Peter Gomez parla di 1994 – La Serie: la nostra intervista al direttore del Fatto Quotidiano
In occasione dell'uscita di 1994 su Sky Atlantic abbiamo parlato dei temi trattati nella serie con Peter Gomez, il direttore de ilFattoQuotidiano.it
Dopo le prime due stagioni di successo, arriva su Sky la nuova serie tv 1994, dove Stefano Accorsi e Miriam Leone interpretano un pubblicitario e una soubrette nella loro ascesa sociale tra lo scandalo Mani Pulite e l’ingresso in politica di Silvio Berlusconi. Abbiamo colto la palla al balzo per parlare di quegli anni con Peter Gomez, co-fondatore del Fatto Quotidiano e direttore della versione online ilFattoQuotidiano.it. Dalla conversazione con il giornalista è venuto fuori un confronto tra fiction e realtà dove ha sottolineato l’evoluzione dei linguaggi e alcune caratteristiche della natura umana. E si è parlato ovviamente del successo politico di Berlusconi rispetto al periodo di Tangentopoli e di ciò che ha lasciato in eredità alla nuova classe dirigente.
Ha un incedere vulcanico nello snocciolare concetti come lo si vede in tv, Gomez, dove durante questi giorni va in onda sul Nove il suo Enjoy, un programma di approfondimento dalla forma documentaristica. Nel corso della nostra conversazione sulla nuova stagione di 1994, tra ragionamenti su evoluzioni ed involuzioni culturali, più le rivelazioni sui suoi gusti in tema di serie tv, con humor di uno che la sa lunga si è anche sciolto in una grande risata citando una frase recente giusto dell’ex-presidente del Milan sull’ultimo governo con la Lega.
Peter Gomez: “Dalla serie TV 1994 al mio Enjoy, la politica di oggi e di ieri”
1994 chiude una trilogia che romanza il sottobosco e i piani alti di Tangentopoli. Come ricordi quegli anni?
“Quelli sono gli anni in cui le inchieste di Mani Pulite iniziano a morire. Da una parte perché Berlusconi diventerà Presidente del Consiglio, dall’altra perché i cittadini che prima tifavano per i magistrati, in quanto l’inchiesta colpiva soprattutto gli altri, iniziarono a vedere che con l’esplosione dell’inchiesta sulla Guardia di Finanza si scendeva anche ai piani bassi. Venivano sempre più spesso inquisiti commercialisti, commercianti, persone comuni. Terzo motivo per cui l’inchiesta va a morire è il fatto che più o meno tutti gli editori dei giornali erano coinvolti in indagini. Alcuni arrestati, altri sotto processo, altri indagati, e nessuno di loro, controllando i media, impedì che questa storia finisse. Quindi l’inizio della morte dell’inchiesta e il grande scontro con Berlusconi avevano l’obiettivo di contrastare Di Pietro”.
Leggi qui la nostra recensione in anteprima di 1994
Oggi le serie tv hanno scatenato questa nuova fruizione un po’ bulimica chiamata bingewatching. Qual è il tuo rapporto con questo format d’intrattenimento?
“Qualcosa guardo, ma generalmente mi capita di più su Netflix o Amazon. Sono però più tendenzialmente da film. True Detective invece l’ho vista tutta, mi ha affascinato. Ma data la mia fruizione della televisione particolare non la guardo tantissimo, giusto la sera qualche volta, guardo molta informazione. È difficile che vada dietro una serie perdendoci la testa. Con Mozart in the Jungle, per esempio, ho visto la prima stagione ma non sono andato avanti”.
Giustizia e corruzione. Come cambiano dalla realtà alla fiction?
“Per quello che ho visto su Mani Pulite, la rappresentazione di quello che accade in 1992 e 1993 è abbastanza fedele. C’è stato un grande lavoro da parte degli autori nel ricostruire quello che è accaduto in questi anni. Soprattutto si dà il senso del clima. In questo paese 25 anni fa tutte le imprese, o quasi, pagavano tangenti, e quasi tutti i partiti le prendevano. È una questione molto chiara che secondo me emerge, ma nel corso degli anni si è tentato di riscrivere. Si è tentato cioè non di raccontare che questo avveniva in qualche modo per il bene della democrazia o perché i governanti erano particolarmente migliori di quelli di adesso. Questo è molto utile perché si capisce che questa cosa non è vera”.
In 1994 avrà molto spazio il personaggio di Silvio Berlusconi. Curioso che l’uscita della nuova stagione corrisponda a un nuovo periodo d’indagini reali su di lui.
