Schroeder) e la loro totale mistificazione nel nome di un programma politico che ha ben poco da invidiare a ciò che fu concepito a suo tempo nel Mein Kampf.
Con la colonna sonora azzeccatissima di Jorge Arriagada, pieno di documenti video inediti e spiazzanti, Il Venerabile W. deve molto alla fotografia di Victoria Clay-Mendoza, per quanto a volte la voce narrante di Bulle Ogier appesantisca il tutto in modo veramente eccessivo.
Di base, ciò che lascia talvolta interdetti dell’opera del regista franco-svizzero è anche il personalismo della narrazione, così come dell’ultima analisi inerente la risposta alla domanda: che cosa fare?
Luce ed oscurità, silenzio e fragore, violenza e mansuetudine, sono continuamente contrapposte, secondo un gioco di specchi reale e vivo per il quale il malvagio si maschera da persona perbene e a modo, mentre la vittima concentra su di sé il peggio del peggio di ciò che la massa, il popolo, questo animale stupido, irascibile e violento, vede (o desidera vedere) nell’altro, nel diverso.
Ma di fronte a questo qual’è la soluzione di Schroeder? Non è chiara, ma chiara appare l’origine del male se non altro, così come il togliere il velo di romantico candore sul Aung San Suu Kyi, descritta come ormai complice inerte della giunta militare che distrugge i Rohingya.
Al netto di qualche difetto, Il Venerabile W. può rivendicare di essere un documentario di enorme qualità ed importanza, un monito alla superficialità con cui molti si rifiutano di prendere posizione e di condannare il razzismo o magari di avallarlo come “vox populi”.
Il film è al cinema con Satine Film dal 21 marzo 2019.