RomaFF14 – Drowning: recensione del film di Melora Walters
Melora Walters riesce, in parte, a replicare in senso di struggimento, di auto-deterioramento che consuma il corpo e la mente di una madre alla sola idea di non sapere se rivedrà mai il figlio.
Presentato in concorso alla 14ma edizione della Festa del Cinema di Roma, Drowning è un film diretto e interpretato da Melora Walters, con Gil Bellows, Mira Sorvino, Jay Mohr, Steven Swadling, Sergio Rizzuto, Joanna Going, Christopher Backus, Jim O’ Heir e Sarah Butler.
Al centro della vita di Rose (Melora Walters) c’è l’assenza dei suoi due figli, distanti da lei in ogni accezione possibile. I giorni della sua esistenza sembrano scanditi solo da un enorme dolore, alimentato da tormenti incomprensibili e inestinguibili. Ad acuire questa sofferenza giunge presto un evento che peggiora la situazione: suo figlio Henry (Sergio Rizzuto) si arruola nell’esercito per combattere la guerra in Iraq. A nulla servono le suppliche di Rose, che lo prega e intima di restare a casa, e successivamente Henry viene inviato a Mosul per la battaglia vera e propria. L’equilibrio psicofisico di Rose è sempre più precario, tra incubi notturni, paure da sconfiggere e il rapporto, in caduta libera, con suo marito.
Drowning racconta il dolore e la solitudine di una madre
Quando si sceglie di affrontare l’ardua tematica della malattia mentale, intesa come struggimento fisico e psicologico, il rischio di rimanere sull’epidermide della materia che si vuole trattare è dietro l’angolo. Sono pochi gli autori che si sono dimostrati in grado di esplorare i territori della depressione e del dolore; in più, quelli che ci sono riusciti nel modo migliore hanno dovuto scontare sulla propria pelle non soltanto lo stesso tipo di tormento ma anche il correlato percorso di guarigione, per poter raccontare terribili angosce con la lucidità e il distanziamento necessari ai fini della costruzione di un racconto solido.
Una tristezza che vede e percepisce solo se stessa
Melora Walters ha dalla sua il punto di vista femminile, di certo necessario per la buona riuscita di una storia che ha come nucleo la psicologia di una madre che affronta l’allontanamento dei propri figli contro il suo volere. Si dice che nessun altro, al di fuori di una madre, possa comprendere cosa significhi l’accettazione della discordanza fra il suo desiderio e quello di suo figlio, che lo trascina verso altre mete, lontano da lei. Ed è vero; ragione per cui l’autrice e regista (oltre che attrice) riesce, in parte, a replicare in senso di struggimento, di auto-deterioramento che consuma il suo corpo e la sua mente nell’attesa di una risposta a quella domanda che costituisce il cardine dei suoi giorni (“rivedrò mio figlio?”). Ogni elemento è secondario a questo, ogni altro rapporto diventa subordinato a questo, e la relazione con suo marito crepita sotto la pressione di una tristezza che vede e percepisce solo se stessa. Il paradosso, però, è che fare funzionare la narrazione di sensazioni così viscerali è fondamentale osservarle da un punto di vista non perfettamente combaciante con quello della protagonista, cercare un punto di avvicinamento per capire quello stato d’animo senza farlo proprio ed esserne sommersi.
Drowning è un racconto piuttosto confuso, non sempre equilibrato
Walters ha la sensibilità giusta (la metafora dell’annegamento, che dà il titolo al film, è una traduzione semplice, eppure azzeccata e lacerante, della depressione), ma il racconto che costruisce non sempre risulta chiaro ed equilibrato. Drowning è ricco di spunti interessanti, ma allo stesso modo di sequenze non ben amalgamate al registro prevalente (quello drammatico) e di personaggi di poco spessore che vengono introdotti con fine quasi riempitivo, senza davvero costituire un punto d’interesse per la continuità narrativa. L’insieme ha l’aspetto di un’opera ambiziosa ma superficiale, costellata di momenti che tendono a reiterarsi senza aggiungere profondità e caratterizzata da una regia piuttosto fredda e distaccata.