Corpi: recensione dell’Orso d’Argento a Berlino per la regia

Un intreccio di tre anonime ma particolari esistenze, la struggente e, contemporaneamente, ironica cronaca di fatti realmente accaduti nella Polonia di Malgorzata Szumowska (Happy man, In the name of) cucite su celluloide con un ago dolorosissimo ma che non riesce a non fare il solletico: il film premiato con l’Orso d’argento per la regia all’ultimo festival di Berlino e “Miglior montaggio” agli EFA sbarca oggi nelle nostre sale con titolo Corpi, nonostante sia in polacco che in inglese sia stato al singolare (noi italiani abbiamo bisogno di cambiare titolo alle opere cinematografiche, fosse anche solo per il numero del sostantivo).

Olga (Justina Suwala) è una ragazza anoressica che ha da poco perso la madre, suo padre Janusz (Janusz Gajos) è un cinico procuratore di Varsavia che non ha ancora digerito la morte di sua moglie e affoga le lacrime nella vodka e che avrà bisogno di Anna (Maja Ostaszewska) per cercare di riempire le sue mancanze, una medium capace di metabolizzare al meglio anche la morte del figlio neonato nonché terapista nella clinica in cui verrà ricoverata Olga.

Gajos (Barriera, Tre colori:Film bianco) è un noto attore teatrale polacco che ha già lavorato al cinema diretto da registi del calibro di Skolimowski e Kieslowski; trasformato dalla Szumowska nell’archetipo del miscredente poco incline a sentimentalismi ed all’essere impressionabile impersonando, di fatto, la maggioranza della popolazione mondiale che non riesce a capacitarsi della crudeltà con la quale la vita si diverte a tormentare i suoi figli prediletti senza mai dimenticare di ostentare falsa sicurezza nei propri mezzi.

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Anche la carriera dell’Ostaszewska non si discosta chissà quanto da ciò che siamo abituati a sentire, ha cominciato col teatro per poi approdare il pellicole come Il Pianista (Polanski) o Schinler’s list (Spielberg) fino a diventare la praticità fatta persona di chi non si scoraggia neanche davanti alla perdita dei propri cari, forte delle sue capacità al limite tra il paranormale e la fandonia: riesce, infatti, a contattare le persone dall’aldilà e a farle interagire col nostro mondo senza l’aiuto di finestre che sbattono od inattendibili sbalzi di corrente.

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State tranquilli, non intendiamo intraprendere la carriera di biografi di attori dell’Europa dell’est, era soltanto un doveroso preambolo per presantarvi Justyna Suwala, la giovane interprete di Olga. E’ curioso osservare che il ruolo della ragazza attorno alla quale ruotano le altre due vicende raccontate sia stato assegnato tramite Facebook ad una ragazza assolutamente non anoressica che ha dovuto farsi portavoce di un disagio di cui soffrono, invece, le altre ragazze con cui divide le giornate passate in clinica all’interno del film.

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La loro vera sfida è stata mettere in scena la malattia che vivono con la naturalezza che solo chi ne soffre può far finta di sdrammatizzare.

Badate bene, però: categorizzare questa pellicola come un film sull’anoressia sarebbe quanto di più sbagliato possibile. Il corpo diventa non soltanto il contenitore nel quale gettiamo cibo e liquidi di ogni sorta, ma anche la prigione dello spirito, della mente, baluardo delle sicurezze infondate e delle paranoie più indicibili, incapacità dello stare al mondo, inconsapevolezza della vita ultraterrena, patria del grottesco ed inverosimiglianza di sé stessi.

È un film d’autore di quelli che, sapientemente, in poco meno di 90 minuti comprime concetti che in un colossal da tre ore e mezzo farebbero fatica a districarsi, ben amalgamati in un’opera dal retrogusto leggermente acido che tiene tutto sulla bocca dello stomaco fino alla fine. Luci ed ombre si tengono per mano accompagnandoci in una narrazione parallela rispetto a quella raccontata interpretando, senza dubbio, un ruolo mai marginale che non compromette quello dei protagonisti in carne ed ossa ma ne esalta i difetti.

Risulta difficile non affiancarlo ad Hereafter di Clint Eastwood sia per i temi trattati che per le atmosfere create, ma Corpi ha quel pizzico di ironia da risata a denti stretti simile a quella capace di trasmetterci il personaggio di Emma Stone in Magic in the moonlight di Woody Allen. Una differenza sostanziale è che Maja Ostaszewska è molto più carina dal vivo che nel film!

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Siamo stati felici di incontrarla al termine della proiezione per farci raccontare della sua esperienza nelle comunità di recupero per teenagers con disordini alimentari e tutto l’iter per entrare al meglio nel personaggio.

Nonostante il suo fluido inglese, ha risposto alla nostra domanda con l’aiuto dell’interprete, senza resistere alla tentazione di svelare un piccolo SPOILER.

Giudizio Cinematographe

Regia - 3.8
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3.3
Recitazione - 3.7
Sonoro - 3.1
Emozione - 3.5

3.4

Voto Finale