Guida perversa all’ideologia: recensione
Guida perversa all’ideologia – The Pervert’s Guide To Ideology, di Sophie Fiennes, con Slavoj Žižek.
Slavoj Žižek è tornato sullo schermo con tutta la sua fisicità, gli attimi di verve fulminante, i tic e l’ipersalivazione, in Guida perversa all’ideologia, sequel di Guida perversa al Cinema e diretto ancora da Sophie Fiennes (che ormai chiama “la mia Leni Riefenstahl”), sorella dei più famosi Ralph e Joseph. Prodotto dal British Film Institute e da Film4, uscito a ottobre del 2013, è distribuito in dvd da Officine Blu e visibile on demand su MyMovies live.
Il film è un monologo di due ore e un quarto sull’ideologia, o forse è meglio dire una lunga conversazione con lo spettatore sulla struttura sociale dell’ideologia, condotta con la formula del gioco di presentificarsi sui set dei film di cui assume lo sguardo rappresentativo. Lo aveva già fatto (addentrandosi nei sottotesti hitchockiani via Bodega Bay, in barca come Tippi Hedren), stavolta è meno complicato e più trasformista, si riesce a seguire meglio, complice anche la voce limpida e argentata di Tatti Sanguineti che lo doppia in italiano.
Žižek è un istrione nato, un narratore logorroico ma è anche il professore che tutti vorremmo avere ad un corso di filosofia perché rompe la monotonia accademica con argomentazioni affascinanti e con suggestive riletture dei film hollywoodiani, come la similitudine tra Sentieri selvaggi e Taxi Driver: in entrambi un “cowboy” vuole salvare l’innocenza di una donna che pare non rimpiangere la sua condizione. La stessa condizione dei popoli vietnamita ed iracheno. La tesi della Guida perversa al Cinema era che il cinema è un’arte perversa perché non ci offre quello che desideriamo ma ci insegna come desiderarlo; qui sposta la lezione nel campo ideologico ed attribuisce al cinema hollywoodiano il potere di mostrare come l’ideologia si strutturi nella nostra vita quotidiana, nella sua forma più pura. Se la canta e se la suona, salta da un film all’altro fino ad accumulare un numero di titoli impossibile da ricordare. Come un parassita amorevolmente ospitato divora il suo ospite, Zizek si infila nei film mostrando come i racconti di libertà di Hollywood servano in realtà a mantenere tutti schiavi dell’ideologia.
Il documentario si apre con Žižek in piedi davanti ad un bidone della spazzatura: “Io già mangio nel bidone dell’immondizia e il nome del bidone è ideologia. La forza materiale dell’ideologia fa si che io non veda ciò che mangio veramente.”
Segue una clip di Essi vivono, di John Carpenter, del 1988 – “sicuramente uno dei capolavori dimenticati della sinistra hollywoodiana” – in cui il protagonista, John Nada, entra in possesso di un paio di occhiali da sole che, una volta indossati, funzionano da strumento di critica all’ideologia e permettono di vedere il vero messaggio dietro ad ogni propaganda o pubblicità e di scoprire la dittatura dietro la democrazia. “Noi viviamo, o così ci viene detto, in una società post-ideologica. Siamo interpolati, cioè l’autorità sociale si rivolge a noi non come a soggetti che dovrebbero fare il proprio dovere, e cioè sacrificarsi, ma come a soggetti di piacere. Realizza il tuo vero potenziale, sii te stesso, vivi una vita soddisfacente.” Non c’è più una causa per cui lottare ma il dovere è quello di godere di ciò che ci viene offerto e, data la quantità delle proposte, la ricerca del piacere è infinita.
“Il nostro senso comune ci porta a pensare che l’ideologia sia qualcosa che appanna, che confonde la visione diretta delle cose. L’ideologia dovrebbe essere gli occhiali da sole che alterano il nostro punto di vista e la critica all’ideologia dovrebbe essere l’opposto, cioè il togliersi gli occhiali in modo da poter finalmente vedere la realtà delle cose.”
Da qui in poi Žižek non è più semplice osservatore ma entra nel quadro di una lunga serie di scene cult, da Tutti insieme appassionatamente a Lo squalo, da Full metal jacket a Taxi driver, da Sentieri selvaggi ad Arancia meccanica, utilizzandole per analizzare il potere profondo delle ideologie sulla nostra “libertà apparente” nella società dello spettacolo. Le ideologie affiorano ovunque, anche in elementi apparentemente estranei e distanti tra loro come Starbucks e i film di propaganda nazista, l’eccidio di Breivik o i disordini di Londra e la Coca Cola, e Žižek le disintegra come ordine simbolico lacaniano del Grande Altro (la personificazione dell’ideologia). Il mondo come ci appare nasconde lo stato reale delle cose sotto una visione ingannevole e positiva, il cui ordine è fondato sul condizionamento sociale e sulla negazione degli antagonismi. Tra gli esempi più accattivanti del gigante di Lubiana o “l’Elvis del pensiero contemporaneo”, come viene anche chiamato, c’è la lunga dissertazione sull’Inno alla Gioia di Beethoven, concepito come inno alla libertà e alla fratellanza di tutti i popoli, si è rivelato universalmente adattabile a tutte le ideologie: dalla Germania nazista all’Unione sovietica di Stalin, dalla Cina di Mao agli ultraconservatori in Sud Rhodesia, al leader di Sendero luminoso in Perù, ed è anche l’inno non ufficiale dell’Unione europea. Potremmo immaginare l’Inno alla gioia come trionfo della fratellanza universale, è così che dovrebbe funzionare, ma l’ideologia è un contenitore vuoto aperto a tutti i significati possibili, è quel qualcosa di emozionante che quando la ascolti dici “Dio mio, che cosa profonda! Sono commosso.” Ma non sappiamo “cosa sia questa profondità… è un vuoto!” E’ Kubrick a scoprirne la falsa neutralità in Arancia meccanica. “Ogni volta che un testo dice che tutta l’umanità è unita in fratellanza, gioia e via così, dovreste sempre chiedervi: okay, ma si tratta di tutti? Proprio tutti? O qualcuno è escluso? Io credo che Alex, il delinquente di Arancia meccanica, si identifichi in questo escluso ed è il grande genio di Beethoven ad affermare questa sua esclusione. Beethoven non è un celebratore di fratellanza, siamo un’unica grande famiglia, etc, etc. La prima parte è celebratoria e l’ascoltiamo negli eventi come ideologia mentre la seconda parte è la storia vera, quella che disturba l’ideologia ufficiale sul fallimento del tentativo di addomesticare Beethoven. Beethoven sul piano puramente musicale stava già praticando una critica all’ideologia.”
