The Rider – Il Sogno di un Cowboy: recensione del film di Chloe Zao

Recensione di The Rider - Il Sogno di un Cowboy film di Chloe Zao che racconta l'America rurale e il matrimonio indissolubile tra uomo e natura.

Dal 29 agosto Wanted Cinema porta in sala The Rider – Il Sogno di un Cowboy, prodotto da Caviar e Highwayman Films.

Si narra che nel 1893, quando fu organizzata l’ultima Corsa alla conquista dell’ovest selvaggio, il Generale Miles (chiamato a sorvegliare coi suoi soldati il corretto svolgimento della cerimonia), quando vide partire come fulmini i carri, i cavalli che trasportavano gli ultimi coloni dell’ultimo assalto alla frontiera abbia esclamato: “Il West è finito. Peccato, era bello…”.

Oggi, all’alba del 2020 si può dire che negli Stati Uniti lo spirito della frontiera sia invece sopravvissuto, se pur celato sotto altre vesti e non sempre si manifesti nel modo migliore, basti pensare alla cultura delle armi, ma altrove, in quelle grandi pianure dove una volta si aggiravano mandrie e infuriava la battaglia coi nativi, sopravvive anche altro di quel glorioso tempo che fu. Basta guardare con attenzione.

Chloe Zao, al suo secondo lungometraggio dopo Songs My Brothers Taught Me e fresca dell’investitura da parte della Marvel per la regia del film su Gli Eterni, in questo The Rider – Il Sogno di un Cowboy, ci mostra dove il meglio dello spirito di frontiera si nasconda ai nostri giorni.

The Rider – Il Sogno di un Cowboy: la trama del film

Ambientato nel South Dakota, all’interno della Riserva Indiana di Pine Ridge, The Rider – Il Sogno di un Cowboy ha come protagonista il giovane e povero cowboy Brady Blackburn (Brady Jandreau), che vive in una roulotte con il padre Wayne (Tim Jandreau) e la giovane sorella autistica Lylly (Lylly Jandreau), cercando di tirare avanti come allevatori di cavalli.

Fino a poco tempo prima, Brady era un astro nascente di quel piccolo, ma fiero universo tipicamente americano dei rodei, in cui giovani impavidi cercano di restare in sella il più possibile a cavalli non ancora domati. Si tratta di uno sport che può alla lunga dare fama e ricchezza, in cui contano abilità, coraggio e sangue freddo, che fanno rivivere alcuni degli elementi più sacri della cultura delle grandi pianure, dove ancora oggi si va in giro con stivali, cinturone e stetson (e pistola). Uno sport dove però il rischio di farsi male, di morire, è sempre dietro l’angolo.

Brady nell’ultimo rodeo è caduto, ha riportato una frattura cranica, a causa della quale è costretto a un lungo e doloroso iter di convalescenza, il tutto mentre il padre sembra disinteressarsi del futuro della famiglia e della sorella in particolare. Con i soldi che non bastano, gli effetti dell’incidente che obbligano il ragazzo a scegliere se correre il rischio di morire o rinunciare al suo sogno, l’unica compagnia che resta all’ex giovane cowboy è quella degli amici di sempre, e soprattutto visitare quello che era il migliore di loro, il più bravo, Scott (Scott Lane), costretto da una caduta di rodeo a vivere accudito 24 ore al giorno in un ospedale per danni cerebrali e spinali.

The Rider - Il Sogno di un Cowboy cinematographe.it

The Rider – Il Sogno di un Cowboy è il testamento di un mondo, un inno all’America rurale

The Rider – Il Sogno di un Cowboy parte da un’operazione di specchio a doppia faccia fatta da Zao, che non solo ha scelto attori non professionisti, ma ha addirittura chiamato gli stessi veri protagonisti della storia a cui si è ispirata a interpretare loro stessi. Il che in effetti può rendere difficile categorizzare The Rider; è un docu-film? Un film-verità? Forse in realtà niente di tutto questo. È e rimane il testamento di un mondo, di una realtà, che da sempre vive e si nutre di una emarginazione che è sia condanna che vanto.

È un inno allo straordinario ed esclusivo rapporto che in quei luoghi, in quelle piccole e isolate comunità, sopravvive tra uomo e cavallo, tra uomo e natura, una natura con la quale, al netto di palmari, internet e social network, vige un mutuo e reciproco rispetto, una simbiosi altrove impensabile. E tale simbiosi si evince grazie al protagonista, alla sua disgraziata realtà, al fatto che si sente in tutto e per tutto un escluso, un fallito, un mezzo-uomo non in virtù della sua povertà, della sua famiglia senza speranza o della mancanza di prospettive, ma dal suo dover rinunciare a essere una cosa sola con il suo cavallo.

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Essenziale, cristallino, abbellito da una magnifica fotografia di Joshua James Richards che valorizza come poche altre volte il mare d’erba in cui si svolse la tragedia indiana e la conquista dei coloni, The Rider – Il Sogno di un Cowboy si erge a testamento ed elogio dell’ormai dimenticato rispetto dell’uomo non solo verso la natura, ma anche verso gli altri. La natura, per quanto ingovernabile, rimane fonte di vita e di speranza, al contrario di una civiltà descritta come angusta, decadente, soffocante e sudicia, in cui fa capolino sovente una claustrofobia di luci e colori.

Brady, piccolo ragazzo cresciuto senza un vero padre, prigioniero dentro una gabbia che non sa o non vuole abbandonare, centauro privo della sua metà animale, è anche lo specchio di quella realtà terrificante fatta di alcolismo, violenza, degrado che rende ancora oggi le Riserve Indiane uno dei più vergognosi luoghi degli Stati Uniti, scheletro vivente in un armadio che Chloe Zao ci apre in tutta la sua miseria.

Poetico, malinconico e terribile, addolcito solo di quando in quando dalle note di Nathan Halpern, The Rider – Il Sogno di un Cowboy è il ritratto della vera, misconosciuta, periferia degli Stati Uniti, quella che Hollywood non ha mitizzato mai, quella ferma nel tempo e nello spazio, sempre uguale a sé stessa dai tempi di Wild Bill Hickok. In tutto e per tutto un film di enorme impatto emotivo e visivo, un racconto dolente ma onesto della tragedia di un mondo, di quel matrimonio tra uomo e natura che da sempre dura solo un attimo per poi essere disfatto.

Regia - 4
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 4
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 4

3.7