For All Mankind: recensione dei primi episodi della serie Apple TV
For All Mankind è una serie solida, ben scritta, con ottimi interpreti ma non è un colpo di fulmine, anzi!
Tra le serie appena lanciate dalla piattaforma Apple TV+ c’è anche For All Mankind, un drama di 10 episodio, creato da Ronald D. Moore, Matt Wolpert e Ben Nedivi che parte da un interrogativo: cosa sarebbe successo se i primi ad arrivare sulla Luna fossero stati i russi? La serie è ambientata in un mondo possibile in cui l’ente spaziale sovietico riesce a far allunare Alexei Leonov nel 1969, battendo la NASA sul tempo. Si torna indietro di 50 anni e si cambia il corso delle cose piantando sul suolo lunare una bandiera di colore diverso.
Gli americani sono distrutti, ma non si arrendono e decidono di andare avanti, di combattere contro quella Luna Rossa – titolo del primo episodio della stagione – e contro tutto ciò che questo primo passo significa. Per gli americani quindi la “guerra continua”, non si conclude tutto nel ’69 ma quel 1969 è solo l’inizio. Apple TV+ sfida Netflix e Amazon Prime con See, Dickinson e For All Mankind – su essa si trovano i primi tre episodi di See e di For All Mankind, la stagione completa di Dickinson.
For All Mankind: come sarebbe andata se…
Tutto ha inizio il 26 giugno 1969, un mese prima del previsto allunaggio degli americani. Gli uomini e le donne di tutto il mondo sono davanti ai televisori per assistere allo spettacolo: l’allunaggio americano; invece qualcosa va storto. Nelle case, nei bar, nei telegiornali non vengono trasmesse le immagini che la storia ha raccontato bensì lo sconvolgente sbarco dei sovietici. Arrivando sulla luna, l’Unione Sovietica dimostra di essere migliore sotto tutti i punti di vista e questo vorrà dire anche trovarsi in una posizione dominante nella Guerra fredda.
For All Mankind rientra nel genere dell’ucronia (dal greco non tempo), storia alternativa – indica la narrazione letteraria, grafica o cinematografica di quel che sarebbe potuto succedere se un preciso avvenimento storico fosse andato diversamente. La serie racconta degli astronauti e delle loro famiglie che cercano di sopravvivere al trauma del fallimento e in seguito tentano di ricostruire e ricostruirsi dopo essere diventati capro espiatorio di un viaggio non portato a termine. Edward Baldwin (Joel Kinnaman) era a capo di una missione che si è fermata a tanto così dall’allunaggio, forse per eccessiva prudenza da parte della NASA: è proprio questa l’informazione che l’astronauta ingenuamente dà ad un giornalista, e questo provoca il suo allontanamento dalla prima linea dell’esplorazione spaziale. A quel punto per l’uomo nulla sarà come prima, deve decidere cosa fare, se “cambiare strada” – tornare al fare il soldato – o tornare sui suoi passi. Gli altri astronauti continuano a lavorare per arrivare sulla Luna perché per loro nulla è perso; ma è difficile dover rincorrere qualcuno che è sempre un passo avanti a te.
For All Mankind: una storia tra personaggi reali e personaggi inventati
La serie porta sul piccolo schermo personaggi reali che hanno veramente contribuito a creare il mito dell’allunaggio, Neil Armstrong (Jeff Branson), Buzz Aldrin (Chris Agos), Mike Collins (Ryan Kennedy), il capo degli astronauti Deke Slayton (Chris Bauer) e il direttore del centro spaziale Wernher Von Braun (Colm Feore) ma poi ci sono anche dei personaggi di finzione. I personaggi veri devono esserci, non si può pensare alla Luna, senza pensare ad Armstrong e ad Aldrin, e vengono rappresentati, come dice Moore, nel modo più realistico possibile, non si fa un’agiografia; anzi gli uomini che lo spettatore incontra sono pieni di difetti, si inchinano al potere, fanno di tutto per il successo, vogliono vincere sugli altri a qualsiasi costo. Sbagliano e inciampano e ad un certo punto entrano nel programma addirittura le donne che vengono reclutate dopo lo sbarco di una donna russa sulla Luna per fare altrettanto. Le donne di Nixon vengono evidentemente utilizzate per un fine, quello di eguagliare i nemici; gli uomini mal sopportano questo cambio di direzione, come si può lasciare il posto ad una donna?
C’è qualcosa che non torna però, i personaggi non riescono a conquistare; ogni personaggio ha il giusto spazio, lo spettatore può cogliere i tratti distintivi di ogni protagonista ed approfondirne molti aspetti della vita privata, ma non si crea nessun tipo di relazione tra chi guarda e chi è guardato. Non c’è pathos, o meglio anche se viene costruito alla perfezione, non ha il risultato sperato, quella lenta “immersione” nella questione allunaggio, almeno nei primi episodi, sembra non interessarsi dell’empatia.
For All Mankind: è tutto perfetto ma manca qualcosa
For All Mankind è una serie solida, ben scritta, con ottimi interpreti ma non è un colpo di fulmine, anzi. La serie non è sicuramente pensata per colpire da subito ma per costruire un universo, un mondo, una società, raccontare come sarebbe andata se il primo uomo fosse stato russo. For All Mankind parte da un’idea interessante, si sviluppa in maniera altrettanto giusta ma manca qualcosa – empatia, emozione – che si spera arrivi negli episodi successivi.