Likemeback – Incontro con Leonardo Guerra Seràgnoli e il cast
Social, giovani, genitori e barche: Leonardo Guerra Seràgnoli e le sue attrici Blue Yoshimi e Angela Fontana parlano di Likemeback.
Tutto passa tramite i social, ormai anche il cinema. È quello che ha cercato di mostrare e portare sullo schermo Leonardo Guerra Seràgnoli con Likemeback, al secondo lungometraggio dopo Last Summer, presentato nel 2014 al Festival di Roma. Per la nuova opera il regista e sceneggiatore sceglie luoghi stretti, in cui è difficile muoversi e vivere la propria intimità, che passa invece tutta per la rete dei social network. E, per farlo, sceglie tre giovani attrici: Blue Yoshimi, protagonista della commedia Piuma, Angela Fontana, una delle due gemelle di Indivisibili di Edoardo De Angelis, e Denise Tantucci, attualmente al lavoro sul set del prossimo film di Nanni Moretti Tre piani. Mentre l’attrice è impegnata nelle riprese, sono le colleghe Yoshimi e Fontana a presentare Likemeback, insieme al loro regista.
Likemeback ha tutta l’aria di un esperimento che si muove anche al di fuori della sala cinematografica, entrando nel vivo dei social, con una campagna di informazione che parte proprio da Instagram. Ce ne volete parlare?
Leonardo Guerra Seràgnoli: “Sì, abbiamo cercato di fare un film sui social media utilizzandoli anche al fine del nostro lavoro. Creare, insomma, una sorta di contromovimento. Nell’opera vediamo tutti gli effetti negativi che stanno influenzando la nuova generazione e da cui non rimangono escluse le persone adulte. Ma abbiamo cercato di usare i social anche in preparazione del progetto, creando un profilo condiviso delle tre attrici su Instagram. Inizialmente si presentavano sull’account come se fossero amiche, poi pian piano ci siamo addentrati nel progetto. Il profilo è stato aperto cinque mesi prima di girare e dalla presenza realistica sui social siamo passati al postare foto delle ragazze, ma in veste di protagoniste di un film. Una sorta di trasformazione, prendendo spunto da personalità famose dell’ambiente social. Si era arrivati al punto che c’era davvero tantissima curiosità intorno alla vacanza delle ragazze, con persone che non capivano più se stessero recitando o se quello che vedevano era tratto da eventi reali.”
Blu Yoshimi: “Confrontarsi con un film simile significava capire i social media. Pur facendone tutti uso, non sempre ne capiamo bene i meccanismi. Siamo passati perciò dal vedere cosa facevano le fashion blogger alle attiviste fino ad arrivare a spettri di interesse sempre più ampio. È davvero una dimensione che non ha limiti. Abbiamo cercato di sperimentarlo a fondo per fare in modo che risultasse vero.”
Angela Fontana: “Sì, un esperimento di sole dodici pagine di sceneggiatura da unire all’esperienza dei social. Al principio si trattava di fare foto semplici, per immergerci poi successivamente in questa realtà, guardando alle persone famose di Instagram per capire al meglio i loro meccanismi. Ho anche parlato con un ragazzo di questo e mi disse che, arrivato a trentamila followers, avrebbe finalmente avuto un contratto che lo avrebbe inserito nel giro di questo mondo alternativo. La cosa interessante è che non c’è stata paura di mettersi in gioco, anche io l’ho fatto, nonostante la mia attrazione/repulsione per questi personaggi.”
Solo dodici pagine di sceneggiatura? Nient’altro?
L.G.S.: “Esatto. Il film parte da un canovaccio a cui ci siamo poi approcciati tutti insieme per dare voce alla generazione che volevamo raccontare. Per me è stato dunque perfetto avere loro come attrici, hanno saputo darmi tantissimi input. Ripeto, un esperimento, per vedere l’immaginario del mondo in cui siamo inseriti, soprattutto con i social. Pur essendo, però, una sceneggiatura aperta, il film ha sempre avuto un arco narrativo ben definito. L’obiettivo era andare alla ricerca pur senza avere una scrittura dettagliata. Bisognava che il film emergesse, venisse più che altro percepito, come una sensazione. E il finale mostra come le nuove generazioni hanno un modo tutto loro per gestire questi mezzi moderni, espedienti che, probabilmente, noi non sapremo mai comprendere fino in fondo.”
Visto che parliamo della reazione degli adulti, cosa vi hanno detto i vostri genitori dopo aver visto il film?
A.F.: “Erano scioccati, però allo stesso momento felici. In fondo l’opera tratta di una realtà che esiste e di cui bisogna capire le scelte. Per un pubblico adulto magari è difficile vedere questi personaggi, ma sono personalità di cui noi giovani ci accorgiamo quotidianamente. Come chi non mangia se non fotografa prima il suo piatto di pasta.”
