E poi c’è Katherine: recensione del film con Emma Thompson
La recensione di E poi c'è Katherine di Nisha Ganatra. Nei ruoli delle protagoniste, le due eccellenze Emma Thompson e Mindy Kaling
E poi c’è Katherine, traduzione italiana di Late night, è l’esordio sul grande schermo della sceneggiatrice di The office Mindy Kaling, qui in veste sia di autrice dello script che di attrice protagonista. Affiancata da una strepitosa Emma Thompson, la Kaling sceglie un altro talento femminile per dirigere l’operazione, la regista di origine indiana Nisha Ganatra.
E poi c’è Katherine, la commedia in rosa ai tempi del #meetoo
Più che commedia rosa, commedia in rosa, dal momento che Mindy Kaling non sceglie di raccontare le vicende sentimentali dei personaggi (che ci sono, ma sono piuttosto accessorie), ma la faticosa costruzione della propria carriera da parte di due donne agli antipodi, ma avvicinate da una straordinaria determinazione.
Al centro di E poi c’è Katherine, la veterana del piccolo schermo Katherine Newbury (Emma Thompson), un’algida signora inglese che ogni sera, da più di vent’anni, intrattiene il pubblico americano nel suo Late Show. Accusata di avere atteggiamenti sessisti nei confronti dei suoi collaboratori e dipendenti, accetta di assumere Molly Patel – una giovane aspirante autrice, fin troppo entusiasta del nuovo incarico. Attorno a loro, un cast di personaggi secondari uomini, tra i quali figurano alcuni volti noti della comicità americana.
La storia della dolce e determinata Molly e del suo duro cursus honorum verso le grazie del suo boss-donna Katherine è realmente ispirato a vicende personali dell’autrice Mindy Kaling: con la Thompson, in effetti, la Kaling condivide la doppia professione di attrice e sceneggiatrice, così come si racconta nel film.
L’impressione è che la brillante penna della Kaling proponga al pubblico una versione leggera della sua storia personale, che – nonostante il linguaggio della commedia – emerge con tutta la sua difficoltà. Non solo donna, ma anche di colore Molly/Mindy vive la pressione di dover continuamente dimostrare di non essere solo una quota rosa o una minoranza protetta, ma una professionista con competenze e talento da vendere.
E poi c’è Katherine, il limite di essere un film-manifesto
E poi c’è Katherine è la commedia perfetta per rispondere alla sana necessità di parità di genere dilagata a Hollywood dopo lo scandalo Weinstein. Partendo dalla composizione del cast tecnico, in cui compaiono numerose donne in ruoli rilevanti, fino alla scelta di assegnare a Amy Ryan (vista in Birdman e Beautiful Boy, oltre che in The office) il ruolo della presidente del network Caroline Morton, ogni elemento dovrebbe essere #meetoo approved.
Late Night: Amazon Studios rilascia il trailer finale del film
Non poteva essere diverso, in un prodotto che vuole immaginare un’oasi felice e femminista in quello che è, da sempre, a men’s world: la comicità. Nonostante il messaggio positivo che la Kaling fa pronunciare al personaggio di Katherine in una delle scene-chiave del film, che dice – sostanzialmente – che la comicità è l’unica forma di meritocrazia possibile, dove chi fa ridere, fa ridere, questo ambiente è stato a lungo composto da una forte maggioranza maschile. Come già racconta un altro prodotto Amazon di grande successo e di grande qualità, La fantastica signora Maisel, il binomio donna e comicità ha lottato a lungo per affermarsi. La Katherine raccontata dalla Thompson, per esempio, è una donna che ce l’ha già fatta, ma che deve combattere ancora duramente per difendere il proprio spazio tanto faticosamente conquistato.
Questa intenzione, questa voglia di affermare se stessa e il proprio ruolo traspare in ogni scelta del film e, risulta, alla lunga anche troppo didascalica. Ogni elemento è studiato in un’ottica di girl power, un concetto che si sarebbe potuto esprimere con più naturalezza, senza l’ansia di far quadrare ogni dettaglio.
Come se stesse compilando un manuale dell’essere donna nel mondo dello spettacolo nel 2019, la Kaling affronta sia lo slut shaming, risolto in un’onesta ammissione di debolezza, sia l’invecchiamento delle artiste e la loro relegazione in ruoli spesso umilianti e profondamente sessisti.
Il meglio del piccolo schermo in E poi c’è Katherine
Al di là della tematica femminista, un altro elemento che emerge in E poi c’è Katherine (oltre alla discutibile traduzione del titolo) è la convergenza di alcuni dei talenti più interessanti del piccolo schermo.
Mindy Kaling, osannata come una delle voci più brillanti della sua generazione, è stata inserita nel team di scrittura (anche qui, unica donna) della serie-cult NBC The office dopo il suo debutto come drammaturga al Fringe Festival. Le ossa, professionalmente parlando, se l’è fatte sul set, alternando al ruolo di autrice quello di attrice, regista e produttrice esecutiva. Emma Thompson stessa, inoltre, ha esordito sul piccolo schermo inglese con la serie comica Alfresco, al fianco di altri grandi talenti della recitazione britannica: Robbie Coltrane, Ben Elton, Stephen Fry, Hugh Laurie e Siobhan Redmond. La verve comica della Thompson sarà poi raffinata nella serie Thompson andata in onda nel 1988, in cui condivideva il set con Imelda Staunton e il futuro marito Kenneth Branagh.
Così come la carriera della Thompson sicuramente ha travalicato i confini del piccolo schermo, anche altri interpreti di E poi c’è Katherine si muovono agevolmente sia in TV che al cinema. Per esempio, per quel che riguarda Denis O’Hare, qui nei panni di Brad il produttore esecutivo, memorabile resta la sua performance della transgender Liz Taylor in American Horror Story: Hotel.
Reid Scott, Hugh Dancy, Paul Walter Hauser e Max Casella interpretano alcuni degli autori al servizio di Katherine Newbury e sono tutti volti della commedia o della tv. Se Dancy ha lavorato – tra gli altri – in Hannibal, Casella ha partecipato alla storica serie I Soprano, mentre Scott è stato tra i personaggi secondari di Will & Grace e New Girl.
E poi c’è Katherine, dunque, è un film sul mondo della televisione in cui convergono energie del mondo della televisione. Nonostante l’inevitabile paragone con Il diavolo veste Prada (per via del rapporto tra boss e dipendente e per la protagonista come terribile Lady di ferro), si avvicina per ambientazione al minore Il buongiorno del mattino, con Rachel Adams che si destreggia negli studi di un notiziario mattutino. Si tratta di un aggiornamento femminile del topos del Sogno americano, dove l’impegno e la perseveranza sono armi sufficienti per ribaltare qualsiasi situazione di crisi.
Una favola workaholic con alcuni (pochi) momenti realmente graffianti, basata principalmente sulla sua protagonista, che fa di tutto per mettere in scena la sua Miranda Priestley, senza – però – essere agevolata da un contesto all’altezza del suo carisma. E poi c’è Katherine sarà distribuito in sala da Adler Entertainment a partire dal 12 settembre.