Schegge di paura: spiegazione del finale del film con Richard Gere
Come finisce il film Schegge di paura? Ecco la spiegazione dell'epilogo del thriller diretto da Gregory Hoblit con protagonisti Richard Gere e Edward Norton.
Diretto da Gregory Hoblit nel 1996, Schegge di paura è un thriller – tratto dall’omonimo best seller (1993) di William Diehl, che può essere annoverato tra i migliori film di suspense, con protagonista Richard Gere, l’avvocato Martin Vail, al cui fianco c’è Edward Norton – candidato agli Oscar come Miglior attore non protagonista –, al suo esordio sul grande schermo, che interpreta il giovane Aaron Stampler, un chierichetto timido e impacciato. Il film si apre con l’efferato omicidio dell’Arcivescovo Rushman, viene incolpato il ragazzo, trovato in un bagno di sangue poco lontano dall’abitazione del religioso. Del caso si occupa l’avvocato rampante Vail, amante delle sfide: come provare che quel giovane non è realmente l’assassino dell’alto prelato?
Hoblit costruisce intorno ai due personaggi un legal thriller che prende forma, di sequenza in sequenza, fino ad arrivare al sorprendente finale che sconvolge lo spettatore. Il regista vola su una Chicago plumbea e triste con una scrittura che è molto classica, per immagine, ma per lui il punto centrale è l’umano e si concentra sulla caratterizzazione dei personaggi, su ciò che li abita e i rapporti tra essi.
Schegge di paura: la spiegazione del finale del film
Martin, il classico avvocato che in passato ha fatto qualunque cosa per vincere, sembra colpito da questo giovane con una storia difficile, e si spende, nonostante in principio sembra essere una scelta dettata dal suo ego, con tutto se stesso per aiutarlo e fare emergere la verità. Mentre investiga lui e la sua squadra trovano dei video in cui il ragazzo viene spinto ad avere dei rapporti sessuali con la sua ragazza, Linda Forbes, ed un suo amico, sotto l’occhio compiaciuto dell’Arcivescovo che motivava tale costrizione come atto per purificare le loro anime. L’uomo è l’unico a credergli, a stare dalla sua parte, fino a quando viene a galla una scomoda realtà: durante i colloqui con la dottoressa Molly Arrington (Frances McDormand) succede qualcosa d’inspiegabile: nel suo assistito fa capolino un’altra personalità, Roy, brutale, violenta, senza freni.
Durante uno di questi incontri Aaron confessa di aver ucciso l’Arcivescovo perché “l’altro” non sopportava più le oscenità a cui Rushman lo costringeva. Questo, secondo l’avvocato, non sarà un elemento a loro vantaggio anzi; e quindi è costretto a ricominciare tutto daccapo. Ogni cosa sembra essere avversa a Martin sempre più consapevole che la vittoria, fin dall’inizio ardua, si allontana inesorabilmente.
Se Martin ha messo da parte il successo, i soldi facili, la popolarità a ogni costo, a favore di una causa in cui crede sempre di più – questo perché il timido, balbuziente Aaron l’ha “conquistato”-, il suo assistito sembra essere sempre più fragile. Il ragazzo “perde il tempo” – cosa che gli è accaduta anche quando è stato ucciso l’Arcivescovo –, come dice lui stesso, cioè quando è messo sotto pressione, ha dei vuoti di memoria e a riempirli ci pensa il suo “gemello” cattivo; e questo gli capita ormai frequentemente. Il momento fondamentale per arrivare poi a comprendere il finale è quello in cui Aaron è chiamato alla sbarra ed è incalzato dalla pubblica accusa, Janet Venable (Laura Linney). Si rivela di fronte a tutti Roy che afferra al collo l’avvocato; questo gesto dimostra l'”innocenza” di Aaron, quando ha ucciso il prelato era in balia completa di Roy, non era presente a se stesso. La giudice a quel punto è costretta a concedere per infermità mentale il patteggiamento al giovane che deve trascorrere un mese in un ospedale psichiatrico.
Schegge di Paura: recensione del film con Richard Gere
Schegge di paura sembra aver raggiunto il lieto fine: Martin ha ottenuto la tanto sperata vittoria professionale e Aaron risulta innocente; Hoblit però cambia direzione e si capovolge ogni cosa dopo che l’avvocato va in cella dal giovane per salutarlo.
Schegge di paura: un finale che sorprende lo spettatore
Sono di nuovo uno di fronte all’altro come nel primo incontro, ma questa volta c’è molto di più tra loro: il “viaggio” compiuto, la vittoria raggiunta, i sentimenti che comunque, inevitabilmente, li legano. Martin ritrova quel ragazzo spaventato e atterrito che l’aveva tanto toccato per le sue fragilità e le sue ferite, ha verso di lui quasi un atteggiamento paterno. Il volto dell’avvocato è soddisfatto, ma non tanto professionalmente quanto emotivamente; non immagina cosa sta per scoprire, una verità che lo distrugge perché per lui inaspettata e sconvolgente.
Aaron dopo aver ringraziato il suo avvocato (“Io l’ho capito appena entrato nella mia cella, l’ho capito che sarebbe andato tutto liscio, lei mi ha salvato la vita”) e averlo interrogato sulla propria sorte, gli dà un assist che Martin deve cogliere:
Può dire alla signora Venable che mi dispiace e che spero che il collo le sia guarito.
Queste parole sembrano dette apposta per raccontare una verità scomoda che il giovane non può più tenere dentro, ma anche un modo per sfidare il suo avvocato. Un assist che apre un discorso scomodo e difficile da affrontare. Oramai è chiaro, è Aaron a non esistere; Aaron è stato “costruito” da Roy – “Non c’è mai stato nessun Aaron”, ammette il giovane – per superare gli ostacoli senza troppa fatica. La balbuzie e lo sguardo intimidito sono spariti, la voce insicura e spaventata solo un ricordo, ora c’è il ghigno sadico, lo sguardo tracotante, la voce sicura e audace; è una sfida anzi, è un banco di prova da cui Aaron/Roy esce vittorioso.
Scusa come hai detto? Hai detto che non ti ricordavi, che eri svenuto, come sapevi del collo?
Martin è sconvolto, l’unica volta in cui si era messo in gioco profondamente con tutto se stesso, è stato beffato dal cliente che stava difendendo. L’avvocato appare come un uomo vinto e deluso; sconfitto da chi ha aiutato senza chiedere nulla in cambio.
Martin si trova di fronte al “disagio umano”, scuote la testa mente Aaron/Roy gli racconta ogni cosa, mentre descrive come un’opera d’arte l’assassinio dell’Arcivescovo, e lui non può dire altro che “Sei bravo, sei proprio bravo”.
L’unica cosa che può fare l’avvocato è andarsene, lasciare il giovane nel delirio di onnipotenza che l’ha rapito. Il ragazzo si bea della sua, anzi della loro, vittoria; convinto che quella che hanno creato sia una coppia perfetta. A quel punto Hoblit segue la “camminata” di Martin fuori dalla cella alla strada. Passando per il tribunale l’avvocato si guarda intorno come perso dopo una confessione così sconvolgente, alla ricerca di quelle certezze che l’assassino gli ha tolto; e infatti l’occhio cinematografico si libra nell’aria, si capovolge per testimoniare che ogni cosa si è capovolta. Non c’è Giustizia in Schegge di paura né per l’Arcivescovo, né per il suo assassino. Infatti Martin non si sente di festeggiare, di mostrarsi ai giornalisti – cosa per cui viveva prima -, invece esce dalla porta sul retro, dove non c’è la folla ma solo la città ad accoglierlo.