Bifest 2019 – Vado verso dove vengo: recensione del docufilm di Nicola Ragone
Il regista Nicola Ragone racconta i margini e le periferie nel suo documentario presentato al Bari International Film Festival: Vado verso dove vengo.
Che la Basilicata diventasse protagonista di questo 2019 cinematografico è risultato prevedibile con la celebrazione di Matera, Capitale europea della cultura. Non che sia visto in un’accezione negativa, al contrario, si rivela pian piano occasione per scoprire o riscoprire luoghi ancestrali, poco conosciuti e quasi dimenticati. Dopo Lucania – Terra sangue e magia di Gigi Roccati, il Bari International Film Festival accoglie un nuovo progetto cinematografico – in questo caso documentaristico – ambientato nei luoghi nascosti della regione italiana che ospita la Città dei Sassi. Vado verso dove vengo, tuttavia, così come il film di Roccati, non si traduce nella visione della famosa città che ha ospitato le grandi e piccole produzioni italiane e straniere come La passione di Cristo o Cristo si è fermato ad Eboli, ma si spinge verso borghi e paesaggi marginali e periferici.
In Vado verso dove vengo i margini e le periferie diventano protagonisti
Il documentario diretto dal regista Nicola Ragone fonda le proprie radici su un impianto tematico che percorre le strade dell’antropologia. Con la partecipazione, infatti, di un antropologo, un poeta, una scrittrice, un musicista, un coreografo, una giornalista e un paesologo, Vado verso dove vengo dipana il suo racconto in uno studio verso il fenomeno di spopolamento dei borghi marginali e periferici, l’immigrazione e, contrariamente – quasi in modo paradossale – il fenomeno opposto che vede il ritorno e l’arrivo in quei luoghi dimenticati e sempre più abbandonati.
Ambientato nella profonda Lucania, Vado verso dove vengo, raggiunge con facilità il proprio obiettivo di racconto, descrivendo quindi, da un lato una desolazione dovuta dalla partenza di residenti che, o per necessità o per desiderio di più concrete possibilità di vita, sono andati via dalla terra natia, e dall’altro di colo che invece hanno scelto di tornare o arrivare. Le personalità interpellate nel documentario spaziano dal paesologo Franco Arminio, che non se n’è mai andato dal suo paese credendo nelle potenzialità naturali e culturali di questo, all’architetto Andrea Paoletti, che dopo anni di lavoro in Italia e all’estero ha deciso di puntare con una creativa ed interessante strategia di recupero alla rinascita del borgo di Grottole, a pochi passi da Matera.
Restare, partire, tornare, arrivare
Saltando dalle aree rurali abbandonate dell’entroterra ai vertiginosi grattacieli di New York, passando per le quiete coste svedesi, Vado verso dove vengo racconta approcci differenti verso le tematiche sopracitate. Ci si chiede, procedendo nella visione del documentario, chi veramente siano queste persone: lucani? stranieri? entrambe le cose? o nessuna delle due?
Nasce un dibattito umano e sociale che ci porta a riflettere sull’importanza di questi luoghi marginali e periferici. Veniamo spinti verso un discorso più ampio che vede la comunità come un pilastro fondamentale. Mentre alcuni vanno via, altri decidono di tornare, altri ancora arrivano con progetti ed idee volti a re-immaginare e ricreare qualcosa che possa veder rifiorire delle aree fantasma.
L’utilizzo della macchina da presa, nel suo vorticare da un luogo all’altro, dalle alture lucane alle torri d’acciaio e vetro d’oltreoceano, raggiunge con facilità un contrasto visivo che traduce anche quel titolo dal tono quasi paradossale. Quel Vado verso dove vengo diventa quindi un percorso circolare caratterizzato da un andirivieni ciclico, appunto, che spinge la gente ad andare e a tornare. Un documento efficace, che colpisce nel segno, che restituisce dignità alle aree tralasciate, e che ha la capacità di trascendere dalla sua particolare localizzazione fino ad ampliare i propri orizzonti.