Time to hunt: recensione del thriller coreano Netflix

Per gli amanti del thriller ad alto tasso di tensione, Time to Hunt è un vero ottovolante impazzito, diretto da mani sicure ed esperte. Assolutamente consigliata la visione.

Time to Hunt, disponibile dal 24 Aprile su Netflix, è scritto e diretto da Yoon Sung-hyun. Al suo terzo lungometraggio, concentra i suoi sforzi per delineare una storia ricolma di una suspense mai così ottimamente sostenuta. Facciamo la conoscenza di Jun-seok (Lee Je-hoon), Jang-ho (Ahn Jae-hong), Ki-hoon (Choi Woo-shik) e Sang-soo (Park Jung-min), dei ragazzi intrappolati in una Corea rivisitata e distopica. Il loro desiderio più grande è evadere da una nazione che non ha più nulla da offrire, dove la valuta del Won è destinata a crollare miseramente. Per farlo, sarà necessario effettuare una rapina ai danni di una Casa del Gioco illegale; dollari americani da ottenere per liberarsi dalla loro infima condizione. Il prezzo da pagare però sarà molto alto.

Time to Hunt: un mondo insanguinato che colpisce nel segno

time to hunt recensione film - cinematographe.it

Il titolo rilasciato su Netflix è gestito in maniera impeccabile da Yoon Sung-hyun, con una padronanza di mezzi di prim’ordine: non solo ci addentreremo nelle vite e nelle interazioni sociali di quattro protagonisti – costretti ad agire contro la legalità per sopravvivere – che si fanno terra bruciata intorno, ma temeremo seriamente per le loro sorti. La rapina è in atto, ma un circolo di malavitosi e sicari professionisti è pronto ad apparire per smuovere le fondamenta del racconto. I tempi sono dilatati per affezionarci ai ragazzi, coinvolti in una realtà ancora più dura di quella che hanno imparato a digerire, e il film non aspetta altro che procedere a marce più alte.

Non appena si riesce ad impostare un’atmosfera tesa, provocata dalla rapina, Time To Hunt si trasforma e diventa una corsa contro il tempo per mantenere intatta la pelle degli interpreti principali. Un elemento di disturbo fuoriesce dalle ombre gettate su una nazione in declino: il sicario Han (Park Hae-soo). Un villain implacabile caratterizza al meglio un corpo centrale che tocca vertici di tensione che possiamo certamente definire insostenibili. La pellicola si contorce su sé stessa e viene manipolata da un poliziotto tramutato in killer, da un uomo di legge che si diverte a cacciare le sue prede per il puro gusto di far perdere loro la ragione.

Time to Hunt: la fotografia e il sonoro sono elementi di spicco che vanno a potenziare una caccia spietata

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Non agisce in solitaria Han: per aiutare a definire alla perfezione la sua inquietante sagoma, il reparto fotografico si manifesta con colori sfocati e manipolati da un’ambientazione segnata dal caos. La rabbia repressa di una nazione sull’orlo di una crisi economica è contenuta in figure primarie – sia positive che negative – difficili da domare. Si pensa di scappare via dalle più insormontabili difficoltà della vita ma il conto si presenta sempre, senza fare sconti a nessuno. Figurativamente parlando, la caccia fra Han e i rapinatori improvvisati è un trampolino di lancio per una riscoperta di un’umanità palpabile, ancora insita in persone che gridano aiuto.

La componente horror interviene a gamba tesa per rafforzare la sottotraccia drammatica, una volta che la disperazione anima i personaggi all’interno di Time to Hunt. L’inseguimento sembra non avere fine, così come il processo di trasformazione di un gruppo di amici che deve fare i conti col destino manifesto; da amici a fratelli di sangue, in un crescendo di tensione ottimamente impostato. Le musiche di Choi Dong-hoon – in arte “Primary”- mescolano l’hip hop con l’elettronica, creando un’impronta da marchiare a fuoco sulle location desolate del film. La confezione lascia a bocca aperta, con un linguaggio e un metodo di riprese governati dall’ansia che emerge dai visi segnati e terrorizzati dei ragazzi. Una visione obbligatoria e da non perdere su Netflix.

Regia - 4.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 4
Emozione - 4

4

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