Venezia 76 – Madre: recensione del film di Rodrigo Sorogoyen
Recensione di Madre di Rodrigo Sorogoyen, presentato a Venezia 76, con protagonista una bravissima Marta Nieto alle prese con l'abbandono e l'amore.
Percorso da sempre molto originale e vivido quello del regista Rodrigo Sorogoyen, che da tempo ormai si è dimostrato esperto nel sapere turbare, emozionare e catturare l’attenzione del pubblico con film perfettamente strutturati per colpire nel profondo e impressionare con temi e problematiche particolarmente difficili e scomode. Tuttavia né Il Regno, nè Stockholm o Che Dio ci Perdoni erano arrivati a essere così personali, così coinvolgenti e potenti come questo Madre, che fino ad ora è sicuramente la sua opera migliore, quella più intima e matura.
Anche la più spiazzante e complessa, una scommessa e un continuum di non indifferente potenza, visto che riprende ed espande l’omonimo corto che lo pose all’attenzione della critica nel 2019, fruttandogli una nomination all’Oscar.
Protagonista è ancora Marta Nieto, nei panni di Elena, madre separata spagnola 29enne il cui figlio di appena sei anni, in vacanza sulla costa francese col padre, un bel giorno le telefona in preda al panico, trovandosi abbandonato improvvisamente dal genitore nella spiaggia deserta. Nonostante ci provi in ogni modo, Elena perde ogni contatto con il figlio Ivan, di cui non viene a saper più nulla.
Dieci anni dopo, Elena a 39 anni lavora sullo stesso tratto di costa francese dove Ivan è uscito dalla sua vita, in un risto-bar in una delle zone più visitate da turisti e giovani, e sta cercando di ricominciare con la sua vita spezzata e in frantumi. Tuttavia l’incontro fortuito con il giovane Gregory (Jules Porier) la porterà a cercare di compensare l’orribile strappo subito dalla sua maternità… o forse anche altro? Perché di lì a poco tra Elena e il giovane e un po’ vanitoso 16enne, comincia uno strano gioco a metà tra seduzione e amicizia, che porterà Elena a perdersi completamente. O a ritrovarsi?
Madre: un film indefinito, sospeso tra più generi e fatto di sensazioni e turbamenti
Film molto difficile questo Madre, film che non ha uno stile definito, non ha neppure un’atmosfera definita, preso com’è nell’ondeggiare tra dramma, giallo, esistenzialismo e commedia agrodolce. Tuttavia se non vi è certezza per quello che riguarda il genere a cui appartiene Madre, chiaro è l’intento di Sorogoyen di portare in superficie una quantità veramente importante di sensazioni, emozioni, turbamenti e (perché no) anche sorrisi di quando in quando.
Di base tuttavia si intuisce una visione dell’umanità come fiera della solitudine, come sentiero perennemente in bilico tra tragedia e normalità, commedia di maschere che più che pirandelliane, sono il totem di una disperazione e incompletezza mai risolte. Di certo potente è il tema dell’abbandono, del dolore, della maternità recisa dalla sorte che si ripresenta sotto altre forme, sovente torbide, così come della distanza tra i due sessi, non solo tra le diverse età che sono presenti in questo iter narrativo.
Se infatti da un lato vi è la visione di un’adolescenza e una giovinezza assai meno immature e consapevoli del mondo che le circonda, di cosa vogliono e quando, dall’altra il mondo degli adulti appare popolato da sensi di colpa, incertezze, rimpianti per l’età che fu, mancanza di sogni e verità.
Madre: la bravura di Marta Nieto
Il lutto, la perdita, risplendono negli occhi di una Marta Nieto straordinaria nel regalare spontaneità, normalità al suo personaggio, e abilissima nel cucirsi addosso l’abito della sopravvissuta a sé stessa, al proprio dramma, alla propria stessa vita.
Chi è Gregory? Forse il figlio ritrovato? Il ragazzo giusto che non ha incontrato tanto tempo prima? L’occasione per distrarsi dell’orrendo, gelido inferno che è diventata la sua vita da dieci anni questa parte? Si respira forte, in questo Madre, l’odore della disperazione, della morte, del sentirsi esclusi e tagliati fuori dall’umanità sociale, dell’incapacità di affrontare quei fantasmi, quei dolori che alla lunga scavano un solco tra noi stessi e il mondo in cui viviamo e in cui vivremo.
Coadiuvato da una fotografia di Alejandro De Pablo assolutamente perfetta nel far attraversare la spiaggia, il mare, le stanze da un freddo spettrale e intimo, nel valorizzare una natura mai ostile, contenitore di questa umanità sperduta e slegata.
Bella anche la colonna sonora di Olivier Arson, perfetta nel legarsi alle diverse atmosfere di Madre, un film dalle mille facce ed emozioni. Non stupirebbe vederlo proposto agli Oscar per la Spagna.