C’era una volta a… Hollywood: le controversie sul nuovo film di Tarantino
Nel corso di svariati mesi, intorno al nuovo film di Quentin Tarantino, C'era una volta a... Hollywood, in uscita nelle sale italiane il 18 Settembre, si sono sviluppate diverse controversie. Ecco quali sono.
Ancor prima di essere presentato al Festival di Cannes e di essere rilasciato nelle sale di tutto il mondo, il nono lungometraggio di Quentin Tarantino, C’era una volta a… Hollywood, era già diventato uno dei film più attesi di questa nuova stagione cinematografica e un cult a tutti gli effetti. La maggior parte delle volte, però, insieme a questa incredibile risonanza vengono associate facilmente anche una serie di critiche formulate apposta per generare dibattiti e discussi dal nulla, tanto per incrementare le visualizzazioni e far accrescere ancora di più la notorietà del film in questione.
C’era una volta a… Hollywood: la rivincita di Quentin Tarantino sulla Storia
Nel caso di C’era una volta a… Hollywood era pressoché scontato che si sarebbero create delle obiezioni e polemiche che prescindono dalla bellezza dell’opera in sé, considerando il periodo in cui è ambientata la storia e la presenza di personaggi ben noti come quelli di Charles Manson e di Sharon Tate. Certo è che nessuno si aspettava la quantità insormontabile di controversie nate dall’arrivo del film nelle sale che, a confronto, hanno messo in ridicolo le misere critiche rivolte a Bastardi Senza Gloria una decina di anni fa.
Come tutti sanno, Tarantino ama provocare il pubblico e la critica con il suo tipico umorismo irriverente e riesce ad affrontare qualsiasi argomento rendendolo come una passeggiata in montagna a suon di splatter e scazzottate, sia esso un tema delicato come il nazismo o un soggetto problematico come quello dello schiavismo imperniante negli stati sudisti. Sin dal suo esordio nel 1992, il regista si è attestato, a dir il vero con poca competizione, come uno dei più controversi cineasti della cinematografia moderna. Se con il suo primo film, Le iene, l’autore ha frantumato lo storytelling tradizionale e ha reso distintiva un’innata violenza straripante e ossessiva, è con il successivo Pulp Fiction che egli ha definito in maniera inequivocabile i suoi tratti caratteristici per eccellenza, estremizzando una brutalità sanguinolenta, ancora più dilagante, mista a dialoghi incalzanti e ingegnosi.
C’era una volta a… Hollywood: la spiegazione del film di Quentin Tarantino
Nel corso degli anni, Tarantino ha continuato a catalizzare su di sé e le sue opere un’irriducibile stregua di ammiratori incalliti, generando però, allo stesso tempo, anche un folto gruppo di diffidenti spettatori, sfavorevoli al suo stile eccessivamente aggressivo e ancor di più al sottotesto sardonico di fondo che permea ogni pellicola.
Dopo l’uscita delle notizie riguardanti la storyline che Tarantino avrebbe intrapreso con C’era una volta a… Hollywood, c’era da aspettarsi la pioggia di critiche, che sono prontamente arrivate in tempo record, relative all’utilizzo di una storia delicata e scabrosa come quella dell’omicidio di Sharon Tate, diventata mero sfondo della rappresentazione squilibrata e decadentistica del divismo americano.
Come già avvenuto per i suoi tre precedenti lavori, periodi storici incresciosi e ancora oggi difficili da dimenticare fanno solamente da scenario ad avvenimenti completamente inventati che hanno delle ricadute sul reale mondo moderno. La creazione di una falsa linea narrativa, in cui un’icona dispregiativa come Charles Manson faceva solo capolino, non ha lasciato indifferenti gli oppositori che non hanno mancato di notare la ripetizione concettuale già utilizzata in Bastardi Senza Gloria, in cui veniva rappresentato un Hitler al limite del ridicolo in vesti di marionetta da fondale di scena.
C’era una volta a… Hollywood – le citazioni del film di Quentin Tarantino
Tarantino non crea riproduzioni veritiere della realtà bensì la plasma a suo piacimento, servendosene in minima parte e rievocando i momenti storici più funesti solamente per prendersi gioco di tutto e tutti, senza operare il minimo autocontrollo. È proprio questa l’origine della sua fortuna e della sua distinzione come icona del cinema contemporaneo ed è per lo stesso motivo che i suoi film, compreso questo suo nono lavoro, non saranno mai immuni da critiche e controversie. Di seguito riepiloghiamo le polemiche in cui C’era una volta a… Hollywood è rimasto coinvolto.
