Cinematographe.it presenta Memorie di un assassino di Bong Joon-ho
Cinematographe presenta Memorie di un assassino del 2003, opera seconda di Bong Joon-ho e uno dei gioielli senza tempo del cinema sudcoreano.
Le espressioni culturali di un Paese costituiscono spesso, se non sempre, uno specchio fedele del suo momento storico, sociale, financo, addirittura, economico. Il caso della Corea del Sud è uno dei più significativi in questo senso e anche uno dei più facilmente inquadrabili, complice la giovinezza del suo nuovo, e felice, corso politico. Più o meno iniziato negli anni ’60, con la fine del comunismo e il boom economico, e poi, dopo una brusca frenata, definitivamente esploso all’indomani di uno dei più grandi attentati della storia perpetrati dalla Corea del Nord e della fine della quinta repubblica, uno dei regimi più autocratici della storia della nazione del 38° parallelo.
Oggi, nel 2020, la Corea del Sud è la quarta potenza economica dell’Asia e l’undicesima del pianeta. Oggi il cinema della Corea del Sud è sulla vetta del mondo, all’apice di un percorso iniziato negli anni ’90, dopo le numerose censure di regime entrate in vigore trent’anni prima, e stabilizzatosi da qualche tempo alla quinta posizione nella classifica mondiale dei mercati del settore (in un Paese con appena 50 milioni di abitanti).
Parliamo, ovviamente, della celebrata vittoria agli Oscar di Parasite di Boong Joon-ho, non solo vincitore di ben quattro statuette, ma primo film della storia a trionfare sia nella categoria di miglior film straniero che in quella di miglior film. Un evento anticipato, se vogliamo, dalla cospicua collezione di premi nelle varie e nei vari cerimonie e festival precedenti alla notte delle stelle, a cominciare dalla Palma d’Oro all’ultimo Cannes.
Una vittoria che parte da lontano, neanche troppo in realtà, e che è rintracciabile in alcune peculiarità della nuova generazione del cinema sudcoreano, in un momento storico preciso e in alcune pellicole, tra queste Memorie di un assassino dello stesso Bong Joon-ho.
Bong Joon-ho e il nuovo cinema asiatico
Ribaltando il punto di vista, la scossa tellurica provocata dall’entusiasmo intorno al cinema sudcoreano è stata la lieta conseguenza di diverse onde preparatorie che dall’inizio degli anni duemila hanno cominciato ad essere avvertite sia tra il mondo degli addetti ai lavori sia tra il pubblico, con un’alternanza di visibilità, ma mantenendo una vetta qualitativa impossibile da ignorare.
La fortuna è stata quella di poter vantare un ventaglio di autori di grande bravura e molto diversi tra loro, nonostante tutti quanti figli della generazione degli anni ’60 (fa eccezione solo Lee Chang-dong, le cui opere sono comunque rintracciabili nel medesimo periodo degli altri registi), la stessa che fu più investita dagli effetti culturali e sociali dei movimenti studenteschi in Corea del sud. In ambito cinematografico, nello specifico, ci fu un grande incontro con il neorealismo italiano. Da autori come Park Chan-wook e Kim Ki Duk, nuovi esponenti di un cinema moderno, ma visceralmente legati alla tradizione, nelle tematiche e nello stile, nonostante (brevi) parentesi occidentali, vedi Stoker, si passa a Bong Jon-hoo, da subito più internazionale nel suo modo di intendere il linguaggio della Settima Arte.
Sorge con loro il nuovo cinema sudcoreano, portatore sullo schermo di un forte sentimento di appartenenza culturale, coniugato in generi differenti (tra l’altro in continuo aggiornamento) e sposato con un’idea di cinema molto forte, chiara e precisa, in grado di spostare il focus del cinema asiatico, fino ad allora fermo su Hong Kong. Una visione innovativa, fresca, cinica e ironica, incredibilmente libera di sperimentare, spaziare e provocare e dotata dell’abilità di avvalersi di una critica sociale sottile e tagliente, senza perdere mai la ricerca della poesia del mezzo filmico.
Un nuovo epicentro della cultura pop mondiale, oggetto privilegiato dell’interesse del mondo del cinema costituito dagli addetti ai lavori. Uno dei primi casi in questo senso fu Old Boy, il thriller del 2003 del già citato Chan-wook, premio della giuria di Tarantino a Cannes e riportato al cinema da Spike Lee con un remake all’americana con esiti tutt’altro che felici.
Di quell’anno è anche Memorie di un assassino, forse il capolavoro di Joon-ho, altra fonte di ispirazione per famosi registi americani.
Lo stupefacente Memorie di un assassino
Tratto dal romanzo Come and See Me di Kim Kwang-rim, a sua volta basato sulla storia vera del primo serial killer coreano conosciuto, attivo fra il 1986 e il 1991 a Hwaseong, nella provincia di Gyeonggi, Memorie di un assassino parla delle contraddizioni del potere costituito, dei modus operandi e della mentalità di un Paese scosso dalla mancanza di una guida stabile e alla continua ricerca di punti di riferimento.
Bong Joon-ho adatta e dirige una pellicola raffinata ed elegante, in grado di raccontare in modo crudo l’efferato metodo dell’assassino e la profondità umana dei personaggi senza perdere neanche un minimo della potenza della messa in scena, arricchita da un finale mozzafiato e da una chiusa di rara bellezza.
