Il padrino: la storia vera del film di Francis Ford Coppola
Il padrino segue i suoi primi passi nella criminalità organizzata, fatta come ormai si sa, di rapporti, connivenze, morti e violenza, per narrarne gli anni del "successo" lavorativo e alla fine la morte.
Ci sono film per cui l’etichetta di capolavoro non è sopravvalutata, ci sono dei film che sono dei pilastri della cinematografia mondiale, è questo il caso di Il padrino, (The Godfather, 1972), primo della trilogia omonima di Francis Ford Coppola, premiato con 3 Oscar, rispettivamente per il migliore film (Albert S. Ruddy), migliore attore protagonista (Marlon Brando), migliore sceneggiatura (Mario Puzo, Francis Ford Coppola). Questo film con le sue interpretazioni, con le sue frasi è diventato iconico, un cult; è interessante sottolineare che la storia da cui prende le mosse è Il padrino, l’adattamento dell’omonimo romanzo di Mario Puzo che racconta l’odissea di una famiglia di origine italiana, al cui vertice c’è Don Vito Corleone, alias Vito Andolini, interpretato da Marlon Brando.
Un uomo in cui riverberano molte storie di uomini di Cosa Nostra
Dall’Italia all’America. Dal nulla al tutto; ma a che prezzo? Ford Coppola costruisce un personaggio che attinge alla realtà e crea Vito Corleone che, dopo numerosi anni di crimine, diventa il più potente capo-mafia italo-statunitense della Grande Mela, tanto da incutere timore ed essere chiamato da tutti “il padrino”. Ma chi è veramente Vito Corleone? Vito inizia a lavorare nella drogheria del signor Abbandando, sposa Carmela, una giovane siciliana arrivata da poco a New York, ha vari figli, simbolo di un vero uomo italiano.
Il padrino segue i suoi primi passi nella criminalità organizzata, fatta come ormai si sa, di rapporti, connivenze, morti e violenza, per narrarne gli anni del “successo” lavorativo e alla fine la morte. Tutto ha origine dalla crisi: rimasto senza lavoro d’improvviso, trova un inaspettato aiuto nel piccolo criminale Peter Clemenza. Il piccolo malvivente gli chiede di nascondere delle armi perché sta arrivando la polizia per perquisire il suo appartamento, calmate le acque, Clemenza va a recuperarle e gli offre di guidare gli autocarri sui quali trasporta la merce che ruba insieme al suo socio, Salvatore Tessio.
Come la “narrativa” di genere e la storia ci hanno abituato l’uomo di mafia è sul campo spietato e inarrestabile, in casa è un amorevole capofamiglia. Un percorso che lo vede veleggiare nel mare magnum della mafia: corruzione, contrabbando di alcolici – che fa lievitare la ricchezza e il potere dei Corleone negli anni della Grande Depressione e del Proibizionismo – gioco d’azzardo e proprio per ottenere il monopolio si scontra con altri boss (primo fra tutti Philip Tattaglia).
Quello dei Corleone è un vero e proprio impero che ben ricorda ciò che la drammaturgia mafiosa ha declinato in tutti i suoi aspetti e le sue forme: sangue, omicidi, rivalità, ricatti, alleanze costruite per poi distruggersi poco dopo; tutto questo confluisce nel capolavoro di Ford Coppola.
La violenza cinematografica dei Corleone racconta alla perfezione la violenza vera, reale della mafia italo-americana dell’epoca: don Vito Corleone, pur essendo un personaggio di fantasia nato dalla penna di Mario Puzo, richiama i vari “don” della Little Italy che, trovandosi in terra straniera, decidono di “perdersi” nella delinquenza e conquistare gli States. La Cosa Nostra americana aveva creato un terribile Stato alternativo, fatto da altre regole e leggi, che vedeva tra i tanti primeggiare: Francesco Castiglia, il Frank Costello; Francesco Gambino, il boss dei boss; Vito Genovese; Albert Anastasia e infine Lucky Luciano. Il personaggio descritto da Puzo si ispira alla crudeltà, alla bramosia di questi boss terribili che le cronache hanno raccontato, che hanno costruito stereotipi, cliché, che per molto tempo hanno etichettato l’italiano come mafioso. In lui riecheggiano le figure di Lucky Luciano, Frank Costello, Vito Genovese, Meyer Lansky e Bugsy Siegel.
