Recensione da letto: Steve Jobs
LUI: Steve Jobs, film in tre atti che scorre liscio come l’olio
LEI: Spettatrice e fan di Aaron Sorkin decisamente compiaciuta
– Dai, sono contenta…
– Nel senso che ti sono piaciuto?
– Beh, sì, mi sei piaciuto. Ma non parlavo di questo. Stavo pensando agli Apple-maniaci, quelli che idolatrano Steve Jobs. Fino a che non sei arrivato tu, hanno dovuto accontentarsi di quella ciofeca con Ashton Kutcher.
– Per carità, non farmici pensare…
– Se non altro, Michael Fassbender non doveva temere confronti.
– Oh, sul mio cast non c’è niente da dire. Fassbender si è confermato una volta di più un attore in grado di fare qualsiasi cosa. Oltre a me, nel 2015 lo abbiamo visto in X-Men – Giorni di un futuro passato ed in Macbeth. A breve sarà in Assassin’s Creed e nel prossimo film di Terrence Malick. Passa senza problemi dal cinecomic al film d’autore.
– A me è piaciuto un sacco in Shame…
– Sei una svergognata.
– Lo so. Comunque, anche per lui interpretare Steve Jobs non deve essere stato una passeggiata. È un personaggio che veniva mitizzato già quand’era vivo, sul quale si è detto tutto e il contrario di tutto. Bastava poco per scivolare nel cliché del genio anaffettivo.
– Tipo Jesse Eisenberg…
– Ecco. Invece il tuo Steve Jobs è un uomo con un ego ciclopico e dei complessi non da meno, non tanto anaffettivo quanto incapace di distogliere l’attenzione dal suo obiettivo, e con una fede adamantina nella proprie idee. O come dice ad un certo punto Steve Wozniak/Seth Rogen, un uomo incapace di “essere geniale e decente allo stesso tempo”.
– Ma non dimenticarti di Kate Winslet nella parte di Joanna Hoffman, la direttrice del marketing che per anni ha lavorato a stretto contatto con un Jobs. Anche Mrs. Winslet è un’attrice che dovunque la metti fa una gran figura e con te riesce a comunicare fin dalla prima scena tutto lo stress, l’ansia ed in generale il peso sull’anima che comporta lavorare tutti i giorni con un egomaniaco. E non per niente si sono presi entrambi la nomination agli Academy.
– C’è da dire che un plauso va anche al tuo regista, Danny Boyle. Perchè tu funzionassi ha lasciato spazio alla sceneggiatura e agli attori, mantenendo una regia il più possibile sobria.
– Stima e rispetto. Ma diamo a Cesare quel che è di Cesare: non è per Danny Boyle che sei venuta da me…
– Allora diamo ad Aaron Sorkin quel che è di Aaron Sorkin, uno dei pochi sceneggiatori il cui nome da solo porta la gente al cinema. Con The Social Network ha centrato il bersaglio: una narrazione spezzata ma ordinata ed un ritmo praticamente perfetto.
Con te, ha avuto le palle di provare un approccio diverso. Racconti il personaggio di Steve Jobs attraverso tre lunghe scene, ambientate pochi minuti prima di tre delle sue celebri presentazioni. Esplori il rapporto con la figlia Lisa e con i collaboratori, la sua storia con le compagnie che ha fondato e a tratti riesci a farci sbirciare dal buco della serratura di uno dei cervelli che, nel bene e nel male, ha contribuito alla creazione della nostra società.
– Scommetto che però il finale non ti è piaciuto troppo…
– Ma no, il finale ci sta, anche la strizzatina d’occhio all’iPod. Sei un biopic raffinato, intelligente e magistralmente interpretato. Ti puoi permettere di essere un po’ romanzato.
– Allora possiamo rivederci? Conosco un ristorante qua vicino…
– Niente ristorante. Pizza, birra e la prima stagione di The Newsroom. E quando mi stanco ti salto addosso.
– Perfetto.