C’era una volta a… Hollywood: la mancanza di spazio al dramma di Sharon Tate
Il 21 Maggio 2019, C’era una volta a… Hollywood è stato presentato in anteprima mondiale alla 72esima edizione del Festival di Cannes. Le prime recensioni hanno elogiato e glorificato il film come l’ennesimo capolavoro del cineasta, ma alcuni critici hanno messo in discussione la poca presenza sullo schermo di Margot Robbie nei panni della sfortunata attrice Sharon Tate che, ricordiamo, è stata uccisa nell’agosto del 1969 dai membri della setta capeggiata da Charles Manson.
Quando un giornalista ha chiesto delucidazioni al regista riguardo il ruolo della bionda australiana e alla sua partecipazione molto effimera, Tarantino ha rigettato le insinuazioni scatenando un clamore mediatico non indifferente e l’ascesa di innumerevoli teorie sul film che, fino a quel momento, solo una manciata di accreditati al Festival avevano avuto l’opportunità di vedere. Molte persone hanno criticato la scelta del cineasta di raccontare una storia su personaggi fittizi anziché focalizzarsi sul tragico episodio che tutti conosciamo ma di cui, tutt’ora, si ha difficoltà a trasporre sullo schermo in maniera diretta ed evocativa. Come abbiamo detto, però, questo non sarebbe stato nelle corde del regista.
Quando C’era una volta a… Hollywood è stato infine rilasciato nelle sale statunitensi nel mese di luglio, gli spettatori americani hanno spiegato come il film non fosse incentrato sull’eccidio di Cielo Drive e la perversione della Famiglia Manson, né si poneva come obiettivo quello di raccontare la storia di Sharon Tate. Tarantino ha solamente sfruttato l’ambientazione della Los Angeles del periodo come scenario di fondo per far emergere gli ideali della vecchia Hollywood e per mostrare la nascita del movimento della controcultura, sorto proprio negli anni ’60. Entrambi i protagonisti, Rick Dalton e Cliff Booth, cercano disperatamente di trovare una propria collocazione all’interno di un mondo che ha già mutato le sue mode e le nuove tendenze si stanno dirigendo verso altri orizzonti, forse irraggiungibili per coloro che indugiavano ancora nel passato. Nonostante la contestualizzazione dell’opera, la controversia sul poco minutaggio della Robbie non è scemata, sebbene Tarantino abbia perfino aggiunto due minuti aggiuntivi nel montaggio finale andato in onda nelle sale.
Riguardo il ruolo di Margot Robbie nel film, il regista ha successivamente spiegato come volesse celebrare l’esistenza di Sharon Tate in quanto giovane ragazza che viveva la sua vita in maniera spensierata, alla ricerca del fantomatico successo hollywoodiano, affermando quanto segue:
Ho pensato che fosse toccante e gradevole ma, allo stesso tempo, triste e melanconico trascorrere del tempo con lei in quanto persona. Non ho creato una grande storia e non l’ho inserita in essa per farla dialogare con gli altri personaggi in modo da progredire con il racconto. Ho scelto di rappresentare semplicemente un giorno qualsiasi della sua vita. Un giorno della vita di ognuno di loro. Un giorno fatto per andare in giro, svolgere delle commissioni, fare questo e fare quello, solo per stare con lei. Ho pensato che cosi fosse speciale e significativo. Volevo mostrare al pubblico Sharon che viveva la propria vita. Non che faceva parte di una storia, ma vederla vivere ed essere se stessa.”
Il finale di C’era una volta a… Hollywood
Come abbiamo già detto, C’era una volta a… Hollywood riprende pedissequamente i paradigmi proposti in Bastardi Senza Gloria, reinventando una storia realmente accaduta e aggiungendo un twist finale che riscrive gli eventi sotto una nuova luce, decisamente più ottimistica. Ancora una volta, attraverso il colpo di scena definitivo, Tarantino sovverte completamente le aspettative che tutti noi avevamo su C’era una volta a… Hollywood, riportando dei fatti reali in una maniera fiabesca e totalmente falsata.