Il Padrino: i punti di contatto tra la storia di Vito Corleone e quella di Lucky Luciano
Uno dei riferimento più interessanti è sicuramente Lucky Luciano (il suo vero nome era Salvatore Lucania) che rappresenta l’evoluzione criminale della mafia siculo-americana. Ha la sua grande occasione con il proibizionismo e il relativo contrabbando di liquori, con il business della droga, vanta il diritto di primogenitura oltreoceano e il consolidamento del suo impero criminale. Emigrato negli Stati Uniti, a soli 19 anni consegna per le vie di Manhattan droga nascosta in fiale collocate sotto i nastrini di cappellini per signora e inizia così la sua carriera. Entra nelle file di Giuseppe Masseria, Joe the boss, in lotta feroce con Salvatore Maranzano, capo della fazione rivale.
Lucky elimina entrambi e per non soccombere a sua volta nella guerra fra bande, ristruttura l’organizzazione e inizia a tessere una fitta rete di rapporti che valica la sottile linea di demarcazione tra criminalità e legalità. Ne Il padrino infatti il consigliere – ruolo “istituito” proprio Lucky Luciano -, Tom Hagen (Robert Duvall), è il figlio adottivo di Vito Corleone ma è soprattutto un brillante avvocato.
Chiaramente le storie non sono poi tanto diverse perché questa è la logica del mondo mafioso, questa è la vita di un uomo di Cosa Nostra, questa è la spietatezza di un universo che non segue il vivere civile.
Una storia che porta il sentire dell’Italia meridionale
Mentre Lucky Luciano ha fondato parte della sua ricchezza sulla droga, Vito Corleone fino ad un certo punto rifiuta di entrare nel giro, che considera “sporco” e teme di rovinare i rapporti con la politica e la polizia ma poi si vede costretto a cedere il passo. Corleone sa fare ed essere capo e proprio per questo è il padrino, sarà difficile per lui lasciare il ruolo ad un delfino, è la morte a decidere definitivamente per lui.
Se don Vito rimanda ai capifamiglia degli immigrati siciliani, anche gli altri personaggi ricordano qualcuno perché inevitabilmente per realizzare un libro e poi un film di questa grandezza, ricostruendo anche l’epica mafiosa, è necessario e utile studiare la materia e attingere alla Storia, alla cronaca e alla realtà. Il personaggio di Johnny Fontane (Al Martino) pare ispirato al famoso cantante Frank Sinatra, The Voice, di cui sono celebri i contatti con la malavita e la sua permanenza in carcere – come dimostra il dossier dell’FBI, Sinatra, figlio anch’egli di immigrati siciliani, viene sospettato di avere rapporti con la mafia grazie alla quale avrebbe iniziato a fare carriera.
Lo scrittore Puzo in più di un’intervista ha mostrato un punto di vista nuovo e interessante: proprio per dimostrare quanto di italiano ci sia nel suo libro sottolinea che dentro le parole di Corleone lui sente la voce della propria madre. Quando il boss sta in casa con la famiglia Puzo ritrova in lui la saggezza, l’amore forsennato e dannato per la famiglia di lei, quando lavora percepisce chiaramente la crudeltà che percepiva nel momento in cui la madre si innervosiva.
La sicilianità – che è in realtà un sentire meridionale (i genitori di Puzo sono originari della provincia di Avellino) – che comunque riverbera in Vito Corleone è quella di cui l’autore ha sentito le storie: il coraggio dell’uomo di Cosa Nostra, la lealtà distorta e distorcente che è insita in lui proviene da essa. Questo vale anche per tutti gli altri personaggi de Il Padrino, in loro, mentre scriveva il libro, sentiva le voci dei fratelli e delle sorelle, il loro rispetto per le debolezze umane.