Il piccolo yeti: recensione del film animato Dreamworks
Recensione de Il piccolo yeti diretto da Jill Culton e Todd Wilderman, piccolo gioiellino d'animazione dell'accoppiata Universal/Dreamworks che riporta in scena le dinamiche narrative e relazionali della saga di Dragon Trainer, con un tocco di magia in più.
Dai produttori di Dragon Trainer e il regista di Boog & Elliot a caccia di amici (2006), Il piccolo yeti (Abominable in v.o.) è una co-produzione Dreamworks Animation e Pearl Studio ma distribuito da Universal Pictures. Nel film d’animazione una magica avventura ad alta quota, passando dalle strade di Shanghai fino alle vette dell’Himalaya. La pellicola diretta da Jill Culton e Todd Wilderman (Trolls, I Croods), è prodotta da Suzanne Buirgy (Kung Fu Panda 2, Home – A casa), mentre tra i produttori esecutivi troviamo Tim Johnson (La gang del bosco, Home – A casa, Z la formica).
Il Piccolo Yeti (Abominable) – ecco l’Ultimate Trailer di FilmIsNow
Il piccolo yeti – che verrà rilasciato nelle sale da Universal Pictures il 3 ottobre 2019 – con protagonisti Chloe Bennet, Sarah Paulson, Albert Tsai, Tenzing Norgay Trainor e Eddie Izzard si candida come erede spirituale della saga di Dragon Trainer, in un’epica a metà tra fiaba terrena e magia.
La scelta di Chloe Bennet come protagonista – supportata dal contesto narrativo prettamente asiatico de Il piccolo yeti – fa intuire come la direzione che sta intraprendendo il cinema dei blockbuster sia sempre più quella dei mercati orientali.
Ambientare una pellicola d’animazione destinata al grande-grandissimo pubblico tra Cina e Nepal, infatti, non è una scelta del tutto casuale – piuttosto una scelta oculatamente strategica con cui la Dreamworks accede alle platee di pubblico cinesi direttamente dalla porta d’ingresso.
Sul sopracitato Tenzing Norgay Trainor, invece, c’è da sottolineare come – in maniera del tutto casuale sia il nipote del quasi omonimo Tenzing Norgay, il primo alpinista a raggiungere la vetta dell’Himalaya assieme a Sir Edmund Hillary nel 1953.
Il piccolo yeti: il magico cammino dell’eroe nella ricerca del proprio posto nel mondo
Ne Il piccolo yeti, ci viene presentata una narrazione dal ritmo incalzante che affonda le proprie radici nella mitologia millenaria della creatura fantastica dello yeti, rielaborandola però in chiave family friendly; portandola in scena attraverso un doppio arco narrativo sull’eterna dicotomia tra bene e male – tra la Burnish in cerca dello Yeti e il gruppo di protagonisti che tentano di riportare la creatura a casa.
La mitologia dello yeti viene così scarnificata e rielaborata, buttandolo da subito al centro del conflitto scenico tra l’ambiente urbano della Cina e quello incontaminato ed esotico del Nepal – permettendo a Yi (interpretata da Chloe Bennet) e ai suoi amici di intraprendere un viaggio dell’eroe volto non soltanto a restituire lo yeti al proprio habitat, ma anche nella ricerca del proprio posto nel mondo. Una narrazione caratterizzata principalmente da punti di svolta – magari improbabili – ma magici e coerenti al tono della pellicola, condizionate principalmente dai poteri dello yeti, necessarie quindi non solo per arricchire l’elemento fantastico della pellicola, ma anche per dare ulteriore spessore – e maggior caratterizzazione scenica – al personaggio stesso dello yeti.
Il piccolo Yeti: ecco il final poster del film d’animazione
Sino agli eventi in chiusura del secondo atto, dove la divisione interna dei protagonisti permette anche il dipanarsi di un arco narrativo supplementare volto a far evolvere il personaggio di Jin (interpretato da Tenzing Norgay Trainor). Se infatti in apertura di pellicola Jin è poco più di una funzione, essenziale in termini narrativi per arricchire – di riflesso – il personaggio di Yi, le sue intenzioni, e i valori che segue; a partire dagli eventi del terzo atto, Jin subisce un’evoluzione, volta a delineare un mini-viaggio dell’eroe in cui il personaggio acquisisce consapevolezza, ragion d’essere, divenendo un uomo a tutti gli effetti, meno legato al materiale e alle apparenze.
E non solo, perché l’evoluzione di Jin, negli eventi che ne conseguono, permette anche di delineare maggiormente la strutturazione degli antagonisti, mettendo ordine nelle gerarchie narrative, e nelle intenzioni della Burnish Industries.
Il piccolo yeti come Dragon Trainer: un’amicizia fuori dal comune
La pellicola rievoca in parte le dinamiche relazionali già viste nella saga di Dragon Trainer (2010-2019) e Trollhunters (2017-2018) de I racconti d’Arcadia di Guillermo Del Toro – quella di un’amicizia fuori dagli schemi tra un adolescente comune e un animale leggendario – che se in Dragon Trainer era un drago unico nel suo genere, e in Trollhunters un intero mondo popolato da troll – qui è il “piccolo yeti” che dà il titolo italiano alla pellicola. Lo yeti infatti rievoca e non poco Sdentato di Dragon Trainer tra la zampa incidentata del primo, e la coda danneggiata del secondo. Di Trollhunters c’è invece l’elemento magico, con lo yeti capace di prodigi unici attraverso il suo canto.
Il parallelismo diventa ancora più forte, specie con Dragon Trainer 2, tra la Yi della Bennet e l’Hiccup di Baruchel – specie nel porre in scena il conflitto interno del personaggio protagonista, dovuto all’assenza (forzata) di una figura genitoriale di riferimento che si concretizza nel bisogno di crescere alla svelta e diventare “subito grandi”.
Il Piccolo Yeti: ecco il video dell’anteprima Chloe Bennet
Se Hiccup però si riconosceva nel proprio nucleo familiare, volendo crescere per prendere le redini del comando della comunità, per Yi il discorso è radicalmente diverso. In Yi c’è infatti il non riconoscersi più nella propria famiglia dopo la morte del padre – generante un progressivo distacco dai membri del nucleo familiare per intraprendere un viaggio in Nepal come avrebbe voluto lo stesso padre – per cercare il proprio posto nel mondo.
Un’azione che, ne Il piccolo yeti, si traduce nell’incapacità di suonare il violino – dono del padre – di fronte ad altri. Lo strumento musicale è da considerarsi come simulacro di un tempo che fu, e le sue peripezie sceniche rappresentano – per Yi – ricostruzione, rinascita e accettazione della propria famiglia e di sé stessa.
Il piccolo yeti, sul solco di Dragon Trainer e Trollhunters, per continuare a emozionare
Tra sequenze suggestive, una naturale empatia verso la disparata voglia di libertà dello yeti, e uno degli usi cinematografici più riusciti di sempre de Fix You dei Coldplay – Il piccolo yeti ha tutte le carte in regola per diventare l’ennesimo successo dell’accoppiata Dreamworks & Universal un nuovo franchise (cinematografico e non) sulla scia di Dragon Trainer, Trollhunters – ed economicamente parlando Cattivissimo Me (2010-2017) – che pone l’accento sui valori familiari e sulla ricerca del proprio posto nel mondo, per un prodotto d’intrattenimento in grado d’entrare da subito, nell’immaginario collettivo.