Katja Cola e Lunetta Savino: “Con Rosa esploriamo i tabù della morte e del sesso femminile nella terza età”
La regista Katja Cola e la protagonista Lunetta Savino parlano di Rosa, guardando al mondo della sessualità femminile e della perdita di cui l'opera tratta.
La sessualità e la morte, la perdita e la riscoperta: tanti sono i passaggi di Rosa, opera prima di Katja Colja scritta insieme a Tania Pedroni e Elisa Amoruso. Temi molte volte ancora tabù in Italia, che la regista e ideatrice del soggetto ha voluto comunque portare sullo schermo, avvalendosi del grande aiuto e della voglia di novità della sua protagonista Lunetta Savino. Un’esplorazione nel femminile, nei silenzi e nelle rinascite che le due donne hanno affrontato insieme e di cui parlano durante la presentazione del film, in uscita nelle nostre sale il 18 settembre.
Rosa: recensione del film con Lunetta Savino
Katja, sei anche realizzatrice del soggetto oltre che regista di Rosa. Da dove proviene questa tua storia?
“L’idea nasce partendo da mia madre. Dopo la morte di mio padre, si è innamorata di nuovo, e dalla donna di sessantacinque anni quale è si è iniziata a comportare nuovamente come una diciottenne. È stata una vera e propria rinascita. Era questo, quindi, che volevo raccontare. La morte è qualcosa che tocca tutti e scegliere di far perdere una figlia alla protagonista è stato difficile. Sono stata con un gruppo di madri che hanno perso i loro figli e una signora mi ha fatto notare come non esiste una parola che può determinare questo stato. Se un uomo o una donna perdono i loro compagni si dice vedovo e vedova, ma non esiste un termine per quando dei genitori perdono i propri figli. Partendo da questo silenzio, ho iniziato a dare forma a Rosa.”
Come è avvenuta la scelta di Lunetta Savino? Avevi già in mente lei in scrittura?
“Non pensavo, in realtà, a un’attrice specifica. Abbiamo fatto molti casting e, in questi, Lunetta mi ha sorpreso. La sua interiorità viene fuori come non si era mai vista e, così, anche la sua fragilità. In lei ho visto la poesia che volevo per il mio film. Mi ha restituito i sentimenti che volevo da sempre raccontare e che abbiamo iniziato a sentire già durante la fase di pre-produzione.”
E come è stato poi il lavoro con la tua protagonista in questo viaggio di riscoperta?
“Non è semplice mostrarsi a sessant’anni, mettere in scena il proprio corpo per quello che è. Un corpo felice, che vive. Lunetta lo ha fatto e questo l’ho apprezzato tantissimo. Si mostra in tutta la sua complessità ed è questo che rende reale il personaggio. Lunetta non recita, è vera. Abbiamo lavorato tanto sulla verità del personaggio, basandoci sul marito, sui costumi, sui colori, sullo spazio. Di questo le sono molto grata.”
La perdita della figlia è un lato di Rosa, mentre l’altro indaga tutta la sfera della sessualità femminile. Come ti sei avvicinata a questo mondo, soprattutto a quello fatto dei sex toys che si vedono nel film?
“Devo dire che gli oggetti stessi mi hanno aiutata molto a scoprire il corpo femminile. Non è scontato che una donna di sessant’anni li usi e, solitamente, se li si inserisce in un film sembrano sempre avere quella connotazione pornografica o illecita. In Rosa, invece, gli oggetti aiutano a riscoprirsi, a riscoprire la fisicità femminile in tutte le sue forme. La vita è una continua esplorazione ed è bello continuare ad indagare anche in terza età, bisogna sempre rimanere curiosi e non smettere mai di amarsi, di guardarsi come ragazzini, di baciarsi. Non era certo facile raccontare tutto questo attraverso il lutto di una donna, ma credo di essere riuscita a trovare la giusta chiave.”
