Al Dio ignoto: recensione del film di Rodolfo Bisatti
In streaming su Chili arriva l’ultimo film di Rodolfo Bisatti, Al Dio ignoto, una delicata opera sull’accettazione della fine e l’importanza di prenderci cura di noi.
A causa della pandemia in corso, anche un film come Al Dio ignoto va ad aggiungersi alla lista di titoli che devono saltare il passaggio in sala per arrivare direttamente in streaming. L’ultimo lungometraggio di Rodolfo Bisatti è infatti disponibile dal 23 aprile sulla piattaforma Chili. Un’opera coraggiosa, in un certo senso “diversa”, che si prospetta come senza tempo sebbene, dal nostro di tempo, tragga forse maggior forza per i temi che va a toccare.
Lucia (Laura Pellicciari) è una donna che lavora come infermiera in un hospice che accoglie i malati terminali. Lo fa con amore e dedizione, con infinita cura e tenerezza, quella stessa tenerezza che a casa sua sembra mancare in seguito alla morte, 8 anni prima, dell’adorata figlia a causa di una leucemia. Dopo la separazione dal marito, Lucia è rimasta con il figlio Gabriel (Francesco Cerutti), adolescente irrequieto che ha un modo tutto suo di elaborare il lutto per la perdita della sorella. E questo, a poco a poco, lo allontana dalla madre, che intanto, a lavoro, fa la conoscenza di Giulio (Paolo Bonacelli), un ex professore di filosofia a cui ormai non resta molto da vivere. Dialogando con l’uomo, dotato di profonda saggezza e di una serena capacità riflessiva, Lucia inizia a dialogare con l’altrove, con ciò che le è sconosciuto e che l’ha sempre spaventata, imparando a restare in ascolto anche se non sente arrivare nessuna risposta.
Al Dio ignoto: la morte come argomento per parlare di vita
La concezione dell’aldilà e il rapporto con la morte sono elementi che hanno da sempre contraddistinto la razza umana rispetto al resto degli animali: nonostante siano passati milioni di anni dalla comparsa dei primati sulla Terra, l’uomo non è ancora riuscito a capire cosa lo aspetta una volta oltrepassata la soglia che si attraversa una volta sola. Sebbene fermamente ancorato al di qua, però, il pensiero di ciò che si trova dall’altra parte è un’eterna costante, capace di influire con forza sulla qualità della vita.
E la morte, come è ovvio, è al centro di Al Dio ignoto, titolo che deriva dall’omonima poesia del filosofo tedesco Nietzsche, forse il pensatore che, più di tutti, si è concentrato sul dialogo con Dio, da lui respinto e cercato allo stesso tempo. Nell’opera del regista padovano Bisatti, la morte è ciò che permette di ragionare sulla vita: i malati terminali vivono in una sorta di limbo terreno, una dimensione sospesa che non permette di pensare al futuro, ma solo di riflettere sul passato e di affrontare il presente. Gli infermieri e gli operatori che si occupano di loro entrano ed escono continuamente da questa dimensione che è e non è, immergendosi ogni giorno di nuovo in quelli che sono la loro routine, le loro abitudini, i loro affetti…
Chi, però, sta vivendo davvero? Chi bada al sapore di ogni singolo gesto, alla luce di ogni singolo sorriso e alla bellezza di ogni nuovo giorno? Gli infermieri sono soltanto ospiti del mondo dei loro assistiti: li curano, li vegliano e li sostengono, possono anche sinceramente essere partecipi del loro dolore, ma sono soggetti estranei, impossibilitati a comprendere sul serio la dimensione che appartiene a chi sta a poco a poco spiccando il volo, ancora con i piedi per terra ma con la mente già alta verso quello che verrà dopo.
Al Dio ignoto: l’elaborazione del dolore dei protagonisti
Lucia è diversa: anche lei ha pensato molto spesso a quello che seguirà, maledicendo quel regno in cui la giovane figlia si è addentrata troppo presto ma lentamente, vivendo per diversi giorni, come i suoi pazienti, la doppia dimensione di un adesso e poi chissà. E forse, proprio per questo, Lucia il lavoro se lo porta un po’ anche a casa: nel conflittuale rapporto con il figlio, nell’immobilità delle sue giornate, il pensiero della donna va sempre a quella porta e a ciò che si trova oltre, fossilizzandosi con dolore sulla sua incapacità di vedere al di là della soglia.
Anche Gabriel pensa a quella porta, ma la sua reazione, dettata anche dall’irruenza della sua età, è più di sfida: le spericolate corse in bici e le peripezie sulle due ruote, che tanto fanno preoccupare la madre, sembrano uno sberleffo in faccia al Cupo Mietitore, colpevole di essersi portato via la sorella ma anche, in un certo senso, di aver ucciso tutta la sua famiglia. Ma non c’è solo incoscienza nei suoi gesti: c’è anche una matura consapevolezza, sentita e decisamente arrabbiata, di un distacco che non può essere sanato e che, dunque, va accettato e vissuto, soffrendolo ma non negandosi all’hic et nunc che la sua condizione di vivo gli permette.
Al Dio ignoto: la sottrazione che aggiunge valore all’opera
Rodolfo Bisatti si mostra affezionato ai personaggi del suo film, affrontando un racconto doloroso ma necessario perché, come affermato dal regista stesso, “una società che non pensa alla morte è destinata a morire”. La delicatezza che Bisatti usa per delineare i profili dei suoi protagonisti è la stessa che noi tutti dovremmo utilizzare nel rapporto con il prossimo, nel prenderci cura dell’altro e di noi stessi. Il regista affronta tutto ciò attraverso un lavoro portato avanti per sottrazione, espresso tramite analogie (a volte ardite nella loro eccessiva chiarezza), dialoghi scarni ma ricchi di significato, primi piani silenziosi che sembrano però urlare…
Il personaggio di Giorgio, uno straordinario Paolo Bonacelli, è forse il più riuscito in questo senso: quando inquadrato riempie la scena non solo per la sua imponente figura, ma perché con poche, semplici parole, riesce a dire tutto quello che serve, e forse anche di più. Con il suo narrare lento che a tratti mostra ancora un infantile stupore e curiosità per la vita, riesce a far sì che Lucia non tema l’esistenza dell’ignoto, ma l’accetti con serenità, rendendosi disponibile a dialogare con l’incommensurabile seppur consapevole dell’assenza di risposte.
Nel panorama di produzioni nostrane, il film Al Dio ignoto si presenta come un prodotto filmico di inusuale valore, da recuperare il prima possibile nel suo passaggio in streaming.