Sons of Denmark: recensione del film di Ulaa Salim
Ulaa Salim che con la sua opera prima tratteggia una storia tragicamente attuale.
Sons of Denmark è stato presentato, sabato 2 novembre 2019, al concorso internazionale lungometraggi del Ravenna Nightmare Film Fest. Il film si insinua perfettamente nelle trame di questo Festival, il cui obiettivo è addentrarsi nelle profondità della mente umana e narrarne il lato oscuro, in ogni sua possibile sfaccettatura.
Sons of Denmark, pur essendo ambientato in un possibile futuro a noi decisamente prossimo, racconta, attraverso la Danimarca del 2025, i passi che conducono a una strada che potrebbe intraprendere il nostro presente. L’evento scatenante che da avvio alla narrazione è un attacco terroristico islamico in una città danese, avvenimento che andrà a legittimare e giustificare il sentimento populista e nazionale di un intero paese. Pronto a difendere i propri confini originari e l’identità pura della sua popolazione, il leader del partito nazionalista, Martin Nordhal, attraverso l’eterna propaganda antimmigrazione, ormai deciso a diventare il nuovo primo ministro del Paese, ottiene sempre più successo. Tuttavia, il politico, che rappresenta l’esplicitazione enfatizzata di un sentimento popolare diffuso, va inevitabilmente a legittimare una volontà di violenza e odio dilagante che trova piena espressione in Sons of Denmark, un gruppo neonazista pronto a tutto per rivendicare la propria presunta superiorità razziale e che inizia a farlo attaccando la minoranza islamica presente nel Paese.
Sons of Denmark: la trama del film di Ulaa Salim ci porta nella Danimarca del 2025
In questo contesto, caratterizzato da una pericolosa intolleranza etnica e da una crudeltà non necessaria, il regista Ulaa Salim decide di raccontare la propria storia. L’autore, alla sua opera prima, narra le ragioni di due differenti percorsi di iniziazione al terrorismo islamico: prima tramite un giovane ragazzo di origine irachena, Zakaria (Mohammed Ismail Mohammed), ormai perso in un mondo che non riesce a riconoscere, come se fosse straniero in quella che pensava essere ormai la propria terra; e successivamente attraverso le vicende di un islamico della polizia danese, Malik (Zaki Youssef), infiltrato nella cellula terroristica in questione.
Il film mostra quindi le ragioni sottese della radicale decisione di una persona qualunque, di un normale cittadino che riconosce la propria vita appartenere a quel luogo, alla radicalizzazione terroristica. Ulaa Salim, in questo modo, permette allo spettatore di comprendere la motivazione e il percorso esistenziale che trasforma un individuo in un terrorista; ciò non significa che il regista abbia l’intenzione di giustificare tale atto, ma esplica solo i moventi e le cause di una decisione esistenzialmente decisiva.
Sons of Denmark, infatti, è un film che si erge a manifesto contro ogni forma di estremismo e, accompagnato dalla Lacrimosa di Mozart, rivela come la violenza generi esclusivamente altra violenza. Nella mente dello spettatore, questa narrazione conduce inevitabilmente a un’attività di riflessione, coinvolgendolo emotivamente e richiamandolo a similitudini e paragoni con il proprio Paese e il proprio presente. Sons of Denmark è quindi un segnale d’allerta, un monito al quale dovremmo stare molto attenti; poiché mostra la potenza degenerativa dell’odio e dell’indifferenza, senza lasciar emergere nemmeno un forse necessario barlume di speranza.
Sons of Denmark è un film tragicamente attuale
Ulaa Salim scrive e dirige un film forte, tragicamente attuale, attraverso il percorso esistenziale e la drammatica caduta di due personaggi ben caratterizzati. Alcune scene, pur essendo forse eccessivamente estremizzate, assumono le sembianze di un angosciante grido d’allarme, come se l’autore avesse visto il futuro e ci chiedesse disperatamente di non compiere quelle scelte, di non intraprendere quella strada, di non rimanere accecati dall’odio.
Il film, oltre a numerose candidature ottenute nei vari Festival dell’intero globo, ha vinto il premio di Miglior Film al Riviera International Film Festival, e di Miglior Regia al Seattle International Film Festival.