A mano disarmata: intervista a Claudio Bonivento e Domitilla Shaula Di Pietro
Intervista al regista Claudio Bonivento e alla sceneggiatrice Domitilla Shaula Di Pietro in occasione dell'uscita del loro film A mano disarmata.
È scoppiata l’estate a Roma proprio il giorno della presentazione stampa di A mano disarmata, il film verità che porta al cinema la vicenda di Federica Angeli, la giornalista di Repubblica sotto scorta dal 2013 per aver scoperchiato con le sue inchieste il mondo criminale di Ostia, il lido di Roma, ribattezzato Mafia Capitale.
Interpretata da Claudia Gerini, la Angeli ha partecipato attivamente alla stesura del film come consulente, come accade spesso del resto anche durante la scrittura dei biopic americani, creando un vero e proprio team insieme al produttore decano del nostro cinema, Claudio Bonivento, la protagonista sul set e la sceneggiatrice Domitilla Shaula Di Pietro.
Bonivento è passato nuovamente dietro la macchina da presa dai tempi di Vi perdono ma inginocchiatevi, diretto nel 2012. Shaula Di Pietro invece nasce come scrittrice. Il suo romanzo Sei ore e ventitré minuti è stato un colpo al cuore per i lettori perché raccontava della violenza sessuale vissuta realmente dall’autrice e del coraggio di raccontare. Lo stesso coraggio di Federica Angeli nel raccontare il sottobosco criminale che si è affacciato da anni sul mare romano. Abbiamo incontrato regista e sceneggiatrice dopo la presentazione del film. Entrambi seduti a un tavolo, per parlare del loro nuovo lavoro.
A mano disarmata – Claudio Bonivento sulla storia di Federica Angeli: “La sua è una storia da cinema”
Bonivento, quando ha capito che la storia di Federica Angeli poteva diventare un film?
“Immediatamente, quando con Domitilla l’abbiamo incontrata attraverso Paolo Butturini. Lui ha un’associazione, A mano disarmata, di cui fa parte anche Federica e da cui prende il nome anche il libro da cui è stato tratto il film. Era l’inizio della vicenda, lui un giorno mi chiama, andiamo a pranzo insieme e mi dice: ‘Senti, devo farti conoscere una giornalista’. Sono andato a quell’incontro con Domitilla e ho così intuito da subito che c’era una storia da cinema. Federica dal canto suo era onorata che si facesse un film su di lei”.
Mi sembra un nuovo esempio di cinema civile, o come ha detto lei, di cinema sociale. E nella sua filmografia da produttore arriva dopo importanti precedenti come Soldati – 365 all’alba, Mary per sempre, La scorta, e poi Pasolini, un delitto italiano. Hanno raccontato tutti un’altra Italia.
“Si, inoltre c’era anche Ultrà. Hanno raccontato tutti un’Italia diversa, quella che nessuno raccontava. Forse questo è stato il loro privilegio. Infatti Tullio Kesich coniò il termine neo-neorealismo. Nella critica, in quel periodo, c’erano Callisto Cosulich, Grazzini, Biraghi, Micchiché, e soprattutto Rondi. Abbiamo fatto un pezzo di storia del cinema insieme a Nuovo Cinema Paradiso, Il ladro di bambini di Amelio e al Portaborse di Moretti. Questo gruppo di film spostò cinema e pubblico dalla commedia un po’ lasciva. Si era aggiunto un nuovo punto di vista quando ci si ricordava solo di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto. Ma era nel Settanta. Credo che A mano disarmata rientri in quella scia, molto modestamente e con profondo rispetto per quei film”.
A questo proposito Domitilla, per questo lavoro di scrittura è partita più dal libro di Federica Angeli o dalla cronaca?
“Sono partita più dagli articoli che ci hanno fatto conoscere Federica. La storia ci è sembrata interessante, c’era tantissimo da scrivere e con Claudio abbiamo iniziato da subito. Il libro di Federica è nato quasi in contemporanea con la sceneggiatura invece. Il libro mi è stato fondamentale, mentre lei lo scriveva, per una corretta cronologia di fatti e di storie. Il resto, il vissuto descritto nel film, è stato, in realtà, più la conoscenza con Federica e la sua famiglia. Quindi oltre a libro e articoli, sono state importantissime le nostre chiacchierate”.
Claudio Bonivento: “A mano disarmata è il film delle tre donne: Claudia, Federica e Domitilla”
Per le scelte estetiche del film, il tipo di luce, inquadrature, movimenti di macchina, il regista si è rifatto a qualcosa in particolare?
C.B. – “Io ho un direttore della fotografia che ritengo tra i più bravi in Italia: Maurizio Dell’Orco, con cui ho già lavorato tante volte. Lui sa esattamente come la vedo. Noi facciamo luci di taglio, nessuna luce spiattellata, nessun quadretto. Cerchiamo di non farne perché i quadretti sono molto televisivi. Cerchiamo invece di privilegiare l’attore. Per esempio ieri ho notato sul grande schermo in sala che Mirko Frezza, l’interprete del capoclan, nei primi piani ha in evidenza persino i pori del naso. La luce lo ha indurito perché è un cattivo. Invece ha ammorbidito Claudia e i bambini. In questo Dall’Orco è un lettore dell’immagine molto preciso. Le inquadrature le decido io, sì, ma ritengo necessario ascoltare anche i suggerimenti dei macchinisti. Nessuno ci fa mai caso. Se ti dicono ‘guarda Claudio che qui arrivi male’ un motivo c’è sempre. Ho la fortuna di aver avuto sempre collaboratori schietti”.