Come tutti sanno, infatti, la sera dell’8 agosto 1969, quattro membri della famiglia Manson, dietro ordine del loro leader, entrarono nella villa in cui risiedeva Sharon Tate con il regista Roman Polanski, uccidendo la giovane attrice insieme ad altre quattro persone. Nella versione alternativa che è stata partorita dalla mente di Tarantino, i membri della Famiglia Manson vengono uccisi da Rick e, in particolar modo, da Cliff. Il film viene costruito intorno allo spettro della tragedia di Cielo Drive, rifiutandosi di portare in scena il macabro finale che il pubblico si aspetta e preferendo una sorta di lieto fine anticonvenzionale.
In C’era una volta a… Hollywood, i membri della Famiglia Manson prendono di mira la casa di Rick dopo averlo riconosciuto come la star del fittizio show televisivo Bounty Law, decidendo così di uccidere l’uomo che, secondo la loro mente perversa, li aveva introdotti alla violenza. Il loro astuto piano, però, gli viene ritorto contro dai due protagonisti e, alla fine, vediamo come la vecchia Hollywood composta da Rick e Cliff vinca, salvando così lo stile di vita degli anni ’60 in contrapposizione ai tempi ormai moderni. Nel frattempo, Sharon è alla porta accanto miracolosamente illesa, proprio come avremmo voluto che fosse nella realtà, e invita Rick per un drink. Il film si chiude sui titoli di testa che ci ricordano che ciò che abbiamo visto non è assolutamente la trasposizione della vita reale, ma solamente una fiaba che inizia, ricalcando le celebri favole di una volta, con la frase “C’era una volta a… Hollywood”.
La principale critica rivolta al film risiede proprio in questo finale, non tanto per il capovolgimento degli eventi realmente accaduti, quanto per il modo canzonatorio con cui Rick e Cliff uccidono i membri della Famiglia Manson, in particolare le donne, in maniera totalmente analoga alla gratuita morte sanguinolenta e sardonica di Hitler alla fine di Bastardi senza gloria. È evidente come nelle opere di Tarantino ci si debba aspettare un’uccisione atroce e cruda per i personaggi femminili così come per quelli maschili, ma in molti si chiedono se questo non vada oltre un limite morale e non sia, a volte, eccessivamente calcato.
A queste obiezioni si è aggiunto anche il magazine Hollywood Reporter, che ha criticato la decisione di Tarantino di raffigurare le donne che erano parte della setta come semplici cattive della situazione, degne di essere trucidate barbaramente, anziché come, in parte, vittime di abusi e lavaggi del cervello da parte di Manson. La stessa questione di fondo era stata alzata in passato anche per il personaggio di Daisy Domergue nel precedente The Hateful Eight, oltre che per la sua depersonalizzazione in quanto donna, soggetta a ripetuti abusi fisici e verbali, anche per la sua morte estremamente brutale e la maniera quasi morbosa con cui Tarantino si era soffermato sulla lenta agonia dell’impiccagione della criminale. Tutto questo era sfociato in una violenta e chiara accusa di misoginia nei confronti del regista, ma aveva allo stesso tempo portato l’attrice Jennifer Jason Leigh, interprete di Daisy, ad ottenere la sua prima nomination agli Oscar proprio per l’incredibile difficoltà nell’immergersi in un ruolo così complesso, ma sottintendendo anche un’accettazione del lavoro che Tarantino aveva messo in piedi per creare il personaggio.
La rappresentazione inaccurata di Bruce Lee in C’era una volta a… Hollywood
Probabilmente la polemica sul nono film di Quentin Tarantino che ha scatenato più clamore è proprio la raffigurazione che il regista ha dato all’attore Bruce Lee. In C’era una volta a… Hollywood, il famoso artista marziale e icona del cinema appare in una serie di sequenze interpretato da Mike Moh. Ci troviamo sul set di The Green Hornet, la serie televisiva della ABC andata in onda nel 1966-1967, da cui poi è stato tratto il film del 2011 con Seth Rogen, e Lee mostra la sua nota spavalderia a un poco impressionato Cliff, con il quale avverrà in seguito un combattimento. In termini temporali, bisogna ricordare come in questa serie l’artista era ancora relegato a ruoli da co-protagonista, ben lontano dalla mitizzazione venutasi a generare grazie alle sue pellicole più iconiche come Dalla Cina con furore del 1972 e I 3 dell’Operazione Drago del 1973. Nonostante questo, Lee viene ritratto come una persona estremamente arrogante e i suoi manierismi vengono utilizzati come fonte di commedia, evidenziata da un momento in cui Cliff imita un suono prodotto da Lee.
