Twin Peaks: così David Lynch ci ha reso spettatori migliori
Nel 1990 si faceva la storia della tv: Twin Peaks veniva trasmesso in prima visione e noi spettatori non saremo stati più gli stessi.
È inconfutabile: quando parliamo di Twin Peaks la prima cosa che si va a sottolineare è la rilevanza nella storia della scrittura e dell’impatto seriale che l’operazione targata Lynch/Frost ha indelebilmente segnato. Nessun prodotto fino al 1990 è mai stato come quello ideato, sognato, partorito e rigettato da David Lynch e Mark Frost, tra le complicanze e gli stravolgimenti televisivi dettati da un’ondata imprevista, ma irrompente.
Prima di analizzarne le tematiche e la messinscena, di delineare i percorsi ipertestuali che Twin Peaks ha adottato e che ha riflesso in (semi) continuità su altri dispositivi e forme mediali, e ancor prima di enunciarne l’impatto emotivo, sensitivo, visivo che la serie ha riprodotto su larga scala di pubblico, è la collocazione a epicentro storico del tubo catodico che ne ha fatto risuonare, negli anni, la sua grandezza, non certo tralasciando la magnificenza di un’idea che scivola attorno ai mistici intrighi dell’omicidio di Laura Palmer, fino all’incontro con i demoni di un alquanto vicino aldilà.
A 30 anni dall’arrivo a Twin Peaks
La natura storica di Twin Peak, infatti, affascina quasi quanto la sua narrazione intricata, la sua indecifrabile carica appartenente alle chiavi di riflessione del racconto, un oscillare nel melodramma rincorso ed esasperato da David Lynch, che l’artista fa fondere nel suo magma mentale e paradigmatico, quello del sovrannaturale, del carnale. Tutto ciò che è possibile ritrovare nel perverso, ma che è solamente un altro occhio con cui vedere alle cose.
A trent’anni dalla prima messa in onda della serie Twin Peaks trasmessa sul canale televisivo della ABC, è l’incredibile senso di spaesamento che, oggi come allora, colpisce per l’intuizione di due autori come Lynch e Frost. L’aver colto le nuove potenzialità non solo del mezzo tv come scatola per nuove storie, ma che vanno a tratteggiare i contorni di uno spettatore che non è più, solamente, soggetto passivo dei personaggi e accadimenti che colpiscono la sua retina oculare, ma è ormai amico – se non addirittura conoscitore esperto – dell’universo televisivo, pronto a scoprire cosa, con la crescita stessa di questa embrionale dimensione artistica, un autore come Lynch poteva dedicargli.
Come Twin Peaks ha cambiato la nostra posizione di spettatori
Se è certamente l’innovazione dinamica della messinscena a farsi primariamente strada nella curiosità del pubblico anni Novanta – quell’aria sospesa della cittadina americana, dove nebbia e cascate addensano una patina di fitta inquietudine, sormontata soltanto dalle cime verdeggianti degli alberi di Twin Peaks -, è il patto verso lo spettatore che smuove l’intrepida operazione degli ideatori della serie. L’opportunità di poter addentrarsi senza alcuna cautela nei meandri di un’opera fatta volutamente e irrimediabilmente ad incastri (talvolta nemmeno tanto in sintonia tra di loro) che possano smuovere la curiosità crescente di appassionati telespettatori, a cui il gioco omicida viene allora offerto e su cui quest’ultimi si buttano sperando di rivelarne essi stessi l’assassino.
Questi trent’anni di Twin Peaks non sono, quindi, solamente il risultato di una grande inventiva destinata a contorcersi ancestralmente su di sé, ma sono l’ottenimento di una fiducia partita da Lynch e Frost verso il pubblico e, inversamente, dal pubblico a Lynch e Frost. Un patto fatto di unicorni bianchi, videocassette sgranate, diari dalle pagine strappate e logge nere in cui perdersi per, forse, mai ritrovarsi – se non venticinque anni dopo. Un spingersi verso l’ignoto che non era, solo, quello in riferimento all’omicidio di Laura Palmer, ma alla comprensione e accoglienza di un manipolo di spettatori che, invece di tirarsi indietro, hanno fatto la fortuna stessa di Twin Peaks, non permettendone l’interruzione lì dove era l’industria televisiva stessa a non avere più credito nel prodotto, facendone bandiera per una rivoluzione televisiva che, da quel momento, avrebbe dovuto completamente ripensare ai propri termini di riuscita e paragone.
L’opportunità di espansione della serialità
Dall’arrivo dell’agente speciale Dale Copper nella cittadina di 51.201 abitanti nello stato di Washington, la rivoluzione di Twin Peaks ha visto i propri passi segnati tanto della volontà dei creatori di poter fronteggiare un tipo di narrazione inusuale, quanto dall’educazione di uno spettatore attivo rispetto agli eventi proposti. Un cambiamento imprescindibile nell’opportunità di espansione delle storie televisive, un oggetto ineffabile come Twin Peaks reso emblema di un insegnamento alla visione che avrebbe permesso al pubblico di svincolarsi dalla fruizione remissiva dei racconti, ma ne avrebbe potuto prendere parte lui stesso, accettandone le regole, decidendo di lasciarsi condurre oltre le tende rosse della realtà.
È questa la storia della serialità di Twin Peaks. La sfinge di fronte a cui indifesi gli spettatori si fermano spauriti, ma che attraverso indizi e capacità intellettive possono tentare di oltrepassare. E questo dobbiamo tanto a David Lynch e Mark Frost. L’averci resi non più, solamente, ospiti di ciò che la serie volevano dirci, non più semplicemente visitatori di un quadro che ha solo luci, senza la presenza di alcune ombre. Twin Peaks ha permesso al prodotto televisivo di spingerci oltre per crescere e far crescere il senso interpretativo del pubblico, permettendo al futuro di costruire serie che avrebbero sempre più sfidato il coinvolgimento dello spettatore, pronto un’altra volta a farsi conquistare – e a conquistare a propria volta – le storie, aspettando ogni volta di entrare in qualche nuovo racconto, ma ricordando sempre come ci si è sentiti la prima volta che si è arrivati a Twin Peaks.