Gli americani, col Me Too, ultimamente stanno rappresentando le donne spesso e volentieri come supereroine inserite in contesti action, francamente anche un po’ esagerati. Qui invece parliamo di una donna dell’oggi, una giornalista, ma anche moglie e madre, reale, presente e che lotta da sola contro un sistema. E sta vincendo.
C.B. – “Ho coniato un piccolo slogan, un cliché se vuoi. Per quel che mi riguarda questo è il film delle tre donne. Perché ognuna per i propri modi, qualità e professioni, hanno apportato tantissimo al film. Tutte. E sono ovviamente Claudia, Federica e Domitilla. Nella mia storia ho sempre fatto film di uomini, a parte Vi perdono ma inginocchiatevi, che parlava delle vedove della scorta a Falcone. Le donne hanno un punto di vista che ti allontana da ciò che prevedi. Domitilla per esempio ha partecipato alla scelta degli attori e ha identificato certe cose che di solito l’aiuto regista non fa. Uno che è padrone della storia ti consiglia, ti suggerisce. E Claudia è stata molto collaborativa, si è interfacciata molto con Federica e Domitilla”.
Riguardo ai membri del clan ci sono dei personaggi che non aderiscono perfettamente ai fatti, anzi, accorpano anche alcune vicende dovute ad altri. C’è pure quest’amica che ingloba i tradimenti a Federica di tante persone esistenti, ma in realtà è un personaggio inedito. Come ha lavorato per ottenere queste rimodulazioni narrative?
D.S.D.P. – “Quella dell’amica è stata un’esigenza, anche legale. Non potevamo parlare di tutto per via dei processi. Poi avevamo un attore che ha interpretato gli Spada a tutto tondo, così bravo e così valido, lo abbiamo anche sfruttato nella scena della testata. Tanto che il suo personaggio, Calogero colpisce il giornalista, ma nella realtà fu Roberto a farlo. Nel suo lavoro Mirko Frezza è stato infatti fantastico. Poi ci sono stati anche alcuni personaggi d’invenzione, ma basati sempre sulla realtà documentata”.
“A mano disarmata poteva diventare una serie TV”
Voi avete girato anche a Ostia, negli stessi luoghi degli eventi raccontati. Com’è andata sul set?
C.B. – “Non è stato semplice. Certe cose non è il caso di dirle. C’era un produttore che ci proteggeva. Ogni tanto sentivo Federica e una volta le ho detto: ‘Senti, ho visto un bellissimo bar in riva al mare’. E lei: ‘Claudio, per favore, lì no’. Perché magari lei sapeva che quel bar era di qualcuno e sarebbe stato ridicolo fare un film di questo tipo andando a girare, quindi pagare, le persone coinvolte nelle vicende”.
Mi permetto una piccola provocazione rivolta alla sceneggiatrice. Vivendo ai tempi di serie tv, lei, anche solo per un attimo, ha mai pensato che A mano disarmata potesse essere un progetto da sviluppare anche in quel format?
D.S.D.P. – “Accidenti, come no. La storia di Federica è talmente complessa che ci sarebbero volute ore e ore per poterla raccontare davvero tutta. C’erano le basi per trarne una serie tv, ma ci sembrava che uscire al cinema fosse più d’impatto e visibilità verso Federica. Se lo merita. Però penso che la televisione nel futuro dovrà assolutamente raccontare quello che non siamo riusciti a fare noi in un’ora e quarantacinque minuti.
C’è poi una modernità tangibile nel ribaltamento dei ruoli. Noi siamo abituati al Giudice ragazzino e ai vari film su Falcone e Borsellino. Erano uomini di giustizia, eroi civili che avevano grandi donne vicino. Forti, rispettose e soprattutto pazienti. Con Federica Angeli questo viene capovolto.
D.S.D.P. – “In effetti siamo molto moderni, ed è vero, proprio quello che sta avvenendo in quanto a segno dei tempi. Una grande donna spalleggiata da un grande uomo. Poi in fondo, cambiando l’ordine degli addendi, il risultato non cambia”.
Bonivento, lei che è di Como, che idea si è fatto del fenomeno Mafia Capitale?
C.B. – “Mi sono trasferito a Roma trent’anni fa, Milano è la città della mia adolescenza ma non so se tornerei su. Roma ha dei difetti che non si merita. Esteticamente parlando la ritengo la città più bella del mondo. Alle due di notte Roma è di una bellezza senza paragone. Se illuminassero di più i ponti sarebbe ancora meglio. Parigi ne ha giusto tre in croce e sembra che ce ne siano quaranta. Qui ce ne hanno quaranta e sembra che ne abbiano tre. Si sapeva che c’era qualcosa. Roma è un centro culturale da sempre, e a modo
suo incorpora il mondo. Quindi anche il bene e il male”.
A mano disarmata è al cinema dal 6 giugno con Eagle Pictures.