Non solo Cattive acque. La figura dell’eroe civile nei film d’inchiesta
Letteratura, storia e cinema ci insegnano che l'eroe civile ha un percorso, lo stesso del protagonista di Cattive acque e di altri film d'inchiesta.
La figura dell’eroe può cambiare di racconto in racconto, di genere in genere. C’è l’eroe senza macchia e senza paura, quello avventuroso che affronta i propri nemici e riesce, nonostante qualsiasi difficoltà, ad averla sempre vinta. C’è quello timido e inesperto, che ancora non conosce il grande potere che ha dentro di sé, ma saprà trovarlo per conquistare i propri obiettivi, per diventare più sicuro di sé e sapersi muovere con maggiore sicurezza nel mondo. C’è quello che non sa nemmeno di essere un eroe, ma che, della propria quotidianità, saprà fare la più incredibile e eccitante delle imprese.
Tante diverse declinazioni, tutte finalizzate a un determinato scopo e a una predisposta dimensione, che fanno del proprio protagonista colui che saprà uscirne rinforzato, rinvigorito, più fiducioso nel proprio approcciarsi all’esistenza, tanto da porlo come ideale a cui rivolgersi e come esempio da seguire e da cui trarre ispirazione. C’è, poi, un altro tipo di eroe, un personaggio solitario, lui contro tutti, colonna portante di un valore che la società sembra veder offuscato, portatore di quell’unica giustizia che dovrebbe essere certa e universale, ma che, nell’individualità di quel singolo soggetto, sembra venir ignorata o dimenticata.
La vera storia di Cattive acque
Si tratta degli eroi etici, dei professionisti della morale, i campioni di buonsenso, coloro destinati a perdere il contatto con il circostante per battaglie che reclamano ciò che è giusto, ma che sembra essere sempre battuto da ciò che c’è di più sbagliato. Storia, letteratura, cinema: ambienti pieni di questi figuri che hanno fatto della propria causa la loro fede, in uno schematismo che, nel tempo, si è rivelato più che simile tra i differenti racconti, rendendo i loro protagonisti un po’ meno soli. È la sorte che anche Robert Bilott ha dovuto attraversare, vicenda di un avvocato riportata sul grande schermo di Hollywood con Cattive acque e che prende dalla realtà per la costruzione di un film d’inchiesta, il quale inquadra perfettamente l’immagine cardine di un disdicevole fatto di cronaca, che ha coinvolto l’America e il mondo nella più raccapricciante delle disgrazie chimiche.
Cattive acque: la storia vera dietro al film con Mark Ruffalo
Siamo a Parkersburg, è il finire degli anni Novanta e il giovane avvocato Bilott è appena diventato socio del suo studio legale. L’uomo decide di aiutare un vecchio agricoltore convinto dell’iniquità dell’impianto dell’aziona DuPont posta vicino alla sua fattoria, struttura che all’oscuro della cittadina e dell’intero governo statunitense ha usato i condotti d’acqua della zona per espellere il tossico acido perfluoroottanoico, agente chimico con gravissime ripercussioni sugli abitanti e su coloro capitati a contatto con la sostanza. Una ricerca e un processo che si protrarranno negli anni, portando allo stremo finanziario e emotivo Robert Bilott.
Atticus Finch e la sua lezione
È proprio il tracollo di Bilott a tratteggiare uno dei punti del percorso canonico che l’eroe civile si ritrova a dover affrontare. Il collasso, il crollo fisico e famigliare che si pongono come ulteriori elementi di differenza tra questa figura principale e tutto ciò che va designandolo attorno. È dalla scoperta dell’errore che parte tale eroe, dalla lealtà verso i propri doveri, abbracciati come la sola maniera per riparare a un qualche squilibrio nel mondo, convinto che sarà poi la giustizia a venirne ripagata. È con la chiamata alle armi all’insegna della propria convenzionale che l’eroe classico comincia la sua storia e che si manifesta, nelle narrazioni come quella di Cattive acque, con il bussare alla porta del bisognoso d’aiuto. In linea di principio con la propria professione e, umanamente, con la propria morale, è l’impossibilità di poter rifiutare a sospingere gli eventi, il credere fermamente nella correttezza nel poter trovare equità di confronto tra il piccolo contro il grande, “l’anomalo” contro la normalità, il solo contro il tutto.
