TSFF 2019 – Iron Sky: The Coming Race: recensione
Qual è la vera essenza di questo Iron Sky: The Coming Race? Un B-movie che non si vuole prendere sul serio e che ci spinge a usare spudoratamente la fantasia: al diavolo le istruzioni!
Sicuramente il film che più ha divertito fino ad adesso in questo Trieste Science + Fiction Festival 2019, ed era anche quello più atteso, dal quale ci si aspettava di più da parte di un pubblico che ama la fantasia, la sperimentazione e soprattutto divertirsi con qualcosa che sia diverso dai blockbuster noiosi e stantii che Hollywood offre oggi.
E Iron Sky: The Coming Race ha soddisfatto appieno ogni aspettativa, è stato accolto in modo assolutamente entusiasta dal pubblico, che ha ritrovato le stesse atmosfere pop, sperimentali, ironiche e dissacranti del primo Iron Sky, uno dei b-movies più spiazzanti e originali degli ultimi anni.
Questo secondo episodio (sempre diretto da Timo Vuorensola e sceneggiato da Dalan Musson) riparte dal finale del primo film, quando i nazisti lunari avevano scatenato il loro attacco dalla base segreta sulla Luna, rendendo la Terra un inferno nucleare e costringendo gli ultimi sopravvissuti a trovare rifugio nell’ex base lunare nazista.
La colonia è guidata dalla saggia Renate Ritcher (Julia Dietze) ma è la figlia Obi (Lara Rossi) che si fa in quattro per evitare che la fatiscente struttura ed i suoi abitanti disastrati non scompaiano.
Nella base sono nate sette, caste e una nuova strana religione: il jobsismo, capitanata da Donald (Tom Green), alla base del cui credo vi è…beh il defunto Steve Jobs.
Obi ha solo il colossale Malcolm (Kit Dale) come amico, fino a quando una sgangherata nav di profughi russi capitanata dal fanfarone Sasha (Vladimir Burkalov) non approda nella cittadella.
Tra i profughi, si nasconde però anche l’ex nazista Wolfgang Kortzfleisch (Udo Kier) che rivela ad Obi che all’interno del nucleo terrestre si nasconde un segreto in grado di salvare la sua gente ed il futuro dell’umanità. Ma sarà davvero così?
Iron Sky: The Coming Race – questo Iron Sky 2 non si prende sul serio e si fa gioco di complottismi e altre teorie
Iron Sky: The Coming Race è in tutto e per tutto un gigantesco minestrone che non si prende minimamente sul serio e si fa gioco di gran parte delle teorie e universi basati sul complottismo e sulle teorie della “storia alternativa”.
Nazisti, rettiliani, logge massoniche, la Terra Cava… vi è di tutto nel film di Vuorensola, che attinge a piene mani (ma con un’intento di trasfigurazione e parodia esemplari) anche da The Man on the High Castle e dall’universo videoludico di Wolfenstein.
Il tutto condito da un’ironia che senza troppi preamboli distrugge anche il genere del monster movie spaziale, unisce tutto in un poltergeist complottista volutamente ridicolo ma neanche troppo sottilmente politico.
Le masse sono un sistema debole ed informe, soggetto alla volontà accentratrice di uomini potenti, narcisi e impietosi, per i quali il potere è l’unica cosa che conta e per la quale vale la pena vivere. Vi è poi tanta differenza tra Gengis Khan, Hitler, Caligola, la Thatcher o un Osama Bin Laden? Appartengono alla stessa oscura e terribile gang, sono in realtà gli uni uguali agli altri, senza che vi sia un’ideologia che si differenzi poi molto a dividerli.
Iron Sky: The Coming Race – pulp e fantasia nel film di Timo Vuorensola
Ma non bisogna commettere l’errore di pensare che Iron Sky: The Coming Race sia poi qualcosa di così diverso da un esercizio di fantasia eccessivo, pulp e personalissimo.
Perché si darebbe al tutto una connotazione assolutamente forzata, è un b-movie che omaggia gli sci-fi che furono, i comics e le serie tv dei decenni passati, lo fa anche a costo di perdere ogni regola base della sceneggiatura, sfottendo allegramente il gigantismo alla Micheal Bay e Roland Emmerich, con la loro oscena e noiosa retorica machista.
Dinosauri, nazisti, scazzottate irrealistiche, battaglie spaziali, rettiliani, ordigni nucleari, mitologia cristiana e non; se cercate un centro in tutto questo avete sbagliato posto, se cercate una direzione chiara idem.
Iron Sky in questo secondo episodio sfoga la creatività di quel ragazzo dentro di noi che immaginava di tutto, la rende palesemente e sfacciatamente orgogliosa di esistere, senza mai prendersi sul serio ma prendendo molto sul serio la volontà di ergersi a simbolo.
Simbolo di che? Dei non allineati, dei diversi, di quelli che non sbattono le mani all’ennesimo cine-comic uguale a cento altri o all’ennesimo “capolavoro” mainstream.
Iron Sky: The Coming Race – un b-movie che omaggia i film di fantascienza vecchio stile
È cinema di genere? Sicuramente. Ma su che genere sia è difficile dare una risposta, la realtà è che non appartiene a nessuno ma appartiene a tutti, soprattutto a quelli anni ’70 e ’80, ma strizza l’occhio anche ai grandi classici adventure di Lucas e Spielberg.
I riferimenti al mito Vril creato da Edward Bulwer-Lytton’s nell’omonimo romanzo sono in realtà più deboli di quanto si pensi, sono l’ennesimo tassello in puzzle personalissimo ed anarchico.
Timo Vuorensola non farà mai grandi risultati al botteghino. Non sarà mai un premio Oscar. Ma se ne frega, così come di una critica che approccia seriamente un film che di serio non vuol avere niente, così come non lo avevano le opere del trio Zucker-Abrahams-Zucker che in realtà è ciò a cui più assomiglia.
E come con quei film, parlare come fanno certi critici di “profondità dei personaggi” o “coerenza dello script” è assolutamente sbagliato se non grave, perché sta a simboleggiare una totale cecità di fronte all’immensa costruzione caotica e libera.
Iron Sky: The Coming Race è un pò come quelle costruzioni Lego che da piccoli creavamo mischiando un pò di tutto, fregandocene delle istruzioni, perché quelle servono solo a chi non ha fantasia.