Ma l’elemento di questa peculiare caratterizzazione che ha destato la più forte ripercussione in termini critici è stata la sfrontatezza con cui Lee, in una scena, si vanta di essere in grado di battere il famoso pugile Muhammad Ali. A tal proposito, Dan Inosanto, amico di Bruce Lee ha affermato sul magazine Variety come “Lee non avrebbe mai detto niente di denigratorio nei confronti di Muhammad Ali, anzi venerava la terra su cui Muhammad Ali camminava”. Anche la figlia Shannon Lee è rimasta molto scontenta dalla rappresentazione che Tarantino ha fornito di suo padre, dicendo:
Ho sempre pensato che Tarantino fosse un fan del genere del kung-fu e di tutte quelle cose che spaccano con stile, come di certo faceva mio padre. Ma non sono sicura di avere qualche prova che lui conosca realmente qualcosa su Bruce Lee in quanto persona o che sia interessato a scoprire chi fosse Bruce Lee come individuo o se ammira Bruce Lee in quanto essere umano. Bruce Lee era continuamente messo in disparte e trattato come una sorta di seccatura da parte dei bianchi di Hollywood ed è proprio in questo modo che è stato trattato anche nel film di Quentin Tarantino.
Su Twitter, il critico Walter Chaw ha iniziato un’ampia discussione riguardante la rappresentazione di Bruce Lee in C’era una volta a… Hollywood, dichiarando “se è la fantasia di un bianco che un uomo bianco sia in grado di battere Bruce Lee, è lo stesso tipo di fantasia che porrebbe quindi Lee come test definitivo per definire le abilità combattenti di un immaginario uomo bianco. Il tuo razzismo è estremamente bigotto o paternalistico. Secondo te, chi vincerebbe? Bruce o una persona immaginaria?”. Solo pochi giorni dopo la pubblicazione di questo messaggio, Chaw ha affrontato nuovamente la questione della rappresentazione di Bruce Lee nel film in un articolo pubblicato sul magazine Vulture intitolato “Perché stai ridendo di Bruce Lee?”, nel quale si può trovare il seguente paragrafo:
Crescendo in quanto ragazzo cinese in un’area abitata prevalentemente da bianchi, una delle cose più comuni che le persone facevano per deridermi era quella di imitare i versi che faceva Bruce Lee. La reazione alla performance di Moh – i sogghigni che sono seguiti alla sua rappresentazione di Lee – si è avvertita come un gesto che è razzista nello stesso identico modo. In verità, fino a poco fa, la grande maggioranza di apparizioni di personaggi asiatici nei film mainstream americani portavano con loro lo stesso potenziale per le medesime e indesiderate risate razziste.
Ma cosa ne pensa Tarantino? Dal canto suo, il regista non ritiene di aver fornito una raffigurazione inaccurata e razzista di Lee e ha risposto alla controversia in una conferenza stampa tenutasi a Mosca, affermando: “Bruce Lee era un uomo arrogante e del modo in cui parlava non mi sono inventato molto. Gli ho sentito dire cose del genere con quel preciso intento. Se le persone dicono ‘Non ha mai detto di poter battere Muhammad Ali’, in realtà sì, lo ha detto. E non solo lo ha detto, ma sua moglie Linda Lee lo ha affermato nella sua prima biografia, che io ho letto. Lei lo ha assolutamente detto”.