Non solo sex toys, però, il film si spinge anche oltre…
“Sì, c’è la scena dell’autoerotismo, è là che si torna sempre. Dopo alcune proiezioni che abbiamo fatto, molte donne si sono avvicinate e hanno iniziato a parlare. C’è bisogno di comunicazione su questo versante, tante donne vengono colpite da questa cosa eppure, anche quando iniziano a parlarmene, assumono sempre un tono molto pudico. Da sempre si parla di autoerotismo maschile come qualcosa di normale e assodato. Invece le donne sembra che non riescano a parlarne nemmeno tra di loro. Eppure l’autoerotismo serve, è così che si può dire di conoscere bene il proprio corpo. Non ti ami fino in fondo se non ti concedi un piacere, da solo o con altri. Ecco un altro confine da superare.”
Sembra che il tuo film parli molto di confini. C’è spesso una sorta di scavalcamento di una frontiera o no?
“La questione del confine è qualcosa che sento fin da quando sono piccola. Era qualcosa che c’era, dove abitavo io, una divisione che creava anche dell’odio, e ho sempre voluto che si superasse. Ma nel film ci sono tanti tipi di scavalcamento dei confini. Quello della morte, quello del piacere femminile. Si sconfina a ripetizione per cercare di affrontare approfonditamente i temi di cui si parla nella pellicola. Il tutto cercando di mantenere il dovuto equilibrio.”
Lunetta Savino su Rosa: “Aspettavo la scena dell’autoerotismo al varco, ma l’ho affrontata da temeraria.”
Tu, Lunetta, sei stata convinta fin dall’inizio di intraprendere questo passaggio oltre i confini?
“Questo film è stato certamente un lungo parto, ma altrettanto bello. C’erano tante incertezze sulla possibilità o meno di girare la pellicola, c’è voluta la perseveranza di Katja e dei produttori perché il progetto andasse in porto. Ero convinta perché non si tratta di un film scontato, ma particolare, come non ne fanno in Italia. Ne abbiamo parlato molto in questi due anni in cui è andata modificandosi la sceneggiatura e, alla fine, mi ci sono abbandonata, come tutte le volte in cui recito. Certo, qui si trattava di un concedersi in maniera più profonda, ma mi sono fidata di Katja.”
Cosa ne pensi dell’incontro insolito tra la perdita di questa figlia da parte del tuo personaggio e la sua scoperta di un mondo che le era estraneo?
“È uno dei motivi che mi ha fatto accettare il progetto. Mettere in relazione due mondi che sono ancora dei tabù: morte e piacere. La mia curiosità, inoltre, ha retaggi nella mia formazione di donna femminista. Perché, comunque, qui ci troviamo di fronte a un film rivoluzionario, dove una donna impara come accendere questi suoi sensi.”
Tornando all’autoerotismo, come è stato per te girare quella scena, tu che sei di fronte alla camera da presa?
“Era una scena che aspettavo al varco. Anche di questa abbiamo parlato a lungo e alla fine Katja mi ha rassicurato. Il gioco di squadra è stato importante e devo dire che, a riprendere, era un uomo che ha avuto una cura e un’attenzione infinite. È bello quando dagli uomini esce questa sensibilità, quando riescono a entrare in contatto con questo mondo femminile. In ogni caso, ho affrontato il film e la scena come una temeraria, perché è così quando a un attore o a un’attrice vengono concessi ruoli del genere. Bisogna approfittare delle occasioni che ti permettono di farti vedere, di esplorare fino in fondo il personaggio, e che finiscono per arricchire anche te stesso.”
Ti sei soffermata molto sull’importanza che ha avuto confrontarti con Katja, quindi, come penseresti sarebbe stato se a girare ci fosse stato un regista uomo? Avresti avuto la stessa scioltezza anche in scene così intime?
“Non credo che un uomo mi avrebbe mai proposto un ruolo simile, prima di tutto. Poi lo sguardo di Katja è quello di una profonda femminilità, quella che serve, ma di cui solitamente se ne parla male. Perché esiste una differenza tra maschile e femminile, secondo il pensiero filosofico, lo stesso che afferma che il mondo è diviso in due metà ed ha bisogno di entrambe. Così è anche il cinema. Comunque, nella mia carriera, ho sempre rischiato, soprattutto a teatro, ed ho sempre trovato interessante il provocare il pubblico attraverso il sesso, perché si vanno smuovendo dei contenuti rimossi che è fondamentale comprendere per capire tanto noi stessi quanto le relazioni tra uomini e donne.”