Quello che so di lei: recensione del film di Martin Provost
Quello che so di lei è un ritratto delicato e delizioso di perdono, maturazione e senso del dolore, al centro del quale abita la complessa relazione tra due donne.
Chiunque ha avuto occasione di vedere i film di Martin Provost, come Séraphine, Où va la nuit, Violette, avrà capito che le storie femminili sono al centro della sua filmografia. Lo sceneggiatore e regista ritiene che le donne siano spesso erroneamente subordinate all’interno delle pellicole. Per questo il cineasta francese ama ritrarre nelle sue trame personaggi femminili indipendenti. Come lo sono le protagoniste di Quello che so di lei (Sage Femme), presentato al Festival di Berlino 2017, con Catherine Frot e Catherine Deneuve.
Parigi. Claire è un’ostetrica che lavora in una clinica di maternità che verrà presto chiusa. L’unico hobby di Claire è la coltivazione di ortaggi. Ha un figlio che studia medicina e che vuole seguire le sue orme. Claire, oltre ad essere eccellente nel suo lavoro, è emotivamente chiusa e per nulla divertente: non beve, non fuma e non mangia cibo malsano. La sua vita verrà sconvolta dall’arrivo di Beatrice (Deneuve), spirito libero ed ex compagna del defunto padre di Claire. Le due donne si troveranno a vivere momenti conflittuali e a scontrarsi sulle rispettive idee di vita.
Quello che so di lei: il film di Martin Provost
Quello che so di lei ci introduce nella relazione difficile di due donne agli antipodi costrette – si fa per dire – a vivere una di fianco all’altra in un momento di grande difficoltà per entrambe. Beatrice è una donna divertente, sdolcinata, iper fumatrice, bevitrice e giocatrice d’azzardo, l’opposto di un’attenta e ponderata Claire. Deneuve eccelle nei panni di questa signora che ha sempre vissuto la sua vita al limite, ma che allo stesso tempo è disperata, cercando di instaurare un rapporto più disteso con Claire. Claire e Beatrice sono fondamentalmente due personaggi contrari ma, a poco a poco, questo contrasto diventerà una fonte di complementarietà, reciprocità e saggezza.
Quello che so di lei è un ritratto delicato e delizioso di perdono, maturazione e senso del dolore, al centro del quale abita la complessa relazione tra due donne che insieme rafforzano e danno un nuovo significato alle ferite del passato. Deneuve è eccellente, una forza della natura inarrestabile: è abile soprattutto nel rendere con autenticità e vigore una relazione ardua e complessa, quella tra lei e Claire, in cui si può osservare due generazioni di attrici fondersi perfettamente in questo conflitto, sia generazionale che tra due visioni della vita molto diverse, due visioni che si uniranno, alla fine.
Catherine Frot e Catherine Deneuve: due generazioni di attrici a confronto
Provost ha realizzato un film che sposa un messaggio delicato e sofferente con una esposizione realista, un connubio che si può trovare spesso nelle opere dei fratelli Dardenne. La sceneggiatura è costruita in un modo che permette ai personaggi di svilupparsi organicamente, il che alla fine supporta e accresce il climax emotivo delle scene. Le due attrici assieme hanno una chimica palpabile, una naturalezza visiva che si palesa proprio nella loro dinamica madre-figlia.
Le performance delle due attrici sono intense, scanzonate, drammatiche e la regia è pressoché impeccabile. Una piccola pecca si potrebbe trovare nella risoluzione drammaturgica delle vicende che coinvolgono le due donne; si potrebbe considerare ciò che accade, soprattutto nella seconda parte della pellicola, non realmente sorprendente o imprevedibile; ma la qualità attoriale e drammatica veicolata da questi personaggi e l’autenticità delle loro parole è talmente sontuosa e apprezzabile da far dimenticare le piccole crepe che si possono intravedere nella trama.