Sweet Virginia: recensione del thriller con Jon Bernthal
Sweet Virginia, con Jon Bernthal e Christpher Abbott protagonisti, inizia con un ottimo incipit, per poi perdersi nel corso di una storia inconsistente.
Sweet Virginia, diretto da Jamie M. Dagg, con Jon Bernthal e Christopher Abbott, è un thriller cupo e drammatico, ambientato in una società che non offre alternative, chiusa e banale. Uscito nel 2017 e in onda venerdì 7 maggio 2020 alle 21.20 su Rai 4, distribuito dalla IFC Films, racchiude un senso profondo che però non convince del tutto.
Una cittadina viene sconvolta dall’omicidio di tre uomini all’interno di una tavola calda. Sam (Jon Bernthal), ex rodeo dall’animo mite, è il direttore di un motel e amante di Bernie (Rosmarie DeWitt) moglie di uno degli uomini uccisi. Dal passato misterioso e tormentato, affezionato alla sua giovane collaboratrice Maggie (Odessa Young), che gli ricorda sua figlia, stringe una forzata amicizia con Edward (Christopher Abbott). Ignaro che si tratti dell’assassino dei tre uomini, killer ingaggiato da qualcuno di vicino a lui e inizialmente insospettabile. Un’aggressione dopo l’altra porteranno Sam e Edward verso una violenza e una rabbia che non lascia scampo, in un mondo dove la vendetta è l’unico sentimento comune.
Crudo e violento, caratterizzato da ambientazioni notturne e scene cupe, lunghe sequenze su strade desolate e avvolte da un cielo nero, illuminato solo da i fari di una macchina che si avvicina. Un crescendo di tensione che si dilata lentamente nel corso del film, che però non esplode mai in colpi di scena come ci si aspetterebbe. Una violenza chiara e al tempo stesso latente, percepibile da uno sguardo e un gesto, più che da un’azione. Una rabbia che si limita all’impulso irrefrenabile di insultare, colpire o uccidere. Una cittadina chiusa e limitata dove l’orizzonte si estende per colline e montagne infinite, dove non c’è spazio per altro. Legami temporanei e finti per una comunità di persone che ha imparato ad accontentarsi, a non avere aspirazioni, se non quella economica, simbolo di soddisfazione e stabilità, ma solo idealmente.
Sweet Virginia: un thriller dalla spiccata drammaticità
Una drammaticità forte quella che si evince da Sweet Virginia, nome del motel e titolo che suggerisce una dolcezza del tutto assente nella storia, confusa con un bacio o una carezza. Straordinarie le scene di tensione e suspence, con una luce flebile e una colonna sonora che scandisce i minuti e i secondi che separano da un pericolo imminente, un pericolo però che non viene mai esplicitato. Il film sembra lasciare quasi tutto a metà, concludendo solo l’esperienza di Edward, ottima interpretazione di Abbott, personaggio più complesso e unico che porta davvero avanti la storia, con un obiettivo chiaro e definito, pronto a tutto per raggiungerlo. La struttura e gli elementi del thriller, che risultano i più funzionali all’interno della racconto, sono solo un pretesto per dire qualcos’altro, di indefinito e aleatorio, per rappresentare un’esistenza ridotta al minimo, dove ricorrere alla violenza è necessario.
Un cerchio che non si chiude mai, come sembra suggerire Sweet Virginia, perché a ogni atto brutale e a ogni reato ne seguirà sempre un altro e un altro ancora in una spirale dove la vendetta diventa feroce. Quello che manca al film di Jamie M. Dagg è la storia, la trama e, salvo Sam e Edward, i personaggi. Aprire domande e scenari senza dare alcuna risposta, senza spiegare le motivazioni alla base di azioni così cruente, senza svelare il passato e il background di personaggi chiave, rende la pellicola la mera rappresentazione di un mondo profondamente triste, dove si è soli, sempre, anche in mezzo agli altri. Un mondo dove ognuno ha dei segreti, ma dove tutto è pubblico, dove ciò che si cerca di nascondere, prima o poi viene scoperto. Le ottime interpretazioni dei due protagonisti e gli elementi del thriller ben calibrati, così come la regia e la fotografia, fanno da cornice a un racconto che risulta inconsistente, forte di un messaggio finale amaro, sull’esistenza e la rassegnazione, ma povero di contenuto.
Ricco di spunti interessanti, Sweet Virginia lascia un duplice senso di vuoto, positivo se si considera lo scopo di un film e negativo per quanto riguarda, senza un inizio né una fine, con personaggi di contorno ridotte a sagome scure senza forma. La sceneggiatura è forse un altro aspetto che sarebbe dovuto essere approfondito, i dialoghi sono piuttosto piatti, senza sostanza Altro elemento che comunque sottolinea la banalità della vita che conducono gli abitanti di questa cittadina della Virginia: una manciata di case in una landa desolata, per un bisogno di contatto umano che si è smesso di cercare.