Ragazze interrotte: recensione del film con Angelina Jolie e Winona Ryder
Ragazze interrotte mostra le varie declinazioni della patologia mentale, che talvolta può rivelarsi un'alterata risposta a un ambiente ostile.
Cosa succede quando improvvisamente il mondo rifiuta i propri sentimenti e comportamenti, tacciando di “follia” una presunta deviazione da una “norma” che non pare nemmeno avere riscontro concreto nella realtà quotidiana, fatta di tanti pesi e misure? È la domanda (retorica) che le Ragazze interrotte di James Mangold si pongono nel suo film del 1999, che è valso un Oscar e un Golden Globe (oltre a numerosi altri premi) alla straordinaria interpretazione di Angelina Jolie della sociopatica Lisa, la più compromessa delle protagoniste.
Ragazze interrotte è ambientato alla vigilia degli anni ’70 e parte dal racconto di Susanna (Winona Ryder), una ragazza diagnosticata borderline in seguito a comportamenti definiti “promiscui” e un apparente tentativo di suicidio che – probabilmente – nasconde solo l’impossibilità di esprimere le proprie emozioni, in una famiglia e una società che sembrano spaventate da tutto ciò che non è immediatamente inquadrabile e ordinario.
Susanna appare più una giovane donna in cerca di se stessa e del suo posto nel mondo, ribelle nei confronti delle convenzioni e per questo definita pericolosa e bisognosa di un ricovero in un ospedale psichiatrico in cui poter tornare con i piedi per terra.
Presso la struttura, Susanna fa la conoscenza dell’apparente dura ma profondamente empatica infermiera Valerie (Whoopi Goldberg) e delle altre ragazze del suo reparto, fra le quali spicca la bad girl Lisa, la cui principale occupazione sembra intimorire e ferire le compagne di sventura, troppo deboli per riuscire a ribattere ai suoi continui attacchi.
Inizia così il complesso percorso di Susanna attraverso le proprie insicurezze e presunti disturbi mentali, alla ricerca del significato dell’essere definiti mentalmente sani, una condizione che progressivamente appare dipendere da un ambiente disposto ad accogliere o rifiutare, convalidare o negare i propri disagi quotidiani.
Ragazze interrotte: cos’è il disturbo bordeline di personalità?
Il disturbo borderline di personalità presenta come peculiarità principali la paura del rifiuto e l’instabilità nelle relazioni interpersonali, nell’immagine di sé, nell’identità e nel comportamento. È un disturbo che accompagna l’individuo fin dall’adolescenza, momento molto delicato per la definizione della propria identità che – in condizioni normali – avviene all’apice di un progressivo processo che dall’identificazione passa alla separazione/individuazione. I sintomi del disturbo borderline solitamente includono, oltre alla paura del rifiuto, intensi timori di abbandono, rabbia estrema e irritabilità, spesso per ragioni incomprensibili o ritenute poco valide dagli altri. Sono presenti anche pratiche di autolesionismo, ideazioni suicide e abuso di sostanze stupefacenti.
I pazienti borderline, come il termine stesso suggerisce, vivono le proprie emozioni al limite, sul filo del rasoio che divide la normalità dalla psicosi che – tuttavia – non li tocca. Fra le cause, possono esserci alcune anomalie neurologiche ma si pensa che vi sia una forte influenza ambientale. Il disturbo borderline – infatti – è stato spesso associato a eventi traumatici subiti nell’infanzia, quali abusi sessuali, fisici o anche emotivi, da parte di genitori a loro volta disturbati.
Ragazze interrotte: la riflessione critica di James Mangold
La regia e la sceneggiatura James Mangold attraversano il percorso interiore della protagonista, alternando flashback al tempo presente, alla ricerca della cause alla base del disagio di Susanna che – nel confronto quotidiano con le altre pazienti dell’istituto – si rivela sempre più una condizione (auto)imposta che una reale patologia.
C’è Daisy, insicura e viziata “figlia di papà”, che dietro il bisogno di nascondere il cibo cela una profonda sofferenza inflittale proprio da chi sembra e dovrebbe starle più vicino; Polly, incastrata in un’immagine di sé infantile in seguito a un incidente che le ha deturpato il volto; la bugiarda “patologica” Georgina, l’anoressica Janet e la crudele e profondamente sola Lisa, tutte giovani donne il cui percorso di crescita e maturazione è stato – come suggerito dal titolo – interrotto, bloccato, impedendo alla reale personalità di ognuna di esprimersi e fluire.
Che significato assume – dunque – la patologia mentale che affligge le Ragazze interrotte di Mangold? Una costruzione sociale più che una condizione insita, un’alterata risposta a un ambiente potenzialmente inospitale e a tratti egocentrico, in cui le apparenze contano talvolta più dei reali sentimenti che – per la loro stessa natura istintiva – non possono essere sempre lineari e desiderabili come la società richiederebbe.
Ecco allora che Susanna – nella posizione drammatica ma paradossalmente privilegiata dell’istituto – può cogliere la possibilità di osservare se stessa e la propria famiglia da un punto di vista esterno e protetto, in cui utilizzare la propria passione per la scrittura per esternare un disagio profondo quanto etereo e indefinito, arrivando finalmente a mettere in costruttiva discussione l’etichetta affibiatale da chi non è stato altrettanto bravo a guardarsi dentro prima di giudicare gli altri.
Ragazze interrotte mostra come l’essere sani possa essere – in certe circostanze – una questione di coraggio, di presa di coscienza di sé e dei propri limiti oltre che di quelli dell’ambiente in cui si vive, spesso pronto a puntare il dito sulle deviazioni da una norma di cui si fatica ad accettare la pressoché totale aleatorietà.