Venezia 76 – Jeedar El Sot (All This Victory): recensione

Recensione di Jeedar El Sot (All This Victory) il film di Ahmad Ghossein presentato a Venezia 76 che racconta l'inizio del secondo conflitto libanese.

Il 12 luglio 2006, due militari israeliani furono catturati da Hezbollah furono la miccia che fece esplodere il secondo conflitto libanese, durato 34 giorni e costato la vita a centinaia e centinaia di soldati e soprattutto civili. Cannoneggiamenti, bombardamenti, raid aerei e scontri a fuoco insanguinarono il Libano e la Galilea, gettando nel terrore non solo chi viveva nei territori interessati, ma tutta l’area mediorientale, data la possibilità di un’estensione del conflitto. Il regista Ahmad Ghossein con Jeedar El Sot (All This Victory) ha creato un doloroso e intenso tributo a quei civili che si trovarono (come succede sempre) dalla parte sbagliata, nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Per farlo, ha optato per una narrazione incentrata su un microcosmo di personaggi, giocandosi molto bene le sue carte e creando un iter narrativo pieno di tensione, significati, emozioni e verità.

Jeedar El Sot (All This Victory): il racconto della genesi di un conflitto

Protagonista è il giovane Marwan (Karam Ghossein), che durante i primi giorni del conflitto è costretto a lasciare Beirut per andare nel villaggio dove vive il padre, orgoglioso reduce della precedente guerra. Le strade sono già distrutte o danneggiate, il traffico è già in crisi, ma riesce a farsi strada fino ad arrivare nel piccolo pueblo libanese, già praticamente distrutto dai bombardamenti, ma del padre non vi è traccia.

Due vecchi amici del padre gli dicono che è partito, ma dopo aver subito il furto dell’auto e dopo l’improvvisa rottura della tregua tra le milizie libanesi e i soldati israeliani, lui e i due anziani ex combattenti rimangono bloccati in una piccola abitazione. In breve al piano superiore si piazza una squadra di israeliani e per il protagonista e i compagni di sventura, comincia una lunga e terribile odissea dove naturalmente più che il caldo, la sete, la fame, le bombe e le sparatorie, è la paura, pura e semplice, il peggior nemico.

Jeedar El Sot (All This Victory) cinematographe.it

Jeedar El Sot (All This Victory): non ci sono eroi in questa guerra, solo odio e terrore

Film solo apparentemente minimalista, Jeedar El Sot (All This Victory) ha l’enorme pregio di mostrare la guerra da una prospettiva sovente ignorata dalla filmografia recente: quella dei civili, degli indifesi, cioè di coloro i quali sono da sempre le principali vittime da che mondo è mondo. Film che riduce metaforicamente la condizione dell’uomo in guerra a prigioniero di un pericolo reale ma senza un volto, senza un viso, che si mostra con il suono e le vibrazioni, con gli spari e le bombe, All This Victory è privo di ogni eroismo, di ogni retorica o filosofia spiccia.

Al contrario di gran parte della filmografia hollywoodiana, non esistono eroi o anti-eroi, solo esseri umani spaventati, sicuri di essere sempre più vicini alla morte, consci del fatto che al piano di sopra non potranno trovare né pietà né empatia. Il nemico, questi soldati di cui odono solo voci, grida, spari è dipinto come alieno, neppure appartenente alla razza umana, separato da qualcosa di più spesso di una parete: l’odio. Un odio che riaffiora nei racconti della tragedia che trasformò la “Las Vegas” del Medio Oriente in un incubo senza fine, nel ricordo dei vecchi delle guerre passate, di quando pensavano di cambiare il mondo, la patria.

Jeedar El Sot (All This Victory) cinematographe.it

Non vi è nulla di nobile, nessuna riscoperta di coscienza, amore o altro in Jeedar El Sot (All This Victory), solo il puro istinto di sopravvivenza, il terrore che paralizza respiri e movimenti, mentre attorno i simboli della civiltà muoiono, la natura viene ferita, la casa diventa sempre più oscura e spenta, sempre più una catacomba per vivi che tra pochi minuti potrebbero essere morti.

Jeedar El Sot (All This Victory): la sincerità di Ahmad Ghossein

Ghossein usa il suono in modo ineccepibile, la luce e i colori sono protagonisti assoluti di un piccolo labirinto circoscritto dove a perdersi è la coscienza del tempo, l’identità dell’essere umano come insieme di regole, razionalità e decenza. Potrà sicuramente essere accusato di essere un film di parte, forse anche anti-israeliano, ma non di non essere coerente e potente, di non essere eloquente sulle miserie della condizione umana in cui ancora oggi vivono i libanesi, schiacciati tra due fuochi.

E quel fuoco, quella guerra, il grande drago, l’uragano da cui non si sa se si esce vivi, alla fine la cosa più importante che ti può togliere non è mai la vita, ma la speranza, tutto quello che potevi essere e non sei stato. Riemerge potente la figura politica del padre, del passato del Paese che non si riesce più a ritrovare, che è perduto in quell’ignoto che sopravvive sulla punta delle baionette.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 4

3.8