À l’intérieur: recensione
Ouvre-moi ta porte…que je t’ouvre le ventre, recita la didascalia di À l’intérieur film che letteralmente scava nelle viscere più profonde della follia,ma anche nei corpi squartati ed osservati attentamente da vicino dallo sguardo inorridito (ma assieme morboso) dello spettatore.
À l’intérieur: dentro lo splatter francese
Da sempre il genere splatter tocca un pubblico assai vasto, fantasie di morte e di sezionamento del corpo umano sono messe in scena per una platea di semplici spettatori. Sembra quasi, per certi versi, che lo spettacolo della sofferenza permetta a chi guarda di penetrare dentro i corpi squartati esplorandoli da vicino, ma allo stesso tempo ad una distanza di sicurezza. Il realismo estetico di carne e sangue suscita nell’uomo quel tipico ribrezzo che da sempre prova per tutto quello che si trova sotto la sua pelle. Ma è anche attraverso le viscere più inaccettate dell’uomo che sovente si toccano le corde più profonde dell’individuo e della società. Dentro la mente malata dello psicopatico, dentro il corpo violato della vittima, alla ricerca di una corporeità che non si esaurisca nella banalità dell’esibizione del corpo umano, oramai all’ordine del giorno.
La prima immagine del film è proprio all’interno di un corpo, un feto ci appare scosso da un urto. Piove a dirotto e due macchine sono coinvolte in un terribile frontale: Sarah, una giovane fotografa incinta, si salva miracolosamente assieme al suo bambino, mentre il marito seduto al suo fianco muore sul colpo. Mesi dopo, durante la vigilia di Natale, la donna è all’ultimo giorno di gravidanza e si riposa nella sua casa. Ad un tratto viene svegliata dal suono del campanello: una misteriosa donna dice di sapere molte cose sul suo conto e sull’incidente avvenuto tempo prima, questa donna in nero senza nome si rivelerà presto una folle psicopatica ossessionata da ciò che Sarah porta in grembo.
Presentato a Cannes nel 2007, il film sconvolge la giuria ed il pubblico dividendo la critica cinematografica: chi lo critica duramente per la violenza ridondante e inaccettabile e chi lo giudica come uno degli splatter più interessanti degli ultimi anni. Se c’è una cosa che non può essere messa in discussione è il carattere decisamente estremo di À l’intérieur, da non guardare a cuor leggero (o pancia piena), non aspettatevi il solito teen horror pieno di adolescenti imbranati, perché il sadismo e la realistica crudezza delle immagini lasciano scossi anche dopo i titoli di coda. La nascita e la morte sono i temi salienti della trama tutta al femminile, la vittima ed il carnefice sono due donne coinvolte in una crescente battaglia sanguinaria senza esclusione di colpi. Non si sa nulla dell’antagonista (Béatrice Dalle) una pazza dall’aria glaciale e determinata, pronta a scavalcare montagne di cadaveri per ottenere quello che vuole. Sarah (Alysson Paradis) vive barricata nella sua borghese e sicura casa, mentre nella banlieu parigina scoppiano le rivolte degli immigrati, proteggendo tutto ciò che le rimane dall’esterno. Lo scontro tra le due furie avviene tutto dentro alle bianche pareti domestiche che si trasformeranno in un mattatoio ricoperto di sangue. Al determinato sadismo della donna sconosciuta si oppone una violenza scaturita da un forte senso di sopravvivenza: la futura madre cerca di salvarsi in tutti i modi, scivolando nel suo stesso sangue e rialzandosi in quello che una volta era il nido sicuro, ora divenuto una claustrofobica trappola mortale senza scampo. Le due donne sembrano due speculari antitesi, anche nella scelta cromatica degli abiti, ma allo stesso tempo appaiono come parti contrastanti di una stessa persona sulla via dell’auto distruzione.
Bisogna dire che la sceneggiatura di À l’intérieur pecca di parecchie falle e buchi logici, soprattutto nella costruzione delle azioni subite ed agite dai personaggi secondari (uno più idiota dell’altro). Altra nota negativa va alle mal riuscite immagini in computer grafica del feto all’interno del ventre materno.
Nonostante ciò il regista Alexander Bustillo, che in questo film d’esordio lavora insieme a Julien Maury, sa colmare le profonde lacune del soggetto focalizzando l’attenzione esclusivamente sul gesto violento, facendo dell’auto compiaciuto gore la sua carta vincente. La messa in scena è curata e ben costruita, il pericolo incombente non ci è suggerito da spostamenti frenetici della macchina da presa ma da movimenti lievi e campi fissi che non lasciano nulla all’immaginazione. Decisamente azzeccato il commento sonoro alle immagini, minimal/elettronico, di buon livello la buia fotografia di Laurent Barés.
Pochissimi sono i dialoghi, zero introspezione e colpi di scena. Tuttavia l’impatto emotivo che ci dona À l’intérieur, come del resto molte pellicole di genere, non ha bisogno di una credibilità didascalica della trama, non c’è una denuncia ai limiti del ridicolo (come in A Serbian Film) per giustificare una violenza intollerabile.
La tentazione di coprirsi gli occhi durante la visione è direttamente proporzionale alla tensione porn-magnetica dei fatti mostrati senza stacchi con effetti speciali impeccabili: crani che esplodono, corpi trafitti, ventri materni colpiti senza remore, un uso delle forbici che ci riporta alla mente alcuni vecchi slasher e un finale che non presenta grandi sorprese ma allo stesso tempo è in accettabilmente shockante.
Ad uno sguardo attento si nota l’influenza che esercita su Bustillo il vecchio cinema di genere, non a caso il regista scrive per una rivista francese (Mad Movies) specializzata in quel filone. Ma all’interno del film è facile trovare svariati rimandi: la sequenza in cui Sarah fotografa e poi sviluppa gli scatti della folle donna che la spia nascosta nel buio, riporta alla mente l’affascinante sequenza di Blow Up.
Nonostante i suoi limiti À l’intérieur, mai distribuito in Italia, è un ottimo esempio dello splatter francese che sforna validi prodotti (Alta tensione, Martyrs); un film da vedere per gli amanti della cinematografia estrema e da evitare per i più impressionabili.