La famiglia Willoughby: recensione del film d’animazione Netflix
La famiglia Willoughby è il cartone animato anticonvenzionale che mette sotto una luce del tutto inaspettata la famiglia.
Esistono le famiglie perfette. Le famiglie quelle belle. Quelle normali, ordinarie, modeste, mediocri. Poi esistono le famiglie pessime, quelle dove il solo legame di sangue sembra unire i componenti di quell’arrancato, deforme gruppo di persone, tanto distanti gli uni dagli altri, tanto lontani da rispecchiare i più basilari e semplici concetti di come ci si dovrebbe comportare sotto il tetto della stessa casa. A fare da portavoce di tutti quei genitori indisponenti, quei figli lasciati a se stessi, quell’egoismo intrinseco nell’uomo che nemmeno la presenza di un consanguineo può alleviare, è il film targato Netflix La famiglia Willoughby, inaspettata quanto imprevedibile opera d’animazione che non cerca solamente di sfatare il mito dei buoni sentimenti, ma ne conferma una tutt’altra tipologia, ben lontana da una classica visione perbenista, accettando anche ciò che è più difficile da accettare, trattando anche ciò che non è mai facile trattare.
Dai capelli rossi e un incredibile bisogno d’affetto, i fratelli Willoughby vivono rinnegati, ignorati, bistrattai nella stessa casa che appartiene alla loro dinastia da generazioni, insieme a due genitori fastidiosamente persi l’uno nei baci appassionati dell’altra, troppo avidi di scambiarsi reciproco amore per essere disposti a condividerlo con i loro quattro figli non voluti. È così che Tim, Jane e i gemelli Barnaby escogiteranno un modo per diventare orfani, potendosi finalmente emancipare da quella madre e quel padre indifferenti. Piani che verranno messi in dubbio con l’arrivo dell’amorevole tata Linda, pronta a offrire tutta quella tenerezza a cui ai bambini non era mai stato concesso di aspirare.
La famiglia Willoughby – Scegli bene la tua famiglia
Alla fine dell’arcobaleno non sai mai cosa potrà aspettarti. C’è chi desidera un mondo fatto di caramelle, chi un universo dei regali che ha sempre immaginato e chi, semplicemente, spera di poter trovare un po’ di pace dalla freddezza e indolenza della propria casa. È quello che spinge i protagonisti de La famiglia Willoughby ad avventurarsi al di fuori del loro giardino, attorno a una narrazione su cosa, ma soprattutto su chi può essere davvero la tua famiglia, distante dalle norme che vogliono il cerchio chiudersi con la soluzione della redenzione, azzardando così un’inedita impronta per il proprio racconto, forse più veritiero di quanto i cartoni animati hanno mai saputo essere.
Nella sua cinica impostazione, che non vuole certo infierire sulle disgrazie dei suoi innocenti protagonisti, provando piuttosto a costringerli a una lezione di vita vera come poche volte se ne sono viste nelle pellicole d’animazione, il cartone animato diretto da Kris Pearn – alla sceneggiatura insieme a Mark Stanleigh – stimola la formulazione di un dibattito assai più spostato sui discorsi abitudinari intorno ai concetti di famiglia, osando senza aver paura di strafare, anzi, spostando sempre di un ulteriore grado la propria asticella, chiarendo il suo drastico, irremovibile punto di vista. Riflessione che non manca dell’assunto fondamentale che, nonostante l’inadeguatezza di molti genitori – più di quanti noi stessi vorremmo accettare – ci sarà sempre qualcuno pronto a prendersi cura di quattro buffi e rossicci ragazzini, rafforzando l’importanza di un’unione come quella fraterna, forse realmente l’unica in grado di permettere di sentirci meno soli su questa egocentrica terra.
La famiglia Willoughby – Siate sempre meglio dei vostri genitori
Spietata, dunque, e certamente coraggiosa nel suo proseguire con determinazione nell’allontanamento e riavvicinamento dei piccoli Willoughby ai loro genitori, a mancare leggermente nelle fila della storia di Tim e i suoi fratelli è una chiarezza espositiva che è evidente sarà districata mano a mano nello sciogliersi degli intricati nodi, ma che si presenta leggermente pasticciata durante la visione, nonostante la gradevole esperienza di un film fuori ovviamente da qualsiasi standard. Una cifra tragicomica riconfermata anche da un intervento come quello di narratore e executive producer del dissacrante comico Ricky Gervais, il cui film non possiede forse il drastico pessimismo sugli esseri umani, ma che sembra non andarci poi tanto lontano.
Da una palette di colori pazzesca che, a seconda del meteo, degli umori e delle emozioni dei personaggi muta gli ambienti attraversati dai protagonisti, La famiglia Willoughby è l’incentivo per i più giovani di poter diventare sempre migliori dei propri genitori, di capire quanto è grande la necessità che abbiamo degli affetti, sapendo sempre bene dove riporli, per un’opera anticonvenzionale con cui è possibile sia crescere che imparare.