C’era una volta a… Hollywood: il mistero che aleggia sul personaggio di Cliff Booth (SPOILER)
In seguito alla visione di C’era una volta a… Hollywood, gli spettatori americani hanno riportato delle opinioni molto diverse sul film, e in particolare su uno dei due protagonisti, in base all’interpretazione che hanno scelto di assegnare a Cliff. Stando ai fatti, il personaggio interpretato da Brad Pitt è uno stuntman di mezza età, molto leale a Rick, insieme al quale appare come un uomo di gradevole compagnia, calmo ed equilibrato. Da solo, però, Cliff appare come una persona decisamente più complessa da decifrare e dal carattere pungente: picchia un hippie allo Spahn Ranch, ha un combattimento con Bruce Lee e, alla fine, uccide i membri della Famiglia Manson. Sin dall’inizio del film, Cliff viene visto sotto questa duplice luce e Tarantino mette in piedi un gancio narrativo, semplice ma efficace, che ha lo scopo di insidiare un dubbio presso il pubblico: Cliff potrebbe essere una persona spregevole che ha appena ucciso sua moglie.
Alla fine, però, si arriva alla conclusione che, forse, l’uomo non ha davvero ucciso la propria coniuge o, quantomeno, lo possiamo supporre con abbastanza certezza dal momento che non ci viene data alcuna prova inconfutabile nel corso della pellicola, sebbene egli sia un individuo che non si mette tanti problemi ad alzare le mani e massacrare qualcuno. In realtà, la presentazione che ci viene fornita del personaggio di Cliff, dagli indubbi difetti ma dall’incerto passato, è una mossa strategica di Tarantino per tenere viva l’attenzione e domandarci continuamente chi abbiamo di fronte e quale dei due Cliff che ci vengono mostrati sia quello reale.
Per mettere in atto questa strategia, il cineasta ha deciso di ispirarsi al mistero che ha circondato la tragica morte di Natalie Wood, avvenuta nel 1981. Ancora una volta, Tarantino si serve delle macabre storie di attrici di Hollywood, infaustamente scomparse, come mezzo di puro intrattenimento e di suspense e portare il pubblico fuori dalla rotta della drammatica realtà. Egli crea un cammino, basandosi su eventi accaduti, e poi sovverte le aspettative non mostrando ciò che ci si sarebbe aspettato, ma una versione più idilliaca. Ed è per questo che Cliff non si è rivelato essere l’assassino di sua moglie.
Nonostante questo, però, Twitter si è animato con innumerevoli messaggi di spettatori che erano fermamente convinti che il personaggio di Brad Pitt fosse un uxoricida, aspetto che può cambiare totalmente la visione generale che si attribuisce al film. Attraverso la magia del cinema, e una narrazione sospesa basata sul vedo-non vedo, Tarantino è riuscito a far credere al pubblico che fosse avvenuto un omicidio ad opera del protagonista. In realtà, niente di tutto ciò ci viene chiaramente mostrato. Durante un flashback, Cliff ricorda mentre si trovava su una barca, con sua moglie che si lamentava. L’uomo ha un arpione sul proprio grembo e sembra che stia meditando un omicidio. A questo punto Tarantino taglia la scena e scorre avanti nella storia principale. In termini di storytelling, questa scena rappresenta il ricordo di un momento della vita di Cliff che però, essendo interrotto a metà, potrebbe effettivamente portare a dubitare su cosa sia realmente avvenuto su quella barca. Oltre a tenere alta la suspense, queste implicazioni narrative sono servite anche per riecheggiare un famoso mistero irrisolto di Hollywood, che rappresenta una delle storie più inquietanti tra quelle avvenute nel mondo dello spettacolo.
Il 29 Novembre 1981, l’attrice Natalie Wood viene ritrovata senza vita al largo dell’isola di Santa Catalina, probabilmente morta per annegamento. Durante quella sera, la donna aveva bevuto pesantemente e, si suppone in seguito a una discussione, aveva deciso di scendere da sola dal suo panfilo, sul quale si trovava insieme al marito Wagner e all’attore Christopher Walken, e di avventurarsi nell’Oceano Pacifico con un gommone. Alcune incongruenze, non tanto nelle testimonianze dei presenti, sempre concordi tra di loro, quanto nell’incapacità dell’attrice di nuotare e del suo terrore per l’acqua, hanno gettato una strana luce su cosa sia effettivamente avvenuto quella notte. Per molti anni, le persone hanno creduto (e tante sono tutt’ora convinte) che il marito Robert Wagner avesse ucciso sua moglie in seguito a un raptus di gelosia nei confronti di Walken o, semplicemente, che sia accaduto un tragico incidente mentre stavano discutendo animatamente.
