Van Gogh e il Giappone: recensione del film di David Bickerstaff
Van Gogh e il Giappone, nuova proposta Nexo Digital, sarà in sala dal 16 al 18 settembre
Gli ultimi due anni sono stati un periodo molto fortunato per l’eredità lasciata da Vincent Van Gogh, a cui sono stati dedicati due lungometraggi destinati a fare colpo sulla platea mondiale: il coraggioso Loving Vincent, diretto da Dorota Kobiela e Hugh Welchman, e il poetico Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità di Julian Schnabel. Nasce spontaneo, quindi, farsi una domanda: è necessario un altro film sul rivoluzionario artista olandese? È davvero necessario Van Gogh e il Giappone?
La nuova stagione del progetto Grande Arte al Cinema, ideato da Nexo Digital, si apre con un documentario che, diretto da David Bickerstaff, sarà capace di affascinare il grande pubblico, anche gli amanti più devoti del pittore di Zundert: Van Gogh e il Giappone, infatti, non si limita solamente ad accompagnare lo spettatore in un affascinante viaggio in bilico tra il japonisme dell’artista, le bellezze della Provenza e quelle del Sol Levante, ma si prefigge anche il coraggioso obiettivo di indagare lo spirito dell’arte dell’Estremo Oriente.
Van Gogh e il Giappone: è davvero necessario un altro film sull’artista olandese?
Con la fine del periodo Edo, il Giappone si apre finalmente ad un Occidente curioso che, in un breve lasso di tempo, venne inondato da stampe e oggetti decorativi provenienti da quel luogo così lontano e così affascinante.
Era la fine del XIX secolo e Parigi, in particolare, divenne il centro pulsante di tale interesse: fu proprio nella metropoli francese che Vincent Van Gogh entrò in contatto con una sensibilità artistica che, ai suoi occhi inedita, sarebbe stata fondamentale per l’evoluzione della sua arte. Nonostante l’artista non avesse mai avuto l’occasione di visitare il paese che l’aveva così tanto stregato, Van Gogh lesse un’infinità di tomi sul Giappone, acquistando stampe colorate destinate a colmare ogni spazio libero della sua abitazione e studiando attentamente i dettagli che rendevano quelle illustrazioni così incantevoli.
Concepito in seguito alla mostra dedicata al cosiddetto japonisme e ospitata al Van Gogh Museum di Amsterdam lo scorso anno, Van Gogh e il Giappone offre una rapida panoramica sull’arte contemporanea del calligrafo Tomoko Kawao e dell’artista performatico Tatsumi Orimoto, oltre a raccontare quello che fu lo stretto rapporto che legava l’arte orientale e il pittore nordico attraverso le testimonianze degli artisti a lui contemporanei e le lettere dello stesso Van Gogh.
Certo, non si sta parlando di un documentario destinato a rivoluzionare i canoni del genere: con la sua struttura tradizionale, il lungometraggio di David Bickerstaff trova la sua caratteristica principale nella sobrietà formale attraverso cui vengono trasmessi ogni intervista, ogni immagine e ogni ragionamento. Nonostante ciò, nonostante la totale mancanza di novità stilistiche, il lungometraggio si rivela essere un’interessante introduzione all’ammirazione che Van Gogh nutriva nei confronti dell’arte giapponese. Un’arte che ha attratto il pittore grazie a quella che il regista David Bickerstaff ha definito come “ricerca di una potente semplicità”.
Il primo capitolo della nuova stagione di Grande Arte al Cinema, Van Gogh e il Giappone sarà proiettato nelle sale cinematografiche italiane solamente per tre giorni, dal 16 al 18 settembre.