“A me non sorprende. Riprendo una battuta di Luttazzi. Per Berlusconi, visto come sono andate la sua carriera e la sua storia, il codice penale sembra davvero essere stato più che altro un catalogo di opzioni. E lo dico seriamente perché al di là dell’unica condanna che ha ricevuto e delle ultime, molte prescrizioni, non bisogna mai dimenticare che il suo braccio destro, Marcello Dell’Utri, è stato condannato per fatti di mafia e molti altri reati, e che il suo braccio sinistro, Cesare Previti, è stato condannato per corruzione giudiziaria. Nel Codice Penale, a parte i delitti di sangue per i quali ora si sta indagando, non ci sono reati più gravi di cui si possa macchiare un colletto bianco. Quindi, francamente, a parte le indagini che si chiuderanno presumibilmente con l’esito dell’archiviazione, perché è la terza volta che Berlusconi e Dell’Utri finiscono sotto inchiesta per stragi di mafia, non ci si deve sorprendere che questo accada perché molti si dimenticano di questo particolare noto agli studenti di giurisprudenza al primo anno. Le indagini non si aprono se ci sono prove, ma se ci sono notizie di reato. Esempio: qualcuno dice che tu spacci droga, e si apre un’indagine. Ma per condannarti tu devi spacciare davvero la droga, o ci devono essere delle prove. Quindi le indagini sono obbligatorie. E qua ci sono degli elementi su cui pensare perché dopo i pentiti ci sono stati mafiosi non pentiti che hanno detto delle cose precise in carcere che nessun magistrato si poteva mangiare o non mangiare. Fermo restando che sono dei reati gravissimi, nessuno sa se Berlusconi sia colpevole o innocente. Ma per celebrare questi processi servono caterve di prove. Altrimenti non ci sarà nessun processo. A 25 anni di distanza, gli unici che possono dirci veramente com’è andata questa cosa sono ancora in carcere e non parlano. Si chiamano fratelli Graviano”.
Il suo è stato un nuovo modo di comunicare nella politica. Secondo te di quali elementi del berlusconismo si sono appropriate le nuove classi dirigenti dei partiti italiani?
“Berlusconi, bisogna dirlo, dal punto di vista della comunicazione è inarrivabile. Per tre motivi: uno, perché possedeva una serie di media con cui poteva comunicare, due perché aveva fatto delle cose nella sua vita. Al di là del giudizio etico che si può dare, era un signore che ha creato una televisione e un impero economico dal nulla, ha vinto una Champions League. Terza cosa, Berlusconi è una persona estremamente simpatica ed empatica rispetto al suo pubblico. E poi ha capito una cosa che riguarda sia gli elettori che il pubblico televisivo, come diceva lui alle convention di Publitalia. Il pubblico televisivo, non me ne voglia chi ci legge, ma mi ci metto anch’io, in media, diceva lui, è come un bambino di 12 anni che non siede nemmeno al primo banco. Vuol dire che i messaggi devono essere molto semplici, molto diretti. E Berlusconi ne è sempre stato in grado. Poi molti ci hanno provato, ovviamente. Uno pensa a Renzi, grande capacità comunicativa, ma non ha fatto un millesimo di quello che ha fatto Berlusconi. Intendo il Berlusconi dei tempi d’oro, non quello della vecchiaia con tutta la crepuscolarità della comunicazione, e anche il difetto di dire la verità più spesso di quanto non lo facesse prima. Pensa solo a cosa è successo recentemente quando ha detto: ‘Senza di noi la Lega e i fascisti non sarebbero mai andati al governo’”.
Quanto informa una serie tv, o quanto stimola a informarsi?
“Secondo me informa più una serie tv come questa perché ha degli agganci storici precisi. Non so quanto stimoli ad informarsi da questo punto di vista. Dopo sarà interessante andare a vedere che ascolti avrà 1994. Quante saranno le persone con i capelli grigi e quanti i millenials. Per i primi si tratta di una rievocazione dell’epoca, per i giovani una novità. Ma quanti saranno? Non lo so ancora”.
Sempre parlando di format, il tuo nuovo programma in onda sul Nove si chiama Enjoy. I macrotemi trattati sono sesso, lusso e droga. Secondo te si pongono all’apice o al capolinea della società di consumo?
“Io sono meno pessimista. So che tutti pensiamo sempre di vivere in una società dove succedono cose terribili e decadenti. Però facendo questi documentari ho capito che gli uomini e le donne si drogano dalla notte dei tempi. Ci sono elenchi addirittura di papi che assumevano oppio. Se non sbaglio anche Alessandro Magno fumava oppio. Sulla pornografia invece, stando all’etimologia greca significa scrivere o disegnare di prostitute. La storia è ricchissima di esempi. Poi fin dall’antica Grecia si pensò di emanare leggi per cercare di limitare il lusso. Credo siano fenomeni strettamente legati alla natura umana. Pensiamo che oggi sia peggio ma sono cambiati i mezzi di comunicazione, è cambiato tutto. Fare un po’ di ricerche rispetto al passato mi ha dimostrato che nel corso di migliaia di anni, in fondo, non siamo cambiati. Siamo alti e bassi allo stesso modo. A me nel giornalismo piace affrontare l’alto e il basso, perché questa è la nostra vita”.
Pensa che tra 25 anni vedremo una serie su Grillo e i 5 Stelle?
“È probabile. A un certo punto fenomeni che in qualche modo hanno segnato la nostra cronaca diventano anche serie tv. Magari nelle prossime elezioni scompaiono, ma se accadesse sarebbe un motivo ancora migliore per farne una serie televisiva. Oppure non scompaiono e come sono state fatte fiction sui capostipiti dei partiti che hanno caratterizzato la storia italiana, è possibile che si produca qualcosa anche sui 5S. C’è un’unica difficoltà, con l’avvento di nuove tecnologie come gli smartphone si produce un materiale documentale infinito. Questo potrebbe rendere alcune cose più complicate. Il confronto tra ciò che è stato documentato come reale e ciò che si può romanzare in una serie televisiva può sempre far storcere il naso a qualcuno. Le fonti della ricerca mutano. La disperata ricerca di fonti scritte, o il tramandarsele oralmente quando tutto ormai è al di là dello scritto ma semplicemente filmato e non intermediato, ci renderà ancora più investigativi. È un tema a cui penso spesso, ma chissà se ho le risposte giuste”.