Il regista mette le mani in un’indagine lunga, complessa, frastagliata, balbettante, tralasciando il racconto delle gesta dell’assassino, e decide di elevarla a metafora della confusione e del vuoto politico di quegli anni, continuando ad impastare e impastare senza sosta e ritardando il più possibile il momento della stesura. La scrittura, in questo senso, è la sua principale alleata; grazie a lei riesce a costruire un castello di sabbia sempre più alto, ma allo stesso tempo sempre più raffazzonato e privo di fondamenta solide, costantemente sul punto di sgretolarsi. Sebbene il tempo scorra e le indagini continuino ad accartocciarsi, la mano che impasta è sempre sicura, veloce e puntuale, faro di una sceneggiatura mutevole, che porta la pellicola su toni comici, iperbolici, drammatici e noir. Un percorso flessibile, il cui unico punto fisso rimane quello della distruzione delle regole e dei canoni del film di genere.
Una mano anche ingannatrice quella di Joon-ho, che al momento culmine della tensione finalmente decide di stendere l’impasto, regalando a tutti la vista della sua bellezza, facendo assaporare finalmente l’esistenza di un esito, oasi nel deserto, per poi ricominciare a mescolare.
Un film d’ambiente e/o di ambienti, cupi, sporchi e poveri; un film di provincia, di provincia in campagna, campagna sterminata (Joon-ho è un regista dal respiro ampio). Un film di piani sequenza, di rallenty, di elementi verticali e di riferimenti significativi; come quello a Brivido Caldo di Lawrence Kasdan, uno dei noir americani più importanti degli anni ’80 e allo slapstick. Un film dove si parla del ruolo della donna, della dittatura della polizia e quindi del Paese, della violenza verso i deboli e verso i comuni. Un film dove c’è la scoperta di un nuovo modo di intendere il poliziesco, quello ripreso in Zodiac e in True Detective, quello delle indagini e degli indagatori, dove il serial killer è un modo di parlare di altro. Un film che racconta l’oppressione in un Paese in cui l’importante è dare la colpa a qualcuno, in cui la cosa fondamentale è trovare un capro espiatorio, con qualsiasi mezzo e con il rischio di donare l’arma più importante nelle mani del colpevole reale: poter mettere in dubbio la veridicità della propria colpevolezza a causa del comportamento di coloro che la perseguono. Primi a metterla in secondo piano.
I vostri metodi… Portate qui le persone innocenti e le torturate, lo sanno anche i bambini. Ma con me non ci riuscirete… non mi avrete.
Un film che parla di soppressione, violenza e alienazione, concentrandosi sul racconto degli sguardi.
Il caso Bong Joon-ho
L’opera prima di Bong Joon-ho fu Barking Dogs Never Bite del 2000, anch’essa riferito ad un romanzo, in quel caso il Cane delle Fiandre del 1872. Pellicola che anticipò i tratti della commedia nera e la predilezione per un certo aspetto del racconto investigativo, entrambi elementi rintracciabili in Memorie di un assassino, nel quale prendono forma e arrivano ad una maturazione che accompagnerà la loro presenza nel proseguo della filmografia del regista.
È però in questa seconda opera che gli elementi portanti della sua poetica sono quasi tutti rintracciabili. Nonostante la lunga parentesi americana, costituita da Snowpiercer e Okja, la quale ha forse indirizzato definitivamente la visione cinematografica del regista, almeno stando a Parasite, forse il film più compiuto di Joon-ho, che ha sentenziato, per certi versi anche giustamente, l’abbandono del suo primo modo di fare cinema, a dispetto del ritorno nella sua Corea.
C’è il racconto delle indagini, presente anche in Madre del 2009, ci sono le scale e “chi ci cade”, c’è la sala interrogatori nel sotterraneo, c’è l’elemento importante di Seul e il contrasto con la provincia, c’è la commedia, c’è Song Kang-ho, l’attore feticcio di Joon-ho, c’è la pesca, il frutto preferito del regista, e c’è l’America. La stessa America delle indagini all’avanguardia, l’America gigante, l’America dei sogni e della modernità, l’America da sopportare in The Host, l’America patria dei film di Joon-ho per 4 anni, l’America che ha regalato alla Corea del Sud il primo posto sul podio del cinema mondiale.
Memorie di un assassino torna nelle sale italiane dal 13 febbraio 2020, dopo il trionfo sudcoreano alla notte degli Oscar e cercando di bissare l’incredibile successo di pubblico avuto al cinema da Parasite. Nel 2003 il film vinse miglior film e miglior regia ai Grand Bell Awards, la conchiglia d’argento e il premio FIPRESCI al Festival di San Sebastián, il miglior film asiatico al Tokyo International Film Festival e il premio Holden e del pubblico al nostro Torino Film Festival.
La pellicola, successo strepitoso in patria con oltre cinque milioni di spettatori e terzo risultato al livello mondiale con un incasso di circa 26 milioni di dollari nell’anno de Il Signore degli Anelli – Il ritorno del re, è prodotta da CJ Entertainment con Muhan Investment, I Pictures, Sidus e Discovery Venture Capital, e sarà distribuita per questo “secondo passaggio” da Academy Two.
Per ora, nel corso della prima settimana italiana, si sono registrati circa 151 mila euro di incasso.