The Island: recensione del film di Micheal Bay
The Island, il film action sci-fi diretto da Michael Bay con Ewan McGregor e Scarlett Johansson alla ricerca affannosa della propria identità.
Nel 2005 esce nelle sale il film The Island del regista statunitense Michael Bay. Ambientato in un ucronico 2019 la pellicola segue le vicende di Lincoln Six Echo (Ewan McGregor), uno tra i pochi sopravvissuti a una contaminazione che ha ridotto drasticamente la popolazione mondiale. Incubi frequenti e una ferrea volontà di cambiamento spingono Lincoln a mettere in dubbio la realtà che conosce, spingendosi a riflessioni esistenziali sulla propria identità.
Il film presenta una struttura fortemente bipartita. Dividere in parti una sceneggiatura non è un difetto registico se la scelta narrativa segue un percorso di programmaticità e di coerenza. The Island non affronta questo percorso, risultando un film discontinuo nella narrazione e volubile nella struttura perché non gestisce in modo intelligente la ‘crasi del genere’: la pellicola si presenta nelle intenzioni come un action/sci-fi eppure la fusione di genere non sussiste (i due generi non coesistono per equilibrio e per durata). Il film di M. Bay possiede un prologo sci-fi in cui sono presentate profonde tematiche di fantascienza e di etica scientifica; dopo l’incipit tali argomenti sono completamente dimenticati e rimossi a favore di una narrazione puramente action.
The Island e la polisemia registica a tratti fastidiosa
The Island riesce in parte nell’intento di catturare il pubblico con l’azione scenica malgrado l’intrattenimento subisca continuamente due rallentamenti di regia, legati al montaggio e alla scenografia. Le riprese sono costruite tramite un montaggio che segue lo schematismo di un valzer (1-2-3): la scena è interrotta da un montaggio frenetico e l’azione risulta visivamene faticosa da seguire perché il regista adopera per ogni stacco di montatura scelte di ripresa di volta in volta diverse.
La voluta polisemia registica di M. Bay risulta meno fastidiosa unicamente nei momenti in cui il regista segue una coreografia costante (molte scene presentano lo schema: panoramica, angolo olandese, primo piano). Talvolta anche l’azione presenta una rigida ripetitività dal momento che l’interezza narrativa del film è sintetizzabile come un road movie basato su lunghi inseguimenti in – seguendo la cronologia dell’intreccio – treno, moto, elicottero e auto. Il rallentamento dell’intrattenimento legato alla scenografia risiede nel rapporto fisico tra i personaggi e il loro modo di interagire con l’ambientazione scenica: la sospensione dell’incredulità è costantemente minata a causa dell’incapacià logica dello spettatore di capire le equivalenze delle forza messe in scena (una caduta dal settantesimo piano di un grattacielo o la rottura del cavo di sicurezza di un tir da trasporto merce sono azioni che i due protagonisti della pellicola riescono facilmente a compiere senza fatica o danno; eppure i medesimi personaggi soffrono momenti di inferiorità fisica durante alcuni scontri con gli antagonisti della vicenda narrata).
La debolezza della sceneggiatura riscontrata nella struttura trova contraltare nel contenuto a causa delle citate dimenticanze tematiche legate alla clonazione esposte nel prologo. Questa debole scrittura possiede l’inconsapevole pregio di dare risalto a interessanti spunti di riflessione cinematografica che evidenziano una tentata cura formale da parte degli sceneggiatori Caspian Tredwell-Owen, Alex Kurtzman e Roberto Orci. La tematica sulla moralità del progresso tecnologico e sull’etica deontologica della scienza trova un’ampia filmografia di confronto e analisi; un esempio, Blade Runner di Ridley Scott.
