Santa Clarita Diet – Stagione 3: recensione della serie tv Netflix
Due agenti immobiliari, marito e moglie, la loro vita perfetta e un piccolissimo problema: lei è una non morta. Nella terza stagione di Santa Clarita Diet le disavventure della famiglia Hammond aumentano a dismisura: riuscirà la coppia a – ehm – sopravvivere?
Esaurito l’effetto novità delle prime due stagioni, Santa Clarita Diet – serie tv originale Netflix che ha visto la luce nel febbraio del 2017 – riparte da un lato con l’affermazione del suo piccolo strambo universo, in cui l’assurdità della trasformazione in zombie è diventata ormai consuetudine, e dall’altro con l’ovvia necessità di delineare nuovi spunti narrativi accattivanti, capaci di tenere in piedi una vicenda assimilabile per ritmo e durata alla sit-com (gli episodi non sforano mai la mezz’ora) perfetta per la visione in bingewatching.
Siamo sempre in California, nella relativamente piccola comunità di Santa Clarita, all’interno della famiglia Hammond; Sheila e Joel, immobiliari affermati con un’apparente vita normale e, anzi, perfetta, procedono a passo spedito verso l’accettazione di un’evidenza ormai innegabile: lei è una non morta, e come tale deve nascondere per quanto possibile la sua condizione e al contempo procacciarsi carne umana per continuare a – ehm – sopravvivere. Avevamo lasciato la coppia alle prese con un cliffhanger importante, alla fine della second season: come si sarà tratta d’impaccio?
Santa Clarita Diet: sarcasmo, grottesco e demenzialità [ATTENZIONE SPOILER]
Nell’ultima puntata della seconda stagione, i nodi sembrano venire al pettine: la poliziotta Anne – fervente religiosa – scopre Sheila e Joel intenti a seppellire Gary (o, perlomeno, quel che di lui resta). Ma il colpo di scena, che pigia sul pedale del grottesco, è ad un passo: Anne si convince che Sheila sia una portavoce di Dio e del suo volere, e decide quindi di proteggerla e diffondere a suo modo il Verbo. È un momento spartiacque, che rende appieno l’idea di un piccolo/grande cambio di registro della serie: dal sarcasmo e dal gusto per il paradosso divenuti marchio di fabbrica del prodotto, si passa nella terza stagione a una sorta di più spinta e aperta demenzialità.
Uno scarto che può piacere o non piacere, ma che appare ben visibile soprattutto nei primi nuovi 5 episodi: la scrittura dello showrunner Victor Fresco inizia a ragionare a compartimenti stagni e per accumulo, affastellando una sequela di gag che, per quanto divertenti, restituiscono l’idea di una certa confusione e di una certa scarsa chiarezza sul da farsi. Ci sono i teenager Eric e Abby, alle prese con il loro attacco a sfondo ambientalistico; c’è Gary (la testa parlante), che aiuta gli Hammond a dare il via alla propria agenzia immobiliare; c’è lo sciroccato Ron, che desidera ardentemente diventare uno zombie. Le sottotrame su cui si punta maggiormente sono, tuttavia, altre due: quella riguardante il misterioso Ordine dei Cavalieri di Serbia, che ha come missione quella della distruzione delle creature immortali; e quella del fanatico Poplovic, che vuole servirsi dei non morti per motivi… discutibili.
Santa Clarita Diet: Drew, Timothy… e gli altri
Similmente a Stranger Things (altro prodotto di punta del catalogo Netflix, cresciuto col passare del tempo e del passaparola), che ha meritoriamente ripescato dall’oblio Winona Ryder, anche Santa Clarita Diet ha deciso di puntare su una talentuosa attrice dimenticata dopo i fasti degli anni ’80, Drew Barrymore. Sulle sue spalle – ma anche su quelle del suo partner Timothy Olyphant, interprete dall’insospettabile talento comico che vedremo prossimamente nell’ultimo film di Quentin Tarantino C’era una volta… a Hollywood – si regge la maggior parte della serie, dei dialoghi e dei momenti clou della narrazione.
In questo terzo capitolo, tuttavia, acquistano importanza altri due personaggi: Abby, figlia dei due coniugi, e il vicino di casa Eric. Entrambi teenager, entrambi partecipanti attivi del segreto riguardante la protagonista Sheila/Drew, ed entrambi consapevoli di provare una forte simpatia reciproca. Il loro rapporto, complice anche l’esplosione al sito di fracking di cui sono stati artefici, si evolverà mettendoli al centro di svariati equivoci e facendoli crescere. Se da un lato i caratteri di Sheila e Joel risultano oramai ben definiti e di fatto immutabili, e dall’altro ai comprimari non è quasi mai concesso un approfondimento psicologico degno di nota, al centro Abby ed Eric si dimostrano al contempo collaudati e mai prevedibili, favorendo l’empatia dello spettatore.
Finchè morte non vi… unisca
Per quante scombiccherate avventure la famiglia Hammond si ritroverà ad affrontare, il vero cuore pulsante della vicenda, quello che crea un gancio con un potenziale sviluppo della trama è l’improvvisa offerta di immortalità fatta da Sheila al marito. Una conseguenza prevedibile, eppure non scontata, vista anche la titubanza di lui che rischia di compromettere il rapporto di coppia. Un dilemma morale di non facile risoluzione: ha senso decidere il destino altrui stabilendo a tavolino chi sia meritevole o meno di ricevere il “dono” della vita eterna?
In questo senso, Sheila si ritroverà in particolar modo di fronte a due opposti esempi: Ron, che otterrà l’immortalità con l’inganno non facendone decisamente buon uso; e l’anziana Jean, che sfugge a morte certa proprio grazie alla protagonista. Nel finale di stagione la scelta di Joel diventerà obbligata e obbligatoria, stabilendo nuove coordinate che di fatto gettano le basi per il prosieguo della storia e la costruzione, dunque, di una quarta stagione che potrebbe ulteriormente rilanciare la serie ridandole nuova linfa. Sarà difficile separarsi da Santa Clarita Diet, dal suo registro tragicomico e perennemente sopra le righe. Ma è anche lecito e logico pensare che, in fondo, la serie il meglio lo abbia già – egregiamente – espresso, e sarebbe davvero controproducente protrarla all’infinito: anche i guilty pleasure, prima o poi, meritano una degna conclusione.