Le mille e una notte: recensione
Come si può fare un film di rilievo sociale quando vuoi riprendere storie meravigliose? E come girare fiabe senza tempo quando sei impegnato col presente? Sono, allo stesso tempo, nell’occhio del ciclone e in un vicolo cieco…
È quanto si legge in una delle pagine del diario di realizzazione di Le mille e una notte ritrovato, per puro caso, da uno dei produttori. Nonostante il talentuoso regista Miguel Gomes abbia negato di aver scritto di proprio pugno queste parole (arrivando persino alle lacrime), molti esperti hanno confermato l’inequivocabile provenienza della peculiare testimonianza di cui abbiamo riportato un piccolo estratto.
Il pluripremiato regista Portoghese di Tabu, in effetti, si cimenta in un’impresa senza dubbio non facilmente realizzabile: la sua idea è quella di dar vita ad un film di denuncia che racconti gli ultimi anni di storia contemporanea della sua patria logorata dal debito pubblico, messa in ginocchio da chi, non avendola saputo governare, l’ha trasformata in una terra colma d’odio e disperazione. La peculiarità del suo progetto sta, però, nella scelta della linea narrativa. Come il titolo della pellicola suggerisce, Le mille e una notte adotta un registro comunicativo che rimanda a quello della celebre raccolta di novelle orientali riunite sotto questo titolo a partire dal X secolo; lo stesso che, per intenderci, è arrivato fino a noi grazie al lavoro di uomini di cultura del calibro di Giovanni Boccaccio, William Shakespeare e Luigi Pirandello.
Le mille e una notte: quando guarderemo in faccia la realtà e smetteremo di credere alle favole?
Non è un caso se, prima dell’inizio vero e proprio della narrazione da parte della Sherazade interpretata da Crista Alfaiate (4 Copas, Imagine), Gomes interpreta se stesso nell’accezione più reale che la situazione che gli si era presentata davanti agli occhi potesse suggerirgli: scappa via dal set lasciando un’intera troupe nel caos più totale, la stessa che lo cercherà in lungo e in largo fino a ritrovarlo un attimo prima dell’apertura dell’intreccio narrativo ad opera della fiabesca figlia maggiore del Gran Visir.
Altro tratto distintivo del suo progetto è la durata del materiale audio visivo; per rendere bene l’idea, ecco ritornarci utile un altro stralcio del diario sopra citato:
Mentre guardo un montato di due ore e quaranta minuti sui fringuelli, inizio a capire cosa potrebbe essere le Mille e una notte . Chiamo il produttore per dargli la notizia:
– “Urbano?”
– “Sì?”
– “Vuoi la buona o la cattiva notizia?”
– “Quella buona.”
– “Saranno tre film.”
– “E quella cattiva?”
– “Saranno tre film.”
– “(…)”
È nata, così, la ripartizione del girato in tre volumi: Inquieto, Desolato ed Incantato; ognuno della durata di circa 120 minuti e con un significato allegorico-satirico ben preciso per un totale di poco più di 6 ore durante le quali le eco delle risate provocate da una visione surreale (basti pensare al gallo citato in giudizio per il suo cantare “fuori orario”) si confondono con quelle di uno sguardo ingiustamente rassegnato ad un futuro invivibile per il quale sembra non esserci rimedio.
La sceneggiatura di Miguel Gomes, Mariana Ricardo e Telmo Churro propone una lettura degli eventi a metà tra docu-ficition e mockumentary, riprendendo eventi di cronaca e drammi sociali realmente accaduti senza negarsi la possibilità di romanzarli in versioni con maggiore impatto potenziale.
A suggellare il particolare metodo di lavorazione adottato per l’intero anno necessario alla realizzazione del film, c’è la fotografia del thailandese Sayombhu Mukdeeprom che, utilizzando pellicola 16mm e 35mm ed un set di lenti anamorfiche, ha saputo rendere il suo lavoro un sapiente protagonista della pellicola.
Presentato all’ultimo festival di Cannes nella categoria Quinzaine des Réalisateurs, Le mille e una notte uscirà nelle nostre sale il 18 marzo (distribuito da Milano Film Network) raccontando di un Portogallo strumentalizzato e ricattato dalla Troika, politicamente scorretto ed economicamente maltrattato.