The Witcher: recensione della serie TV Netflix

La recensione completa della prima stagione di The Witcher, la nuova serie Netflix basata sui romanzi di Andrzej Sapkowski, creata da Lauren Schmidt Hissrich e con protagonista Henry Cavill.

The Witcher è la nuova serie evento targata Netflix basata sul ciclo di romanzi scritto da Andrzej Sapkowski con protagonista lo strigo Geralt di Rivia, fonte di ispirazione della serie videoludica di successo creata da CD Projekt, di un film, di un’altra serie tv e di diverse storie a fumetti.

Per l’occasione il colosso dello streaming ha scelto come creatrice e showrunner Lauren Schmidt Hissrich, con la quale ha collaborato in altre serie originali come Daredevil, The Defenders e The Umbrella Academy. L’onere (e l’onore) di vestire i panni del leggendario Geralt è stato affidato ad Henry Cavill, che tanto lo ha desiderato e tanto ha creduto nel progetto fin dall’inizio; accanto a lui il cast si è andato componendo con i nomi di Freya Allan, Anya Chalotr, Jodhi May, Adam Levy e MyAnna Buring.
La serie ha debuttato il 20 dicembre 2019 con i primi 8 episodi ed è stata già rinnovata per una seconda stagione.

The Witcher: maghi, streghe e banditi animano la trama della serie TV Netflix

The Witcher, cinematographe.it

Il Continente è un luogo vasto, selvaggio e pericoloso. Diviso essenzialmente in un Sud occupato dall’Impero di Nilfgaard e in un’ampia regione settentrionale divisa in tanti regni grandi e piccoli, tra i quali spicca Cintra, il gioiello dominato dalla regina Calanthe (May), detta la Leonessa, la cui nipote è la piccola Ciri (Allan), il tesoro più prezioso per l’intrepida condottiera e, sfortunatamente, anche per qualcun altro. Ma non solo i nobili sono i protagonisti del Continente, può capitare anche che un’insulsa “Guardamaiali” possa ambire a compiere grandi gesta, se la sua volontà si dimostrerà all’altezza.

In questo mondo dominato da creature di ogni sorta, ma anche da maghi, streghe, banditi e furfanti, si aggirano, solitari ed itineranti, dei loschi figuri armati di due spade, visti con sospetto e rifiutati dal mondo degli uomini, ma comunque tollerati per l’importante compito che solo essi sono in grado di assolvere: uccidere i mostri più potenti e pericolosi. Essi sono gli witcher (o strighi), uomini sottoposti al più severo degli allenamenti e infine mutati per adempiere alla loro missione. Ma vivere come uno di loro non è impresa da poco, lo sa bene Geralt di Rivia (Cavill), il quale ha imparato a sue spese a diffidare delle cosiddette “brave persone” e ad onorare il suo compito tenendosi il più possibile lontano dalle faccende del mondo.

Egli ancora non sa che il destino lo ha già scelto, suo malgrado, per ricoprire un ruolo fondamentale nella partita per il futuro dell’intero Continente.

The Witcher: tre personaggi e un solo Destino, oltre bene e male

The Witcher, cinematographe.it

L’attesa intorno al nuovo fantasy di Netflix è legata a doppia mandata all’incredibile successo ottenuto dall’omonima saga videoludica già citata; nonostante questo la Hissrich ha più volte affermato come la sua serie si sarebbe distanziata dalla narrazione dei videogiochi, ben consapevole che sarebbe stato comunque impossibile venire meno ad un pur minimo confronto. E di fatto The Witcher si getta anima e corpo sui libri di Sapkowski, non solo per quanto riguarda il contenuto narrativo, ma anche riprendendo la loro struttura e la loro libertà di scrittura.

La prima stagione è stata pensata per costituire un mosaico che, nella sua composizione, riuscisse ad introdurre in modo bilanciato i tre personaggi principali e questo aspetto funziona, poco da aggiungere, sia nelle specifiche formule riservate, sia nel tempo materiale concesso ad ognuno di loro sia, infine, nel ritmo usato.