È dalla lettura di eroi come il ben noto Atticus Finch, emblema del difensore, che si può estrarre la linfa prima di questo genere di personaggio che si rispecchia nella realtà di un cittadino come Robert Bilott. Nell’imprescindibile Il buoi oltre la siepe della scrittrice Harper Lee, l’avvocato della cittadina razzista contro quel nero portato in tribunale solo per il colore della sua pelle, diventa statuto di una lealtà lapidaria, di assoluta risolutezza, colui sceglie di prendere le redini di quella causa perché nessun altro uomo l’avrebbe fatto. Una lezione di professionismo e umanità, saggio simbolico sullo scegliere di mettersi contro l’intera opinione pubblica, pur di poter salvare un solo innocente.
L’eroe solo contro tutti
E è il ritrovarsi emarginato un altro punto chiave della direzione intrapresa da Atticus Finch e, quindi, da questa tipologia di eroe. Escluso come l’integrità ha tralasciato il buonsenso. Ed è ciò che arriva ad attraversare Robert Bilott, l’immettersi sul terreno di battaglia dove soltanto chi è consapevole del quadro generale può fiancheggiare il protagonista, il quale rimane totalmente incompreso – se non anche giudicato e additato – tanto da farsi fioco barlume di fronte a cui ipocrisia, paura, ingratitudine e menefreghismo non possono che voltare le spalle. Se in Cattive acque l’azienda DuPont è colei che sostiene l’economia dell’intera zona della cittadina di Parkersburg, la verità che tanti fingono di non comprendere è, infatti, il danno irreversibile e irreparabile che si abbatte non solamente sulle attività commerciali, ma sulla salute di coloro che ne mettono in moto le funzioni, cercando più un capro espiatorio per la beffa a cui sono stati sottoposti che crogiolarsi nell’imminente desolazione.
Nel suo essere rimasto, dunque, al centro dell’uragano, è il potere di chi c’è dall’altra parte della barricata che contribuisce a dare al nostro eroe etico un’altra ben nota connotazione. È la sfida impari, il Davide e Golia dell’inchiesta, il grande magnate – religioso, governativo, privato – che cerca di schiacciare le fatiche intraprese dal piccolo, la cui unica ostinazione potrà permettergli di non farsi abbattere. Il non temere il pericolo, il mettere a repentaglio la propria vita, ma sapendo di non poter vivere se non per smascherare ciò che più di tutto vuole rimanere nascosto. E così la squadra de Il caso Spotlight si scaglia contro il Vaticano e quella rete fidelizzata che di santità ne conosce ben poca, mentre il solo Daniel Jones di The Report – interpretato da Adam Driver – sceglie di proseguire nell’estenuante analisi delle torture eseguite dall’esercito americano dopo l’11 settembre pur dovendosi schierare contro i colleghi della CIA.
La linearità di un racconto come Cattive acque
Con una classicità che tanto appartiene al patrimonio genetico del regista Todd Haynes, in una linearità che il racconto scioglie facendo calpestare al protagonista dell’attore Mark Ruffalo ogni tappa del suo prefigurarsi come eroe/avvocato contro l’azienda e i suoi disastri chimici, Cattive acque diventa paradigmatica esposizione dell’icona civile quale protagonista con il suo prefissato calvario da dover superare, dove solo l’esito finale può cambiare di storia in storia, le quali saranno però sempre accumunate dal loro simbiotico carattere. E, con Robert Bilott, il caso procederà anche oltre lo schermo, in una cerniera con la realtà che unisce finale e vita vera, (ri)accendendo la fiamma della giustizia, dando la speranza che, quest’ultima, non venga mai spenta.