RomaFF14 – Willow: recensione del film di Milcho Manchevski

Recensione de Willow di Milcho Manchevski, una narrazione fiabesca sospesa nel tempo di una realtà che si fa sogno, sul bisogno ontologico di tre donne di un figlio nato dall'Amore

Che il ruolo della donna sia uno dei leitmoviv di questa Festa del Cinema di Roma 2019, lo si evince anche da certe pellicole selezionate, a partire da Le ragazze di Wall Street (2019) sino alla “stella” della pre-apertura Roam Rome Mein (2019) sino a Military Wives (2019) e The Aeronauts (2019). Tra queste emerge prepotentemente un grande racconto cinematografico macedone, quel Willow (2019) diretto da Milcho Manchevski con protagoniste Sara Klimoska, Natalija Teodosieva e Kamka Tocinovski, che porta in scena l’epopea drammatica di tre donne macedoni e il loro desiderio di amore familiare.

Willow, racconta infatti di tre insolite eroine per tre storie, ambientate in epoche diverse. In Macedonia, una donna anziana si offre di aiutare una coppia che non riesce a concepire, a patto che le lascino tenere il primogenito. Rodna (Natalija Teodosieva) e il marito non possono avere figli, finché non provano la fecondazione in vitro, ma si trovano davanti a una scelta difficile. La sorella di Rodna – Katerina (Kamka Tocinovski) – ha adottato un bambino di cinque anni. È molto intelligente, ma non dice una parola. E un giorno, improvvisamente sparisce.

Elemento di congiunzione tra le due epoche, il salice che dà titolo alla pellicola (Willow per l’appunto) che piange, si piega, ma non si spezza.

Willow: una narrazione fiabesca oltre i confini del tempo

Willow cinematographe.it

L’opera di Manchevski è molto più complessa di quanto non si possa immaginare, a partire dal sopracitato ruolo scenico del salice. Una narrazione che per via della sua natura insolita nello sviluppo e nelle tematiche, risulta fortemente carica di significato e di un sottotesto religioso/mistico che conferisce a Willow un sapore di pellicola d’altri tempi a metà tra Bergman e Tarr, una dolorosa fiaba a metà tra passato e presente.

Per una regia che si fa intima e meticolosa, ora nel mostrarci – nell’incipit – l’ambiente narrativo dei pastori macedoni, ora nell’ambiente urbano; in una narrazione mitologica tra il fiabesco e il crudo realismo, con l’Amore come unica soluzione a maledizioni ancestrali.

Festa del Cinema di Roma 2019: il programma della 14esima edizione

A livello strutturale, Willow è di fortissimo impatto, in un impianto narrativo che tra Medioevo e modernità incede nel delineare un intreccio solido che, specie “ai giorni nostri” permette di delineare gli archi narrativi dei discendenti dei protagonisti del prologo, di donne forti e coraggiose, spinte dal bisogno ontologico di un figlio nato dall’Amore, sia esso concepito o adottato. Una narrazione che – nel suo essere esoterica e al contempo contemporanea – supera i confini del tempo mediante transizioni opportunamente non specificate da Manchevski, dando così una sensazione di sospensione temporale di realtà che si fa sogno.

In tal senso, sono degne di note le performance delle donne di Willow, specie di Natalija Teodosieva che spicca nei panni di Rodna, una donna che crede nelle sue azioni, disposta a tutto – anche a scelta profondamente difficili e dolorose – pur di far quadrare le cose.

Willow: tra racconto storico e dramma romantico

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Un racconto profondamente rispettoso della vita e di chi ne fa parte, di donne forti e uomini fragili che dinanzi alle avversità fanno crollare le certezze. Il salice di Manchevski si piega, piange, ma sa di non spezzarsi quando c’è un legame che nasce da un bisogno ontologico.

Willow, forte della sua natura di dramma a metà tra la ricostruzione storica e il puro romanticismo con tutti i cliché del genere ben declinati, è una di quelle opere incapaci di passare inosservate, andando ben oltre l’ambiente festivaliero e confermandosi come una delle pellicole più interessanti della Festa del Cinema di Roma, e del 2019.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 4

3.5