Gerald, l’ottimo Henry Cavill (uno dei punti di forza della serie), il cui amore per l’argomento trattato e per il suo personaggio è lampante fin dalla prima inquadratura, è inserito in tanti racconti che ci parlano della sua indole, della sua visione del mondo, del bene, del male, degli uomini e dei mostri e di come questi ultimi non abbiano sempre zanne e artigli.

La storia di Yennefer, la strega ossessionata dal potere, segue in parte il tracciato della formula adoperata per raccontare Gerald, seppure la sua vicenda sia più organica nello sviluppo (lei diventa qualcosa, ha una genesi e un concepimento, mentre lo strigo ha una figura più solida e formata fin dall’inizio) e il suo personaggio sia soggetto a più alti e bassi rispetto a quest’ultimo.

Infine, alla principessa Ciri è riservato il ruolo di introdurre allo spettatore la massiccia macchina narrativa che costituirà la trama portante a cui tutti gli altri dovranno gioco-forza legarsi. Non proprio arduo come uccidere una kikimora, ma comunque un compito difficile che finisce molto col sacrificare il personaggio della ragazza, probabilmente il più debole dei tre alla fine dei conti.

Da qui arriviamo al cuore della narrazione: il destino. La maggior parte delle storie fantasy, recente e passate, hanno vissuto, per una tradizione lunga di anni, di un’epica ben delineata e di alcuni nodi contenutistici essenziali, principe tra tutti l’eterno conflitto tra bene e male. Negli eserciti, nelle fazioni, nelle intenzioni, dentro gli individui, un’anima contrastata da luci e ombre alla ricerca della vittoria. Una delle cose più riuscite di The Witcher è il suo particolare trattamento di questo snodo, messo in discussione più volte nel suo troppo semplicistico disegno e invece sostituito dal destino, forza onnisciente, che veicola tutti gli eventi della storia, quando ergendosi a giudice intransigente e quando a caritatevole benefattore. Un elemento che ritorna sempre, in vesti nuove e qualche volta anche piacevolmente sorprendenti per il bell’uso che se ne fa nel cucire gli episodi e i personaggi.

The Witcher: un fantasy di piccole dimensioni

The Witcher, cinematographe.it

Il mondo creato da Sapkowski e poi animato da CD Projekt restituisce un fantasy che vive del suo ampio immaginario sovrannaturale, ma ha la sua forza estetica in un forte realismo che si trova nello sporco, nel crudo, nel fango e nel sangue. Un binomio non facile da rendere sullo schermo e che può facilmente costituire una trappola. Ecco, la serie Netflix, più di una volta, ci cade.

The Witcher è un prodotto che ha un suo scopo e non lo tradisce mai, ma lo persegue in modo molte volte confusionario, finendo in equivoci e cadute di stile che fanno venire in mente più le serie medievali anni ’90 che i prodotti fantasy più recenti. I costumi e il trucco sono ottimi, le location suggestive, la prevalenza dell’uso dell’artigianato per gli elementi sovrannaturali comprensibile e, perché no, anche gustoso se lo si mischia con un tono orrorifico, ma quando la storia amplia il suo respiro l’atmosfera collassa, rivelando un brutto e forte senso di finzione, molto aiutato dalla regia, dalla fotografia, dagli effetti speciali, da un budget scarsetto e dalla non credibilità dei numeri in scena. Salvo poi risollevarsi quando si torna a combattere in duelli in punta di lingua o di spada, a partecipare a risse per strada, a combattere i mostri in stretti corridoi, insomma, quando, appunto, le dimensioni si restringono.

Il The Witcher di Netflix cerca sempre di appassionare lo spettatore, con fortune alterne, perdendosi più volte in se stesso e in quello che vuole essere, ma sporcandosi sempre le mani e non cercando mai scappatoie o di fare fan service: tutto quello che è raccontato serve alla narrazione e la sua onesta ricerca nel raccontare un immaginario (che si conferma, comunque, magnifico) rimane, insieme alla canzoni di Ranuncolo, la cosa più bella della serie.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2.5
Sonoro - 3
Emozione - 3.5

2.8

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