B.Y.: “Essendo mia madre un’attrice non ha potuto che comprendere il lavoro fatto. Ha saputo capirmi e anche sopportarmi, perché più mi avvicinavo alle riprese più diventavo isterica e fotografavo qualsiasi cosa! Questo proprio per entrare meglio nella parte.”
Leonardo Guerra Seràgnoli: “Likemeback è un esperimento per cercare di raccontare il mondo social in cui siamo immersi.”
È difficile, quindi, saper mantenere rapporti che siano più umani di quelli che intercorrono tra una tastiera e uno schermo? E quanto è importante, per voi, saper vivere ancora il contatto umano con l’altro?
A.F.: “Personalmente l’uso che faccio dei social è molto tranquillo. Non sono una che ne abusa, mi sento una ragazza semplice e ancora ho piacere a incontrare persone dal vivo. Non mi piace parlare attraverso le chat, sono da scambio d’idee in prima persona. Poi, dopo il film, per due settimane non sono riuscita a toccare alcun social!”
B.Y.: “Credo che siamo molto più compulsivi di quanto crediamo quando si tratta di social. Ma se devo mettermi a confronto con altri della mia generazione o ragazzi più piccoli, non mi ritrovo nel loro passare le ore al telefono. Poi, per quanto mi riguarda, sento un bisogno fisico di un rapporto con la natura, quindi in questi casi il telefono è la cosa più anti-naturale che possa esserci. Ma non demonizzo assolutamente la tecnologia, è qualcosa che ci aiuta a sopravvivere. È necessario però ricordarsi che si guadagna sempre qualcosa di più dal contatto umano.”
Girare Likemeback non deve essere stata un’esperienza facile a livello di luoghi e set. Il film si svolge principalmente su di una barca, come avete gestito le tensioni o il poco spazio a disposizione?
B.Y.: “Il concetto di privacy è cambiato drasticamente durante la lavorazione di Likemeback. Prima di cominciare Leonardo ci ha fatto vedere Il coltello nell’acqua di Roman Polański per darci il senso di quanto una barca possa trasmettere la sensazione di claustrofobia. Con le altre, però, non si è mai litigato, non veramente, in fondo si tratta di professioniste. Ma ricordo con piacere il giorno in cui abbiamo girato la scena del litigio e i rapporti e la situazione era ormai così intimi e stretti che il macchinista si è messo a piangere. Mi piace pensare a quell’emozione comune che si è formata.”
A.F.: “È naturale che ci siano delle tensioni stando in un posto così chiuso, in mezzo al mare, con il caldo e quelle scene. Ma, insieme, c’è stato un clima sereno. La tensione era giusta al momento giusto. Come un sabato sera mentre eravamo lì, nel nostro microcosmo, e abbiamo reso amplificata l’isteria di una scena. Come accade, in fondo, nei social, in cui un minimo commento può creare il mondo.”
L.G.S.: “Alla fine girare a luglio, in Croazia e in mezzo al mare ha i suoi lati positivi. Appena concludevamo le riprese potevamo buttarci in acqua a fare un bagno. Comunque lo stare insieme sulla barca ha fatto sì che uscissero quelle dinamiche di cui si ha bisogno se si vuole creare claustrofobia in un luogo simile.”
Un film, tra l’altro, tutto al femminile, che tenta anche di raccontare quel mondo. Che servisse una regista donna a dirigerlo?
L.G.S.: “Sono molto per il gender fluid, quindi non credo fosse necessario. La cosa importante nella regia era riuscire a raccontare la storia di queste tre ragazze pur rimanendo alla giusta distanza, entrare nella loro dimensione più intima senza mai giudicarla o calpestarla. Molto viene poi dalle attrici, si sono messe in discussione pienamente. Il loro stare al gioco, l’improvvisazione che hanno saputo dare, restituendo un senso quasi documentaristico pur rimanendo in una struttura che richiedeva tre settimane di lavorazione.”
B.Y.: “Sono onorata di essere in un film tutto al femminile. E questo perché i personaggi femminili sono fighi, sono belli anche quando non ti ci ritrovi, come mi è capitato con questa ragazza che interpreto. Hanno così tante sfumature che è difficile non rivedere, in qualche maniera, almeno una parte di se stessi. Inizialmente il mio personaggio mi faceva paura, mi spaventava la sua superficialità, l’essere civettuola, ma dietro la sua fragilità ho saputo cogliere un intero mondo.”
A.F.: “È stato bello partecipare a un film di tutte donne, abbiamo saputo essere aperte tra di noi e non abbiamo avuto timore nel confidarci. C’è stato davvero uno scambio umano, senza alcuna competizione. E questo è anche merito di Leonardo, che come regista ha saputo metterci incredibilmente a nostro agio, cosa non così facile. Pur essendo anche io lontana dal mio personaggio, ne ho saputo cogliere la parte più sofferta. La cosa fondamentale era quella di riuscire a rendere tutto credibile, nonostante i momenti di spontaneità richiesti dal film.”