Snowpiercer: recensione del film di Bong Joon-ho
Snowpiercer è una guida alla prevedibilità dell'essere umano e del suo iter storico, al suo commettere sempre gli stessi errori, alla fauna che compone ogni regime totalitario e allo spirito che lo alberga.
Il grande pubblico ha conosciuto Bong Joon-ho quest’anno con Parasite, senza ombra di dubbio uno dei film più sorprendenti ed apprezzati dei nostri tempi, che ha fruttato al regista coreano ben quattro Premi Oscar.
Ma gli amanti del genere post-apocalittico Bon Joon-ho lo avevano già conosciuto nel 2013, quando aveva diretto il suo primo film in lingua inglese: Snowpiercer, tratto dall’omonima graphic novel Le Transperceneige di Jacques Lob e Jean-Michel Charlier.
Ambientato in un futuro in cui il mondo è stato stritolato da una nuova era glaciale, il film vede gli ultimi sopravvissuti dell’umanità costretti dentro un treno ad alta tecnologia, lo Snowpiercer, all’interno del quale vigono il più feroce classismo ed un regno del terrore a dir poco allucinanti.
Tra gli ultimi vi sono anche il coraggioso Curtis (Chris Evans), il suo amico Edgar (Jamie Bell), il vecchio e saggio Gilliam (John Hurt) e Tanya (Octavia Spencer), il cui unico e costante pensiero è come arrivare sovvertire lo status quo, che perdura da anni e come arrivare al dittatore di quel treno: il Signor Wilford (Ed Harris).
Ma riusciranno a superare lo sbarramento degli scherani di Wilford? E cosa troveranno? Davvero si può sovvertire quello status quo? Davvero quel treno è l’unica speranza dell’umanità?
Snowpiercer: tra filosofia e finzione, un viaggio nella storia dell’umanità
Sceneggiato in modo assolutamente perfetto da Bong Joon-ho e Kelly Masterson, Snowpiercer è uno splendido ed atroce viaggio dentro un futuro a metà tra distopico e post-apocalittico, in cui vivi e ricchi sono i riferimenti ad un’immensa narrativa e cinematografia, così come alla filosofia.
Dal mito della caverna di Platone a Locke, da Marx ad Hobbes, il film, diretto in modo fantastico dal regista coreano, offre in realtà una sorta di metafora della storia e condizione umane fin dall’alba dei tempi.
Una condizione che, da sempre, vede pochi asservire molti, usando l’alibi dell’inevitabilità, della mancanza di possibilità di garantire a tutti un tenore di vita accettabile, intanto che le carrozze di testa dell’umanità si permettono lussi senza freni a discapito delle ultime classi, del terzo mondo, delle masse.
Con le ispirate note di Marco Beltrami (che sovente fanno virare il tutto in modo deciso ma coerente verso il pulp ed il barocco), e grazie a costumi e scenografie che rendono abiti, tecnologia e mobili qualcosa di più di un elemento accessorio, la narrazione vede alla fin fine il corpo umano protagonista assoluto in un mondo di macchine e menti meccanizzate.
Un dramma di raffinata costruzione
Bellissima la fotografia di Kyung-Pyo Hong, che assieme alla regia di Joon-ho, riesce nel paradossale miracolo di non far sentire mai lo spettatore chiuso in trappola, prigioniero di una claustrofobia opprimente, quanto piuttosto parte di un qualcosa in eterno movimento, in cui i quattro elementi, il contrasto tra luce ed oscurità, tra colori o monocromia, sono tanto esaltanti quanto funzionali alla trama.
Il cast, che annovera anche Tilda Swinton, Song Kang-ho, Go Ah-sung, Ewen Bremmer e Tomas Lemarquis, si muove all’interno di un dramma dove sovente la messa in scena è volutamente teatrale, il tono sopra le righe, dove ogni personaggio racchiude in sé significati storici profondissimi, dove la mitologia è sempre dietro l’angolo.
I 126 minuti di Snowpiercer, sono un enorme guida alla prevedibilità dell’essere umano e del suo iter storico, al suo commettere sempre gli stessi errori, alla fauna che compone ogni regime totalitario e allo spirito che lo alberga.
Alla base, al di là del viaggio pittoresco negli inferi di un treno che appare più che leviatano, una strana arca di Noè, vi è la visione del confronto eterno tra rivolta e potere costituito, con tutti i limiti della prima e le infinite risorse del secondo.
Snowpiercer ed il concetto di leader
Davvero non si può cambiare niente? Davvero il massimo a cui si può aspirare, ciclicamente, è un’esplosione di rabbia collettiva e controllata che poi porti ad una restaurazione, a nomi nuovi ma vizi antichi?
A questa domanda, Bong Joon-ho dà una risposta che ha sempre, al centro, il libero arbitrio, la coscienza che tutti gli uomini sono uguali ma che solo alcuni hanno il potere di cambiare le cose. Per scelta, carisma o perché chiamati a farlo dalla storia. E, purtroppo, ben pochi sanno rompere quel velo fatto di ambizione personale, lusinghe, egocentrismo e rassegnazione che da ribelli rende normalizzatori, da normalizzatori poi i nuovi dittatori.
La storia lo mostra, Snowpiercer lo mostra e mostra anche la soluzione: distruggere il treno, andare oltre, uscire dalle rotaie a bordo delle quali non vi è libertà solo un moto perpetuo verso il già visto.
Film non perfetto (alcune ridondanze e l’uso forse eccessivo della slow motion rendono a volte l’insieme un po’ forzato) ma pieno di vitalità, idee e con colpi di scena fantastici, Snowpiercer è qualcosa di più di un film indipendente, quanto piuttosto il primo capitolo di un cineasta capace con fantasia e temerarietà di parlarci del mondo, della società.
Magari in modo spietato e cinico, ma non per questo privo di poesia, di originalità, andando oltre il puro artificio visivo, in un iter narrativo in cui nulla è ciò che sembra.