The Wolf of Wall Street: recensione del film di Martin Scorsese
The Wolf of Wall Street è un film del 2013 diretto da Martin Scorsese, che racconta in 180 minuti il vortice di criminalità, lusso sfrenato e droghe vissuto a cavallo fra anni ’80 e ’90 da Jordan Belfort, interpretato da uno stratosferico Leonardo DiCaprio. Belfort è stato uno dei più grandi broker della storia di Wall Street, riuscendo a costruire un vero e proprio impero finanziario grazie alle commissioni sulla vendita delle cosiddette penny stock, azioni dal basso costo e dall’ancora più basso valore reale. Jordan Belfort ha raccontato la sua vita e le sue malefatte nella sua autobiografia The Wolf of Wall Street, di cui ha acquistato i diritti lo stesso Leonardo DiCaprio, desideroso di portare sul grande schermo un personaggio così controverso.
Affianca Leonardo DiCaprio un ottimo cast, che comprende Jonah Hill, l’incantevole Margot Robbie, l’ex premio Oscar Jean Dujardin e un piccolo cameo di Matthew McConaughey, che proprio in quell’anno soffiò la tanto desiderata statuetta a DiCaprio grazie alla sua performance in Dallas Buyers Club.
The Wolf of Wall Street: tre grottesche ore di eccessi e grande cinema
Jordan Belfort (Leonardo DiCaprio) è un giovane broker che si affaccia al mestiere presso la società gestita da Mark Hanna (Matthew McConaughey), che gli insegna i trucchi del mestiere e lo instrada verso uno stile di vita fatto di droghe ed eccessi. A seguito del Lunedì nero del 19 ottobre 1987, in cui le borse mondiali subiscono ingenti perdite, Belfort perde il lavoro, trovandosi costretto a ripartire da zero. La svolta della sua vita arriva con la chiamata da parte di una piccola società di brokeraggio che lavora esclusivamente sulle penny stock, guadagnando il 50% di ogni transazione come commissione. Per Jordan Belfort è l’inizio di una crescita senza freni, che lo porterà a fondare la Stratton Oakmont insieme all’amico Donnie Azoff (Jonah Hill) e a condurre una vita dissennata e senza regole, che gli porterà gioie come la conoscenza della futura moglie Naomi Lapaglia (Margot Robbie), ma anche l’attenzione dell’FBI, nella persona dell’agente Patrick Denham (Kyle Chandler).
La caratteristica principale di The Wolf of Wall Street è l’eccesso. L’eccesso dei protagonisti, che in un delirante crescendo di perversione non si fanno mancare nulla, dalle droghe più pregiate all’alcool, passando per nani usati come freccette umane e ammucchiate di gruppo negli uffici della Stratton Oakmont con prostitute rigorosamente catalogate in base alla loro tariffa. L’eccesso nello svolgimento del film, che per 180 minuti gira intorno a situazioni simili, con il grosso rischio di diventare ridondante. L’eccesso di umorismo, che spezza diverse volte la narrazione con alcune sequenze al limite del nonsense, come la riunione fra i boss della Stratton in cui si dibatte sull’utilizzo dei già citati nani o l’irresistibile odissea di Jordan Belfort alle prese con gli effetti delle pillole di quaalude assunte poco prima. Materiale pericoloso da manipolare per molti, ma non per Martin Scorsese, che riesce invece a mettere in piedi un film che per 3 ore non annoia mai e che ci mette davanti all’estasi del lusso e all’oscenità del potere. L’ennesima conferma del talento e della classe di un regista che a più di 70 anni non smette ancora di stupire, dipingendo un graffiante affresco del desiderio di onnipotenza e dell’ineluttabile autodistruzione a esso legata. Ad andare in scena non è un’apologia del crimine e dell’immoralità, ma il grottesco racconto di un uomo ambizioso e arrivista, che ha la fortuna di trovarsi al posto giusto nel momento giusto, ma che si rivela completamente incapace a gestire la ricchezza e il potere che ne conseguono, finendo per essere inevitabilmente travolto dalla situazione.
Domina su tutti un incontenibile Leonardo DiCaprio, con una prova da attore completo che spazia su diverse emozioni e sfumature caratteriali. A rimanere impressi sono sicuramente i momenti più comici, in cui DiCaprio sfoggia la sua abilità nello slapstick, usando il suo corpo a scopo comico come mai gli avevamo visto fare prima, ma non vanno dimenticati neanche gli entusiasmanti discorsi tenuti da Jordan Belfort ai propri dipendenti o le fasi iniziali della pellicola, in cui l’attore è straordinario nel rendere l’insicurezza e l’inesperienza di colui che in seguito diverrà lo spregiudicato Wolfie, venerato dai propri dipendenti e odiato dai nemici.
Una splendida fotografia, ricca di colori forti, e una colonna sonora che spazia dal blues al jazz (con qualche escursione nel punk) sono il perfetto accompagnamento per questo film imperfetto, misogino, volgare e a tratti ridicolo, ma anche tremendamente efficace e coinvolgente. La parabola di Jordan Belfort ci diverte e ci affascina, ma, fra una masturbazione in pubblico e una notte sadomaso con una prostituta, ci ricorda anche che la dura realtà prima o poi si fa viva per presentarci il conto e per riportarci con i piedi per terra. Vale la pena vivere una vita lussuriosa e sfrenata, anche se per un tempo inevitabilmente limitato? Fin dove può arrivare la depravazione dell’animo umano? A The Wolf of Wall Street le risposte.