The App: recensione del film Netflix di Elisa Fuksas
The App, film Netflix scritto e diretto da Elisa Fuksas, coglie le fragilità delle relazioni di oggi, sopratutto quando nascono in una dimensione virtuale.
Sempre più spesso ci sentiamo dire che gli algoritmi controllano le nostre vite, che le nostre esistenze nel quotidiano vengono lette e interpretate attraverso di essi. La vita è sempre più algoritmica, che lo si voglia o no. Quel che ci determina ogni giorno – social, web, dating – è un territorio scivoloso, complesso, di cui l’arte, il cinema e le serie tv stanno tentando di analizzarne le conseguenze possibili, aprendo a nuovi scenari futuri, spesso in modo piuttosto inquietante.
Un episodio della quarta stagione di Black Mirror, Hang the Dj, ha intuito come potrebbe diventare il mondo delle dating app, un universo tentacolare, spietato, alienante, in cui queste app sono sempre più numerose, un affare sicuramente redditizio e sempre più ipertrofico. La parola d’ordine è “matching”. Anche un’altra serie recente, Osmosis, ha osservato da vicino come la tecnologia giochi un ruolo sempre più importante nella ricerca dell’anima gemella e dell’amore. Dopo numerose produzioni internazionali, Netflix ha prodotto un film italiano che guarda a queste tematiche, e che ha tentato di sviscerarne le complesse e oscure dinamiche: The App, scritto e diretto da Elisa Fuksas.
La storia ci porta nella vita di Nick (Vincenzo Crea) ed Eva (Jessica Cressy), una giovane coppia che vive a Los Angeles. Nick è un aspirante attore e anche un ricco rampollo di una famiglia di rinomati industriali, mentre Eva è una studentessa di psicologia. Prima di partire per Roma, per le riprese del suo primo film, Eva lo convince a scaricare un’app di appuntamenti chiamata Noi, solo per ottenere informazioni per la sua tesi di laurea. Mentre inizia le riprese del suo film, una donna di nome Maria inizia a scrivergli. Nick si innamora follemente di lei. La sua vita, la sua carriera e praticamente tutto ciò che in precedenza credeva, iniziano a sgretolarsi a causa della sua infatuazione per una donna che non ha mai visto.
The App: il film Netflix di Elisa Fuksas
Esattamente come in Her, film del 2013 scritto e diretto da Spike Jonze con protagonista Joaquin Phoenix, The App coglie le fragilità delle relazioni di oggi, sopratutto quando nascono in una dimensione virtuale. Quel che rende Her un film così straordinariamente bello è il modo in cui rimane fedele a ciò che si propone di essere. Quel che invece porta ad essere The App un prodotto confuso e poco a fuoco è che cerca di essere troppe cose contemporaneamente.
Il problema di The App è che ha la pretesa, forse strutturale, di voler essere generazionale. Quando ci approcciamo ad un personaggio come Nick, scopriamo che ha la tendenza, per come è scritto, di voler rappresentare un po’ la generazione dei millennials, la generazione Z, che ha fondamentalmente tutto, che non ha niente da conquistare e che ha tutto da perdere. Nick vive un’inerzia interiore, si trova ad un bivio esistenziale che non vuole assolutamente imboccare. Quindi questa sorta di immobilità, questi freni che in lui si autodeterminano, sono un po’ la summa di quello che la regista vuole veicolare attraverso il personaggio, cioè una generazione di persone che non ha una direzione, che non ha uno scopo.
Nick è la definizione visiva di una generazione che può avere tutto, ma che è paralizzata da questo senso di scopo, da una mancanza di amore per se stessi e di comprensione di chi è veramente. Nick dimentica il suo mondo e, nonostante la sua felicità con con Eva, trova una donna con il quale scopre una felicità ancor più assoluta. È come il mito di Eco e Narciso: all’improvviso lui si sta specchiando in una persona che è molto più vicina a se stesso che alla realtà. Questo ci dice molto sia del personaggio, sia dell’app che della regista, o meglio dell’idea di amore che vuole veicolare la regista: un amore molto autoreferenziale molto egoistico, che è pur sempre una forma di amore.
The App cerca di essere troppe cose contemporaneamente
The App mostra la velocità con cui si può perdere tutto in un mondo digitalizzato, e come ci si possa perdere completamente in qualcosa. L’attenzione non è solo sulla tecnologia stessa, ma anche sulle persone che alla fine non riescono a gestirla. The App esplora in modo ampio il mondo moderno, in cui l’amore è governato da semplici algoritmi, un’idea che è senza dubbio abbastanza intrigante. Inizialmente la storia sembra dipanarsi attraverso un thriller psicologico affascinante, ma ben presto ci si accorge di come la storia porti a una conclusione piuttosto affrettata e confusa.
Nick è un personaggio monodimensionale con il quale lo spettatore non crea un vero legame. Questo fa sì che il film non raggiunga il suo obiettivo, poiché tenta di mostrare il lato oscuro della tecnologia, ma la mancanza di un vero coinvolgimento, la mancanza di una scrittura densa, descrittiva, unitaria e che spinga a fondo nella mente dei suoi protagonisti, rende tutto vacuo, oscuro, inestricabile.
Il film perde molto della sua profondità, lascia alcune domande irrisolte, e la discesa di Nick verso l’ossessione per la donna che incontra online sembra fin troppo brusca: i suoi coinvolgimenti in diverse narrazioni e la mancanza di uno sviluppo del personaggio alla fine portano al suo svilimento. The App cerca di essere troppe cose contemporaneamente, rendendo il climax finale non così impattante come dovrebbe essere: ciò che avrebbe potuto essere un finale scioccante, è purtroppo il risultato insipido e incolore di una trama che riesce solo graffiare la superficie di tutti gli intrecci narrativi che presenta.