The Hurt Locker: il significato del film di Kathryn Bigelow

Di cosa parla The Hurt Locker, film che è valso a Kathryn Bigelow un Premio Oscar e che sfrutta il tema della guerra e della paura per raccontare l'uomo.

Un mondo tristemente silenzioso, perso, sventrato e riempito di bombe. Non c’è vita sulla/nella terra di The Hurt Locker il film del 2008 – presentato in anteprima alla 65ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, vincitore di 6 Premi Oscar nel 2010 (miglior sceneggiatura originale, miglior montaggio, miglior sonoro, miglior montaggio sonoro, miglior regista e miglior film) -, diretto da Kathryn Bigelow e scritto dal giornalista Mark Boal. Non c’è spazio per un’esistenza normale, “quotidiana”, perché al centro c’è quella di un gruppo di artificieri e sminatori dell’esercito statunitense in missione in Iraq.

The Hurt Locker cinematographe.itThe Hurt Locker: Kathryn Bigelow mette in scena il luogo del dolore

The Hurt Locker, come spiega la stessa regista, racconta “il luogo del dolore definitivo”, ma è anche la narrazione di quanto la guerra sia una droga, di come tutto si riduca a quella scatola di metallo in cui si rimandano indietro, dopo la morte dei soldati, i loro effetti personali. Il termine The Hurt Locker metaforizza quella scatola del dolore che è la bomba, è un modo per definire le “Ied”, gli esplosivi artigianali che fanno saltare in aria civili iracheni e militari della Coalizione.

The Hurt Locker: recensione del film con Jeremy Renner

Quello di The Hurt Locker non è l’esercito del Vietnam, è invece un esercito votato alla guerra. I membri della squadra Eod (Explosive Ordinance Disposal) sono sempre pronti, sono artificieri dell’esercito americano di stanza in Iraq, un gruppo di “esaltati” che smantellano ogni giorno decine di bombe. Vivono sotto stress costante, in una perenne fame adrenalinica: un filo da non tagliare o un movimento sbagliato e si è morti. William James (Jeremy Renner) è il Capo della squadra, viene dipinto da tutti come un folle, uno a cui la morte parla all’orecchio, uno che vive il suo lavoro come una sorta di enorme gioco; e questo in un pezzo di terra in cui il nemico potrebbe nascondersi sotto qualunque maschera, ogni oggetto potrebbe essere una bomba, qualsiasi finestra potrebbe nascondere un cecchino. Al suo fianco, in bilico tra “norma” e disperazione, ci sono Matt Thompson (Guy Pearce), il sergente Sanborn (Anthony Mackie), lo specialista Owen Eldridge (Brian Geraghty) che si trovano non solo al fronte, ma anche nelle mani di un uomo i cui gesti sono imprevedibili.

The Hurt Locker: cinematographe.it

The Hurt Locker: macerie, polvere e morte fanno da sfondo al film di Kathryn Bigelow

Macerie, polvere, la vita della “gente” che, come immondizia, giace per le strade e in/tra tutto questo ci sono loro, i soldati, che con il polso sempre accelerato, lo sguardo “famelico” e terrorizzato, sono pronti ad agire. Il film mostra un mondo quasi indifferenziato, in cui gli uomini d’armi sotto quegli scafandri – indossano tute costruite per sopravvivere alle ipotetiche esplosioni – non si riconoscono gli uni dagli altri, sono solo personaggi di un inquietante gioco delle parti, reso ancora più sconvolgente dallo sguardo della regista, freddo, da entomologa.

The Hurt Locker: le location del film con Jeremy Renner

I volti sono “nascosti”, la paura c’è, ma è messa da parte, in nome di quel conto alla rovescia delle bombe a orologeria, per esserci anche se c’è la crisi di nervi, l’angoscia di nemici invisibili che si celano dietro a ogni angolo, a ogni finestra aperta, a un obiettivo di cui non si sa la natura. La camera a mano, le focali corte, la regia puntano a mettere sullo schermo quel “luogo di dolore definitivo” e costringe lo spettatore a condividere attese e pericoli, sangue e sudore dei soldati. C’è all’interno del film un tempo altro, talmente lento e ineluttabile, nonostante la frenesia, da sconquassare, un luogo fisico che diventa mentale nonostante il corpo del soldato salti, la città perda i suoi “confini”, un’umanità che umanità non è, in cui si devono temere anche i bambini che spesso diventano bombe anch’essi. Emerge così una sorta di geometrica coazione a ripetere per cui ogni giorno si ritorna al punto di partenza, un ricominciare dall’inizio ogni cosa, un roteare attorno all’asse vita/morte.

The Hurt Locker cinematographe.itThe Hurt Locker: il racconto della guerra diventa pretesto per narrare l’Uomo

La Bigelow usa il deserto, la città in rovina, il corpo pronto a saltare come pretesto per fare un discorso molto più ampio che tocca l’Uomo; infatti non si parla solo di guerra ma anche dell’essere umano. I personaggi diventano espressione di emotività, idee diverse sulla vita, sulla morte, sull’etica. James è un personaggio che resta sopra le righe per tutto il film – solo a un certo punto emerge anche il suo lato più intimo -, non ha problemi a fare il suo lavoro, non sa cosa sia l’etica della guerra, non rispetta mai il protocollo e si avventura in azioni al limite dell’umano mettendo in pericolo la vita sua e quella della sua squadra. Ci sono anche gli altri che dimostrano di avere caratteri differenti: Eldridge che comincia a interrogarsi sul suo lavoro, su ciò che è giusto e ciò che non lo è, iniziando a temere veramente di tornare a casa in una bara, Sanborn che arriva a dire che se dovesse morire nessuno se ne accorgerebbe.

Kathryn Bigelow realizza un film che non ha età paradossalmente, un film che parla degli uomini in genere e di tutte le guerre. Nonostante non dia un giudizio, ciò che viene fuori è l’assurdità di quella “droga” di cui gli uomini “veri, virili, forti” sembrano non poter fare a meno, ma di cui si scorge la vuota sostanza.