La sedia della felicità: recensione del film con Isabella Ragonese
La recensione de La sedia della felicità, una commedia dal gusto internazionale, che omaggia il Nord-est Italia.
Un film gradevole dall’impianto favolistico e un omaggio amorevole alle misteriose storie che popolano gli echi delle Dolomiti, con La sedia della felicità il compianto Carlo Mazzacurati ci ricorda che sul grande schermo c’è spazio anche per le storie semplici ma dalla manifattura preziosa.
Se la felicità si nasconde in una sedia di legno – la trama de La sedia della felicità
Bruna (Isabella Ragonese) è un’estetista che vive costantemente in bilico, tra un improbabile venditore di macchinari per il suo centro estetico che ad ogni pagamento in ritardo le svuota il negozio, e un fidanzato assente. Per arrotondare fa la manicure a Norma Pecche (Katia Ricciarelli), ex diva del cinema e della televisione che si trova in carcere, e durante una delle loro sedute la donna presa da un attacco di panico muore. Prima di chiudere gli occhi però confessa a lei e al prete (Giuseppe Battiston) che l’assiste che nella sua grandiosa villa veneta si nascondono dodici sedie preziose. Perché in una di queste si nasconde un ricco tesoro di gioielli.
Bruna parte alla volta di questo tesoro, e a sua insaputa anche il prete, ma la strada si rivela essere ripida. La villa è stata sottoposta a sequestro e le sedie disperse tra i diversi acquirenti che se le sono aggiudicate ad un’asta, ma grazie al sostegno di Dino (Valerio Mastandrea), un tatuatore che ha il negozio proprio di fronte al suo, forse il misterioso tesoro potrebbe presto essere suo.
Una commedia dal gusto internazionale, che omaggia il Nord-est Italia
La sedia della felicità, diretto da Carlo Mazzacurati che ne ha curato anche la sceneggiatura e il soggetto insieme a Doriana Leondeff e Marco Pettenello, è una di quelle commedie che ti sorprendono inaspettatamente in maniera positiva. Si tratta senz’altro di quel filone di film italiani che devono molto ai luoghi in cui sono ambientati, un tocco che contrariamente a quanto potrebbe sembrare li rende internazionali. Pulita e accurata la fotografia di Luca Bigazzi che trova manforte anche nella scenografia di Giancarlo Basili, creando una perfetta armonia tra il registro moderno della quotidianità e quello più bucolico della seconda parte del film.
La caccia al tesoro di Bruna e Dino, personaggi adorabili a cui Ragonese e Mastandrea danno una bellissima genuinità, assume dei connotati speciali perché andrà ad arricchire un’antologia di storie che si intrecciano alla cultura del nord-est d’Italia (Veneto, Trentino). S’intrecciano perché in verità la storia è di origine russa, tratta dal romanzo Le dodici sedie di Il’ja Il’f e Evgeni Petrov e mai pubblicato.
Il piacere della favola e della narrazione, l’omaggio alla letteratura di Carlo Mazzacurati
L’elemento della favola, del possibile che si tramuta in assurdo e stravagante al punto da stravolgere una realtà quotidiana e ripetitiva, è una componente cardine de La sedia della felicità. Come lo è nella letteratura e nel cinema. Ogni inquadratura infatti ci sembra esattamente come sfogliare la pagina di un libro: pochi i primi piani, tante invece le scene corali che mettono in risalto le avventure che i protagonisti si trovano a fronteggiare prima ancora con la caccia alla sedia, con i personaggi singolari che incontrano.
La sedia della felicità è definito l’ultimo saluto al cinema di Carlo Mazzacurati, ed è un sentito omaggio al piacere e al viaggio onirico della narrazione, e non è un caso che l’inizio e la fine del film inizino proprio con una voce narrante, e con un libro che si apre e che non si chiude perché le sue parole permangono e si espandono nella realtà. Emblematica la scena dei due protagonisti che salgono e riscendono le montagne delle Dolomiti l’uno al fianco dell’altra.