Il regno del fuoco: recensione del film con Christian Bale
Il regno del fuoco, pur vantando nel suo cast tre nomi di spicco come Bale, McConaughey e Butler, è un film timidamente fantasy che non riesce a lasciare un segno nello spettatore.
Prodotto da Buena Vista International e diretto da Rob Bowman, Il regno del fuoco si presenta come la promessa di un film destinato a condurci in uno dei molteplici mondi possibili del fantasy, sospesi tra draghi e leggende. I nomi altisonanti di tre attori della caratura di Christian Bale, Gerard Butler e Matthew McConaughey catturano l’attenzione, ma purtroppo non sono sufficienti a far spiccare un film che, a differenza dei draghi, non sfreccia né infiamma.
La trama de Il Regno del fuoco, tra draghi e scenari post apocalittici
Quinn (Ben Thornton) è un ragazzino dodicenne che ogni volta dopo scuola va ad aiutare sua madre, impegnata nei lavori di escavazione nel sottosuolo della metropolitana di Londra. È l’anno 2002. In quel giorno, che doveva essere uno qualunque, si ritrova in un cunicolo sotterraneo faccia a faccia con un drago che lo intercetta come nemico.
Immediatamente cerca di avvertire la madre e tutti i coinvolti nei lavori, ma non appena la bestia inizia a muoversi e a gettare fuoco ogni fuga sembra vana, e infatti Quinn (che da adulto ha il volto di Christian Bale) si ritrova ad essere l’unico sopravvissuto. Un’esperienza che lo segna per sempre e che 18 anni dopo (nel 2020) lo vedrà a capo di una comunità lontana da Londra, a Northumberland, in un nuovo Medioevo dove si vive nella paura di un possibile attacco da parte dei draghi.
La situazione in cui versa la Terra è ormai uno scenario insostenibile e post-apocalittico, dove tutta la tecnologia del mondo non basta a fronteggiare la minaccia dei draghi che senza sosta continuano a devastare i territori. Quinn e il suo migliore amico Creedy (Gerard Butler) cercano di rassicurare la popolazione e difenderla da attacchi esterni, minimizzando qualsiasi spostamento.
L’arrivo però nel suo territorio di Denton Van Zan (Matthew McConaughey), un cacciatore di draghi statunitense che insieme a degli uomini addestrati cerca di risollevare le sorti della Terra, sconvolge la finta tregua della comunità e la strategia di moderazione e resistenza portata avanti da Quinn. All’assalto di Northumberland da parte di un drago femmina, Quinn rivedrà le sue posizioni decidendo di scortare Van Zan verso Londra e uccidere l’ultimo drago maschio rimasto, che sembra essere l’unico superstite maschile a tenere in vista la specie.
Il regno del fuoco: un film che cerca di mescolare fantasy e realtà con poco successo
Già dalla trama intuiamo che Il regno del fuoco non vuole essere esattamente un fantasy ordinario: ci sono i draghi sì, ma forse è proprio a questo e a poche altre caratteristiche della comunità di Northumberland che si riduce l’elemento fantasy, perché l’obiettivo è quello di raccontare una storia ambientata ai nostri giorni con sfumature soprannaturali. Siamo infatti in un 2020 nel quale la minaccia non è rappresentata da armi atomiche o guerre in procinto di esplodere, ma da draghi che devastano la Terra.
I draghi però sono presentati come bestie spietate ed intorno a loro non c’è alcun tipo di leggenda e forma di empatia umana. È una semplice lotta tra bestie e umani, che è una dinamica molto più vicina ai film d’azione che ai fantasy, dove si ricerca nelle creature di quell’universo un significato più profondo e misterioso. E la scelta di una fotografia molto fredda, scura, tendente ai toni del grigio e del nero che valorizza fortemente l’estetica della tecnologia utilizzata, ci trasporta proprio nel filone di quei film che narrano di scenari post-apocalittici con tutte le possibili soluzioni immaginifiche del caso.
Il punto debole de Il regno del fuoco è proprio questo: non riuscire a trovare un giusto equilibrio tra queste due prospettive, quella fantasy e quella action, senza cadere nella stesura di un film ibrido, dove solo le azioni e la recitazione – prima su tutti quella di Bale grazie anche all’ampio spazio dato al suo personaggio – ci conducono fino alla fine dello sviluppo della vicenda.
Poco valorizzato il personaggio di McConaughey a cui è solo il suo sguardo torvo e profondo a dargli corpo e consistenza, quasi assente quello di Butler, il film non riesce a giocare appieno le sue carte, dalla trama agli attori. Ne restano solo effetti, azione e ricostruzioni desolate dall’estetica neppure troppo innovativa per il tempo, che non riescono a vivere e a creare una connessione con la storia e i suoi protagonisti.