Bajkonur, Terra: recensione del film di Andrea Sorini
Bajkonur, Terra è il primo documentario di Andrea Sorini - giovane e talentuoso regista del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma
Opera prima del brillante Andrea Sorini, Bajkonur, Terra è un documentario di rara bellezza. Distribuito per ora in maniera autonoma in alcune sale italiane ma proiettato – si spera – verso un pubblico sempre più ampio, il film è prodotto da RaiCinema, Lumen Films e Piranesi Experience, con la Media Partneship de Il Saggiatore.
Il giovane regista porta lo spettatore alla scoperta di uno degli angoli più remoti del Pianeta, esplorando insieme ai suoi abitanti l’amore dell’Essere Umano per le stelle e e il suo sogno di una vita nello spazio. Una serie di immagini perfettamente curate in ogni dettaglio, in cui Natura e paesaggio antropizzato si presentano in momenti di inaudita bellezza, dipingendo quadri mozzafiato.
Bajkonur, Terra: dal Kazakistan allo Spazio
Sorini si dedica all’osservazione del Cosmodromo di Bajkonur, sulle rive del fiume Syr Darya in Kazakistan. A lungo terra deserta e inaccessibile all’Uomo, verso la metà del XX secolo questa terra è stata occupata dai suoi vicini più prossimi e potenti: i Russi. Lontani da tutto il resto del mondo, hanno iniziato a studiare teoria e pratica della navigazione nello Spazio, partecipando alla corsa verso le stelle che ha entusiasmato i decenni della Guerra Fredda. I Cosmonauti, espressioni fantasmagoriche della forza sovietica, persistono anche oggi in questo fazzoletto di terra continuando a lanciarsi in missioni extraterrestri, con l’obiettivo dichiarato di testare la vita su altri pianeti per – un giorno – conquistarli e abitarli.
Un sogno infinitamente grande, che nel 2020 non smette di esercitare fascino, e che muove ricerche e persone in una costante preparazione alla prossima missione. Attorno a loro, tutta una popolazione saldamente ancorata alla Terra (e alla terra), ma con lo sguardo sempre rivolto verso le stelle.
Prospettive e paesaggi
La regia di Andrea Sorini è perfettamente definita in alcune, semplici scelte che l’autore si impegna a portare avanti per tutta la durata del documentario. Sempre coerente con la prospettiva centrale, Sorini punta l’obiettivo verso i grandi spazi del paesaggio kazako, con fede nella bellezza della natura. Davanti alla sua camera si sprigiona la magia del documentario, un’arte paziente in cui l’autore trova forza nel diventare invisibile. Eppure, il suo sguardo è potente e indica con decisione ciò che dovremmo guardare: il cielo, l’orizzonte, l’intervento disordinato dell’Uomo che invade il paesaggio. L’infinitamente bello e l’infinitamente brutto.
L’essere umano in Bajkonur, Terra torna ad essere minuscolo proprio perché guardato in prospettiva dall’universo. Sorini descrive una sequenza ordinata di quadri animati, dove i personaggi si posizionano come elementi naturali, non facendo mistero della presenza della camera, posando – addirittura – in ritratti di gruppo viventi. Il distacco dai personaggi, in effetti, sembra essere così placido e super partes da posizionare lo spettatore già là, tra le stelle, dove i cosmonauti vogliono andare.
In generale, Bajkonur, Terra è un documentario dalla fortissima personalità, che non scende a compromessi con lo spettatore e che richiede una soglia dell’attenzione a cui ormai si è poco abituati. Ma, se la fiducia nella bellezza delle natura è evidente, anche la fede nella qualità del pubblico è molto forte. Se si dà una possibilità al film, superando la soglia delle prime sequenze, non ci si pentirà dell’arrivare fino alla fine; l’importante è permettergli di catturare lo sguardo e immergere lo spettatore nella più strana e affascinante delle vite: quella dell’esploratore dello spazio.
La profondità della bellezza in Bajkonur, Terra
La visione di Bajkonur, Terra potrebbe destabilizzare in un primo momento lo spettatore poco abituato all’eterogeneità del mezzo cinematografico. Sorini si esprime con un documentario di pura osservazione, in cui la narrazione si svolge non tanto sulla scrittura dialogica, ma sul dipanarsi di immagini. In tutti i 74 minuti di film le parole sono ben poche, e – alla fine – neanche troppo necessarie. Il racconto è suggestivo, lento quanto è lento il tempo naturale delle cose.
Senza mai invadere o accelerare, lo sguardo del regista indugia sulla prospettiva, invitando a indagare fino in fondo al punto di fuga. Così, anche se in un primo momento Bajkonur, Terra può sembrare un’esperienza esclusivamente estetica, si scorge in questa insistente ricerca della bellezza un intento profondo: ogni immagine vuole essere una celebrazione di quelle persone e di quella terra e – per sineddoche – di tutta l’umanità e di tutta la Terra.
D’altra parte, forse uno degli aspetti narrativamente più interessanti sta proprio in questo legame tra religione e scienza che nelle terre remote del Kazakistan ha trovato il suo particolare modo di esistere e resistere. I sacerdoti ortodossi raccontati da Sorini sono coloro che in prima linea sostengono le missioni spaziali, benedicendo i cosmonauti e le loro navi prima di ogni viaggio. In questa contraddizione apparente, cogliamo la spiritualità di Bajkonur, Terra, un ponte tra la tecnologia altamente sofisticata delle missioni spaziali e il desiderio innato, quasi bestiale, dell’essere umano del travalicare i confini e cercare sempre nuovi habitat dove crescere e prosperare.