RomaFF14 – Waves: recensione del film di Trey Edward Shults

La recensione di Waves, film del regista Trey Edward Shults, che racconta il dramma di una famiglia che si sgretola pezzo per pezzo.

La storia del cinema è stata capace più e più volte di mostrarci pellicole volte a occuparsi di tematiche spinose come la violenza sulle donne. Con Waves (2019) diretto da Trey Edward Shults con protagonisti Sterling K. Brown, Kelvin Harrison Jr e Taylor Russell va ben oltre, mostrandoci infatti anche i devastanti effetti su una famiglia apparentemente perfetta destinata a crollare pezzo dopo pezzo.

Waves – il trailer del film drammatico con Sterling K. Brown

Nel farlo però, Shults delinea una tipologia di racconto fortemente originale dal punto di vista stilistico – meno da quello narrativo – per una progressiva discesa negli abissi volta a mostrarci la condizione degli afroamericani nella società d’oggi, dove non possono permettersi d’essere mediocri, lavorando 10 volte in più dei bianchi per ottenere il proprio posto nel mondo.

Waves racconta di Tyler, giovane afroamericano che sembra avere tutto ciò di cui ha bisogno: una famiglia benestante che lo sostiene, una sorella molto legata a lui, un posto nella squadra di wrestling del liceo e una fidanzata di cui è perdutamente innamorato. Ma la sua vita apparentemente perfetta viene sconvolta da una tragedia. Dopodiché spetta a Emily, la sorella minore di Tyler, far uscire sé stessa e la sua famiglia dall’ombra del dolore.

Waves: un racconto con poca sostanza ma grande cura artistica

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Regia fluida e dinamica – quella di Waves – che si fa forte di un montaggio che conferisce alla pellicola un ritmo teso che risulta evidente dalla sequenza di apertura. In pochi minuti infatti il racconto di Shults delinea l’ambiente narrativo di Waves e della vita d’atleta praticamente perfetta di Tyler tramite soggettive, semisoggettive e piani medi, carrellate con cui valorizzare il movimento anche in ambienti chiusi. Permettendoci soprattutto di delineare in poche linee guida le relazioni dei personaggi, in una famiglia apparentemente perfetta che fin dai primi indizi risulta dilaniata da un rapporto passivo-aggressivo tra padre e figlio.

Una relazione, infatti, che oltre a rappresentare il cuore della narrazione di Waves – specie nei primi due atti – tra amore, odio, competizione di un padre che cerca di porre la cosa sul piano fisico, e la relativa evoluzione del rapporto – si concentra principalmente sulla competizione sportiva e sull’insegnamento del senso del rispetto, del sacrificio e del lavoro individuale volto al miglioramento.

Waves delinea infatti, sino al secondo atto, una struttura che si posiziona su un arco narrativo principale, quello di Tyler, dall’andamento graduale che incede nel creare un racconto dove famiglia, amici e fidanzata non sono che funzioni narrative volte all’evoluzione del personaggio e della sua incapacità di affrontare determinati imprevisti. Un intreccio solido, certamente non del tutto originale, ma semplice, un perfetto spaccato di vita agiata e perfetta che casca giù colpo su colpo a partire dal primo turning point.

E lo fa con un innalzamento della posta in gioco del conflitto in modo esponenziale, in una discesa negli abissi dell’inferno repentina tra violenza e orrore – sulla falsariga di Joker (2019) per intenderci – per un’evoluzione del protagonista netta e non del tutto ben calibrata. Un disequilibrio, specie nei primi due atti del racconto, che ci dimostra la debolezza del cosiddetto “sesso forte” dinanzi a certe difficoltà, nell’incapacità di affrontarle in modo consono.
Con il terzo atto del racconto però, Waves cambia completamente il proprio punto di vista, mostrandoci le conseguenze della azioni di Tyler e di come Emily e i suoi genitori andranno avanti dinanzi all’orrore della tragedia.

È a questo punto del racconto infatti, che Waves abbassa il ritmo, diventa ancora più introspettivo, e concentra tutto su Emily e i suoi sforzi per crescere e dimenticare, cercando di ricostruirsi una vita e di superare il trauma, dispensando bontà nel suo piccolo.

Waves: un racconto dalla doppia anima non del tutto convincente

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Waves si può definire come un racconto dalla doppia anima, dove se tra primo e secondo atto risulta evidente la sua accezione di racconto d’amore familiare/virile tra pregiudizi razziali e sull’impotenza dinanzi al dolore fisico e di come questo possa cambiare i piani di una vita perfetta, nel terzo atto cambia completamente pelle, diventando piuttosto un racconto di “risalite” e sulla capacità di sapersi perdonare anche nei momenti più critici.

Waves è una pellicola che non spicca certamente per originalità di soggetto, ma che riesce tuttavia a stupire grazie a una modalità di racconto dal linguaggio moderno e da una messa in scena affascinante e stilisticamente ineccepibile, su come un imprevisto apparentemente banale possa avere ripercussioni incredibili.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 5
Recitazione - 3.5
Sonoro - 5
Emozione - 4

4