Un mondo perfetto: analisi del film e spiegazione del finale
Il bandito Kevin Costner e un'analisi morale della società americana: Un mondo perfetto racconta una fuga, un'amicizia impossibile e un sogno irrealizzabile.
Ideale anello di congiunzione fra il cinema muscolare e machista realizzato fino a quel momento da Clint Eastwood (i western degli anni ’60, la saga dell’ispettore Callaghan e Gli spietati, che sbanca gli Oscar nel 1993) e la maturità etica e morale raggiunta indicativamente nel 2003 grazie a Mystic River (e arrivata al suo ennesimo capitolo nel 2018 grazie a Il corriere – The Mule), Un mondo perfetto nasce quasi per caso. Da una sceneggiatura altrui, per la precisione – firmata da John Lee Hancock – e seguendo l’iter dei film su commissione, che non prevedono grandi slanci autoriali e che anzi (sulla carta) limitano i personalismi.
Ma un film diretto da Eastwood, lo sappiamo, è sempre fieramente un film di Clint Eastwood, in ogni sua sfumatura. All’epoca dell’uscita in sala, Un mondo perfetto creò scompiglio sia fra il pubblico che fra la critica, per il suo punto di vista anomalo: una pellicola d’inseguimento senza suspense, che porta a una forte empatia con l’antieroe protagonista (un eccezionale Kevin Costner post-Guardia del corpo, all’apice della sua carriera attoriale), che sequestra un innocente bambino per inseguire in qualche modo il sogno di una impossibile libertà; un’opera che, soprattutto grazie al suo finale, entra a pieno diritto nell’empireo dei film senza tempo.
Un mondo perfetto: storia di un rapimento (o di un salvataggio?)
Siamo a Dallas, in Texas, nell’ottobre del 1963, e si parla anzitutto di una famiglia appartenente ai Testimoni di Geova. Il piccolo Philip, in particolar modo, vorrebbe festeggiare Halloween, ma non può: la sua religione non riconosce tale ricorrenza. In parallelo assistiamo all’evasione dal carcere di Huntsville di Butch Haynes e Terry Pugh, costretti alla fuga assieme nonostante i caratteri diametralmente opposti: pacato e riflessivo il primo, violento e rozzo il secondo. Si arriva così a un inevitabile contrasto: il rude Terry fa irruzione proprio nell’appartamento di Philip, minaccia sua madre e a Butch non rimane che eliminare il compagno prendendo come ostaggio il ragazzino e, di fatto, salvandolo dalla furia del socio.
Inizia la fuga e con essa l’indagine: sulle tracce del fuggiasco si mettono il texas ranger anticonformista Red Garnett e la criminologa Sally Gerber (Laura Dern, che nello stesso anno acquisterà notevole fama grazie a Jurassic Park di Steven Spielberg). Il rapporto fra i due non è semplicissimo: Red è un uomo tutto d’un pezzo, che sembra uscito da un western con John Wayne e che ritiene la donna sempre e comunque subordinata all’uomo (“Un bel fondoschiena e un buon senso dell’umorismo aiutano molto”); Sally è goffa ma volitiva, e conosce molto bene la storia pregressa dei due criminali.
Un mondo perfetto: niente paura, niente crimine, niente prigione
In fuga verso l’Alaska, Butch e Philip instaurano un sincero rapporto di amicizia: al bimbo viene concesso d’indossare il costume di Casper, di andare al luna park e di chiedere finalmente “dolcetto o scherzetto” bussando alle porte. Per Philip, Butch diventa un po’ il padre che non ha mai avuto, e il medesimo meccanismo scatta in Butch, che non ha mai vissuto una vera infanzia a causa del padre assente. Non c’è malizia, ma solo tenerezza, e inevitabilmente si finisce per parteggiare a favore di un bandito che bandito non è, o che – per meglio dire – è stato costretto a vivere una vita probabilmente diversa da quella che avrebbe voluto.
Nell’illusorio on the road dei due fuggitivi è racchiuso il senso ultimo del titolo: nel loro lungo e apparentemente insensato peregrinare attraverso l’America, la paura, il crimine e la prigione (fisica, ma anche mentale) non esistono più. È un piccolo mondo utopico e perfetto, che non esiste perché non può esistere, che ribalta la suddivisione manichea fra innocenti e colpevoli soprattutto nell’ammissione del ranger Garnett/Clint Eastwood: Butch è stato incarcerato ingiustamente, per reati minori, ed essenzialmente per farla pagare in verità al padre latitante che si era macchiato di reati ben più gravi. Nessuno è in pace con se stesso, nessuno è esente da colpe: è uno dei marchi di fabbrica del Clint Eastwood regista, che successivamente avrà modo di affinare, ad esempio, nel dittico Flags of Our Fathers e Lettere da Iwo Jima (entrambi del 2006).
Un mondo perfetto: spiegazione del finale
La situazione precipita quando Butch prende in ostaggio una famiglia di afroamericani: le intenzioni sarebbero pacifiche, con la semplice richiesta di un riparo momentaneo soprattutto per il bimbo, ma qualcosa va storto. Il capofamiglia infatti sente in radio la descrizione dei due fuggitivi, si spaventa e inizia ad agitarsi soprattutto con il nipotino, malmenandolo. Quest’atteggiamento risveglia i ricordi negativi della propria infanzia in Butch, che lega i componenti del nucleo familiare. A questo punto però, il piccolo Philip si ribella, sparando a Butch e fuggendo.
Il breve e intenso inseguimento ci trasporta nei territori del melodramma: l’uomo, ferito si accascia in un prato, sotto un albero, spiegando al ragazzino che mai avrebbe fatto del male a quella famiglia. Nel frattempo, l’accerchiamento della polizia giunge al termine. Il poliziotto Garnett mantiene a fatica l’ordine, mentre la madre arriva sul posto e un cecchino, credendo che Butch Haynes stia per tirare fuori la pistola (che non ha più), gli spara.
È la fine: Philip viene fatto allontanare assieme alla madre, su un elicottero. Entrambi sono sconvolti, il primo per aver perso la figura paterna che mai aveva avuto in vita sua, e la seconda per il terrore – scampato – di aver potuto perdere suo figlio. Butch invece resta disteso sul campo, ormai esanime. La sua espressione, tuttavia, ci comunica altro: la pacificazione col mondo, la purezza propria di un immaginario – quello americano – che è stata sporcata dalla corruzione e dalla diseguaglianza. Su quel prato si infrange, per l’ennesima volta, l’american dream, il sogno falsato di un mondo migliore per tutti.