RomaFF14 – Don’t Forget to Breathe: recensione
Don't Forget to Breathe, in concorso nell'evento Alice nella Città della Festa del Cinema di Roma, è un film di Martin Turk che esplora il mondo di un adolescente alle prese con le prime separazioni.
Don’t Forget to Breathe (Ne Pozabi Dihati) è un film diretto da Martin Turk, presentato in occasione della quattordicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, in concorso nella sezione parallela e autonoma Alice nella Città.
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Il film di Turk tratta le vicende di un gruppo di ragazzi adolescenti alle prese con le prime scoperte amorose e le prime infatuazioni nell’estate che invade una piccola località nella campagna slovena. Il giovane Klemen (Matija Valant) vive con la madre single e il fratello maggiore Peter (Tine Ugrin) in una casa di campagna. Le sue giornate sono scandite dalle lezioni di guida con il suo istruttore e l’allenamento in vista di alcune partite di tennis. Un giorno, Klemen trova in un parcheggio le chiavi di una macchina e si mette alla guida della stessa, in stato di ebbrezza. La bravata gli costa la serenità dei rapporti famigliari: in seguito a un incidente, infatti, Klemen si ritrova a dover fronteggiare le ostilità non solo della madre, che adesso stenta a rivolgergli la parola, ma anche del fratello Peter, il quale inizia a frequentare la bella Sonja (Klara Kuk), suscitando in Klemen sensazioni a metà fra la gelosia, l’antipatia e la seduzione.
Don’t Forget to Breathe: il mondo degli adolescenti
Non si può non riconoscere immediatamente l’ispirazione principale che risiede alla base di Don’t Forget to Breathe, ossia tutta quella serie di classici con al proprio centro il mondo di adolescenti, dalla sessualità ancora acerba o dalla maturità precoce (se si guarda soprattutto all’universo dei personaggi femminili), che ha già ispirato diversi film analoghi alle grandi produzioni americane degli anni Ottanta, per intenti se non per stile. Anche solo in territorio di cinema italiano si ricordano le opere di Luca Guadagnino, che con il suo Call Me By Your Name ha confidato alle emozioni e ai pensieri di un adolescente (interpretato da Timothée Chalamet) un torrente di sensazioni sconvolgenti relative ai suoi sentimenti, alla rivelazione del suo stesso corpo che sta appena cominciando a schiudersi dinanzi a lui grazie al disvelamento dei corpi altrui, che lo attraggono o respingono.
Nel film di Turk si assiste al medesimo tipo di operazione: il quindicenne al centro delle vicende, Klemen, è osservato a partire da azioni che sono dettate da tendenze e comportamenti in cui i gesti degli altri hanno fondamentale importanza. Teme, anzitutto, che l’arrivo repentino di una ragazza avvenente possa determinare l’allontanamento definitivo di un fratello che ha sempre sostituito un padre assente e lontano. Inoltre, come se questo non bastasse, c’è di mezzo anche la sua decisione di partire per la Germania insieme alla giovane, ed è sotto pressione anche la relazione con la madre, ora attratta da un poliziotto che sembra desiderarne le attenzioni. Klemen sta sperimentando le prime separazioni vivendo, ancora una volta, un abbandono già subito in tenera età, e il suo mondo per come lo conosceva è ora in crisi.
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Nonostante risulti sempre interessante e stimolante la rappresentazione del microcosmo di giovani alle prese con novità ed eventi che non possono controllare (solo i primi di una lunga serie, con cui impareranno a scendere a patti lungo il percorso della loro esistenza), Don’t Forget to Breathe si perde in una storia senza mordente, e non sempre riesce a ravvivare un racconto piuttosto spento e poco originale con episodi degni di essere narrati o in grado di lasciare il segno, non riuscendo nell’intento di rammentare allo spettatore una verità che anni addietro può aver conosciuto.