Il film del 1982 è simbolicamente evocato in The Island tramite la tecnica narrativa dell’agnizione, la presa di coscienza di un personaggio riguardo la propria identità: in entrambe le opere l’agnizione conserva la concezione teatrale greca dell’oggetto rivelatore (in Blade Runner, indipendentemente dall’edizione della versione cinematografica, l’origami di un unicorno; in The Island il disegno di un’imbarcazione). L’agnizione e l’imbarcazione (battezzata, come da tradizione marittima, con il sostantivo latino Renovatio, ‘rinascita’) sono collegati in sceneggiatura da un piacevole lavoro linguistico: il sostantivo ‘agnizione’ è legato alla medesima radice latina del nome con il quale sono generalmente nominati i cloni, ovvero ‘agnati’; entrambe le parole derivano dal verbo latino nascor, ‘nascere’. A pronunciare questa terminologia è lo scienziato a capo del progetto di clonazione, il professore Merrick (Sean Bean); a tale proposito risulta come un’ironica incogruenza narrativa l’incapacità del medesimo Merrick di non riconoscere dall’inizio la lingua latina dietro il sostantivo ‘renovatio’. La scelta dell’incomprensione linguistica è una necessaria forzatura dal momento che l’imbarcazione è fondamentale nello scioglimento di trama sull’anomalia genetica dei cloni. L’incongruenza diventa però grave in fase di recitazione poiché il personaggio interpretato da S. Bean ammette di non capire la parola ma pronuncia la lettera dentale T di ‘renovatio’ nella corretta pronuncia latina dell’affricata Z).
Le buone interpretazioni di Ewan McGregor e Scarlett Johansson in The Island
Tralasciando le precisazioni fonetiche gli attori in recitazione compiono un discreto lavoro riuscendo a trasmettere tramite la comunicazione non verbale il continuo senso di stupore che i cloni provano nel loro approcciarsi per la prima volta alla vita reale. I protagonisti del film, Ewan McGregor e Scarlett Johansson, comunicano con lenti movimenti del corpo la tipica meraviglia infantile dell’avventura e della scoperta; probabilmente la decisione di rendere infantile la caratterizzazione degli attori è il motivo della recitazione didascalica di E. McGregor e S. Johansson. In lingua originale The Island offre un maggiore approfondimento su questa performance attoriale; in un dialogo del film un personaggio maschile comunica la propria felicità dovuta a una conversazione con una donna riportando la frase ‘She said me dude. D-O-O-D’: il personaggio effettua lo spelling della parola attraverso l’eye dialect (una pratica linguistica usata da persone che non padroneggiano a pieno la grammatica del loro idioma ed effettuano uno spelling basato sulla pronuncia e non sull’ortografica; dunque D-O-O-D piuttosto che D-U-D-E). Questa scelta attoriale sottolinea l’aspetto infantile dei cloni. Nell’adattamento italiano questo approfondimento viene meno tramite la banalizzazione della frase ‘Lei mi ha detto cocco. C-O-C-C-O’.
The Island cerca la propria identità come una dispotica e confusa fiaba
The Island tenta in fotografia e in scenografia di offrire l’empatica sensazione di un ambiente distopico. Le intenzioni registiche sono teoricamente buone ma la realizzazione tecnica fallisce nell’intento: la fotografia risulta eccessivamente satura e l’abuso cromatico del bianco e del controluce rende plastica la rappresentazione scenica degli ambienti e dei personaggi. I colori alternano in modo confusionario la visione fredda e desolante dell’ucronia alla visione calda della fiaba d’amore (unica nota piacevole è l’ironica considerazione del personaggio Lincoln che afferma di detestare il monocromatismo imperante del bianco). Ugualmente la scenografia e il reparto dei costumi tentano di creare un’ambientazione distopica fedele ai romanzi di George Orwell; il tentativo si limita a brevi allusioni potenzialmente valide. La pellicola presenta uno scenario storiografico in cui la mercificazione dei cloni assume parallelismi con il genocidio: il personaggio interpretato da S. Bean afferma la necessità di marchiare a pelle i cloni come metodo di identificazione e sostiene la decisione di una soluzione finale definita letteralmente ‘di massa’ (un ambiente in particolare è costruito in scenografia come parte di un campo di concentramento). Queste caratterizzazioni sceniche sono prive di potenza visiva perché sono presentate in modo estremamente rapido (emerge evidente la volontà di evitare scelte visive orrorifiche, diversamente da quanto accade nel film Parts: The Clonus Horror che presenta una trama talmente identica al film di M. Bay da causare problemi legali alla DreamWorks).
The Island risulta meritevole soltanto nelle intenzioni perché privo di una propria fisionomia; a inizio pellicola il protagonista si lamenta della scomparsa della propria scarpa, comportandosi allegoricamente come una distopica Cenerentola in cerca della propria identità: un clone cerca se stesso tra i dubbi esistenziali della vita reale come un film cerca se stesso tra la confusione registica di un frenetico M. Bay.