Ad oggi, la motivazione non appare più così importante, in quanto nessuno potrà mai stabilire cosa sia effettivamente successo e se c’è qualcuno da incolpare per la morte della Wood. Solo i presenti conoscono la verità ed è molto probabile che se la porteranno con loro fino alla tomba. Ciò che è interessante notare, piuttosto, è quanto la gente sia ancora convinta che Wagner sia l’unico possibile colpevole, proprio come è accaduto con il personaggio di Cliff Booth in C’era una volta a… Hollywood, anch’egli ritenuto reo di aver ucciso la moglie senza che si abbia alcuna minima prova in merito. Nessuno ha visto l’omicidio in atto e nessuno possiede quindi la verità in mano, ma è più facile speculare e generare una propria versione dei fatti che rimanere nel totale mistero di cosa sia accaduto realmente.
Le critiche del rapper e novello regista Boots Riley a C’era una volta a… Hollywood
Non solo gli spettatori e i critici hanno sollevato polemiche nei confronti di C’era una volta a… Hollywood, ma perfino gli stessi colleghi di Tarantino. Nell’agosto del 2019, il rapper Boots Riley, che lo scorso anno ha esordito nel cinema con il suo primo film intitolato Sorry to bother you, ha criticato la pellicola servendosi anche lui di Twitter. Mentre alcuni spettatori non hanno apprezzato la rappresentazione che il film ha fornito sugli hippies, l’emergente regista Boots Riley si è fortemente scagliato contro questo aspetto dell’opera ed è convinto che Tarantino abbia malamente travisato la figura di Charles Manson e del suo clan, affermando questo:
La Famiglia Manson era chiaramente fanatica della supremazia bianca e ha cercato di iniziare una guerra con lo scopo di uccidere persone di colore. Non erano solo hippies, che declamavano a destra e a sinistra critiche ai media. Loro erano estremisti di destra. Questo fatto ribalta totalmente l’allegoria di Tarantino nella direzione sbagliata.
Come è risaputo, Manson stava effettivamente progettando di scatenare una guerra razziale ed era noto per essere un individuo manipolatore capace di influenzare giovani, e molto spesso vulnerabili, menti a proprio piacimento affinché perseguissero i suoi scopi. Proprio per questo motivo, ancora oggi è aperto un dibattito riguardo fin dove i membri della Famiglia Manson debbano subire le colpe per i delitti che hanno commesso e su quanta responsabilità risieda, piuttosto, nelle mani di colui che ha fatto loro il lavaggio del cervello. Tra coloro che difendono gli adepti della setta, in quanto vittime a loro volta, e chi, invece, è convinto che tutti siano colpevoli nello stesso identico modo, la verità sta probabilmente nel mezzo, come spesso accade, ossia che per quanto sia vero che Manson sottoponeva i suoi seguaci a costanti abusi fisici e mentali, questi ultimi rimangono comunque egualmente colpevoli e meritano di scontare la propria pena per gli orribili e sanguinosi delitti che hanno commesso in prima persona.
Nonostante Manson sia il peggiore di tutti, in quanto ha acceso la miccia che poi gli altri hanno opportunamente usato per ardere l’incendio, non bisogna dimenticare quante mani si sono macchiate di sangue, che non potrà più essere lavato via. Questo controverso dibattito è stato sollevato anche nella seconda stagione di Mindhunter e, proprio a questo proposito, è interessante notare come l’attore Damon Herriman abbia interpretato Manson sia in questa serie televisiva che in C’era una volta a… Hollywood. Considerata l’incredibile somiglianza, dopo aver visitato la sezione trucco e acconciatura, non c’è molto da stupirsi che due registi attenti come David Fincher e Quentin Tarantino abbiano scelto lo stesso interprete per svolgere il medesimo ruolo, anche se quest’ultimo poi viene trattato in una maniera totalmente opposta: più realistica e profonda nel primo caso e più irriverente e burlesco nel secondo.
In conclusione, Tarantino è sicuramente un regista che divide le folle tra strenui sostenitori e ferrei oppositori, lo è sempre stato, e non ci si poteva aspettare nulla di diverso anche per il suo ultimo lavoro in C’era una volta a Hollywood. È però opportuno chiedersi una domanda: fin dove un cineasta può arrivare a piegare la realtà, e prendersi gioco di essa, pur di seguire la propria visione creativa?