Vagando dalla barca di Lo squalo al lettino di Travis Bickle, Žižek parla della paura citando Fidel Castro, che adora il film di Spielberg e lo vede come un film marxista, una sorta di metafora del grande capitale che sfrutta l’americano medio, poi traccia un parallelo con la paura dell’intruso nella filmografia nazista, viaggia a bordo di un aereo nel Trionfo della volontà di Leni Riefenstahl; lo ritroviamo seduto in un aereo in demolizione nel deserto del Mojave; legato ad una barella ospedale o sul Golgota per spiegare come per essere atei sia necessario passare per il cristianesimo. “Il cristianesimo è molto più ateo del solito ateismo.”
Una delle tesi più affascinanti di questa lunga intersezione tra cinema e ideologia è quella sostenuta a proposito dell’affondamento del Titanic e della visita di James Cameron al relitto come “dimensione del godimento pietrificata”, Žižek parla del film come massimo caso di ideologia della Hollywood di oggi, ironicamente definito come ‘marxismo hollywoodiano di Cameron’ fino a chiedersi “che ruolo ha l’iceberg nella storia d’amore?”. “La mia tesi è che dopo 2 o 3 settimane di sesso intenso a New York la storia si sarebbe fatalmente spenta. Questa sarebbe stata la vera catastrofe.” E da qui alla Primavera di Praga: spesso la catastrofe salva il sogno. Secondo Žižek le truppe del Patto di Varsavia nel 1968 non hanno strangolato il tentativo dei comunisti democratici di dare un volto umano al socialismo ma lo hanno salvato. La Cecoslovacchia sarebbe diventato un altro Paese liberale capitalista oppure i Comunisti al potere sarebbero riusciti a sconfiggere i riformisti, invece, grazie all’intervento sovietico, può ancora esistere il sogno di un altro comunismo possibile.
Il lungo viaggio si conclude con Operazione diabolica, di John Frankenheimer, del 1966, in cui il protagonista rifiutando l’identità impostagli dall’organizzazione che gestisce le rinascite, andrà incontro alla morte. Se il ritrovamento di se stessi è possibile inforcando gli occhiali da sole, non lo è il rinnovamento, ogni sogno è sbagliato perché tutti i sogni sono riflessi di una società che insegna solo a desiderare e il paradosso supremo del desiderio è quello di essere soddisfatto. La ricerca del piacere è un circolo infinito e quando otteniamo ciò che vogliamo ci accorgiamo del grande vuoto che c’è dietro. E’ come trovarsi in mano l’ovetto Kinder, dovremmo ambire alla sorpresa, che si trova nel cuore dell’oggetto proprio per godere della superficie.
I film sono tutti ben scelti ed il professore è magnetico nel modo di utilizzare il cinema come argomentazione filosofica e psicanalitica, ciò gli permette di “uscire dal dominio dell’identificazione simbolica, cancellando o sospendendo l’intero campo del Grande Altro” e mettendolo in croce con Gesù nell’Ultima tentazione di Cristo.
C’è una conclusione al viaggio della carovana di immagini zizekiane, una New Babilonia che non sia solo ulteriore involucro di contenuti desiderabili ed utopici? “Non dobbiamo mai dimenticare quanto disse Walter Benjamin quasi un secolo fa, che ogni rivoluzione non è solo – se è una rivoluzione autentica – non è solo diretta verso il futuro ma riscatta anche le rivoluzioni passate e che hanno fallito. Tutti i fantasmi e i morti viventi delle passate rivoluzioni che vagano insoddisfatti troveranno finalmente la loro casa nella nuova libertà.”
Žižek ci crede, dopo aver toccato i limiti della follia umana per tutto il film, torna a galla dopo i titoli di coda, riemergendo al posto di Leonardo Di Caprio: “Io posso anche morire congelato ma voi non vi sbarazzerete mai di me. Tutto il ghiaccio del mondo non può uccidere un’idea vera.” L’ultima indicazione della guida perversa all’ideologia è il fermo immagine sul suo pugno chiuso fuori dall’acqua. L’immagine più sobria e nostalgica che potesse inventarsi per trovare speranza nelle tenebre.